Archivio mensile:novembre 2006

" KLIMT DIRECTOR'S CUT " di Raoul Ruiz

Recensione di Livia Romano

Una serie di flashback,  incastrati uno nell’altro, per tratteggiare la vita di Klimt, in modo volutamente disordinato e spezzettato: "E’ più una fantasia, o se vi piace, una fantasmagoria", afferma Ruiz. Il film ruota  attorno alla passione dell’artista per Lea de Castro, incontrata a Parigi durante l’Esposizione universale del 1900,un amore complesso dalle tinte erotiche e tratti misteriosi, in continuo movimento così come, nei suoi dipinti, le figure ruotano e si mescolano l’una con l’altra. Le caratteristiche stilistiche della sua arte sono direttamente applicate al film stesso,ovvero la sensibilità trasmessa dalle sue opere, è qui riproposta attraverso eccessi di colore, spazi distorti, angolature complesse, spesso capovolte, o riflesse nell’acqua. Tutto sembra essere filtrato dal genio di Klimt stesso. Un lavoro molto curato, soprattutto nella scenografia e nei costumi, ricco di curiosi particolari(ad esempio il continuo scroscio dell’acqua che rimanda alla morte del pittore in un letto pieno d’acqua, allora usato per immobilizzare i pazienti affetti da sifilide o malattie cutanee) e un John Malkovich straordinario….

Il film è stato presentato al Torino Film Festival 2006

" THE NOTORIUS: BETTIE PAGE " di Mary Harron

Recensione di Livia Romano

Bettie Page, celebre pin-up degl’anni ’50, vera e propria icona della cultura pop ,basti pensare alla sua acconciatura : frangetta nera bombata (Lynch s’ispirò proprio a lei per il look di Patricia Arquette in  Losth Highway), è qui presentata come ragazzina tutta casa-chiesa, che stufa delle violenze del
marito, parte per New York e quasi per gioco- leggenda vuole che fu un poliziotto di colore in spiaggia a notarla e successivamente a suggerirle il taglio- comincia a posare come modella.Bikini, baby doll, guepiere, calze a rete e stivali di pelle diventano all’ordine del giorno, ma davanti all’obbiettivo di Irving Claw e sua sorella Paula, Bettie, sempre ironica e maliziosa, mantiene quell’ingenuità e quello sgaurdo d’innocenza, molto americana. Alla domanda di Irving "Cosa credi che pensi Dio di questa tua occupazione?"lei risponde"Beh credo che egli dia ad ognuno un talento da sfruttare, evidentemente a me ha dato questo corpo". Mary Harron, sa di non poter osare molto: l’universo delle perversioni della "prima industria" dell’immaginario erotico, le pratiche di bondage e sadomaso, lo scandalo pubblico del commercio sottobanco, sono temi ancora troppo scottanti. Ne consegue una pellicola bianco-nera simpatica, ma troppo retorica: una bella fiaba americana con tanto di "lieto" fine, quasi più vicina alla parabola del figliol prodigo che non alla travagliata ed enigmatica storia di Bettie Page.

Il film è stato presentato al Torino Film Festival 2006.

" DE NENS " di Joaquin Jordà

Recensione di Livia Romano

"A proposito di bambini"
Una sorta di documentario sul famoso caso del Raval, scoppiato nell’estate del 1997, nel quartiere cinese di Barcellona: Xavier Tamarit Tamarit siede davanti a un tribunale, che lo accusa di pedofilia. Fin dall’inizio egli reclama la sua innocenza, ma,dopo svariate sedute, si rivela un uomo debole, malato, incapace di maltrattare bambini, ma ben consapevole di questo suo morbo. Nonostante la claustrofobica atmosfera (quasi tutte le scene sono girate in tribunale) e la durata estenuante (circa tre ore) del documentario, esso permette una lunga riflessione su tematiche molto delicate quali l’abuso sessuale o la pornografia, ponendo l’accento sul problema dell’educazione del bambino, quella che i Greci chiamavano "paidèia", a quel tempo non troppo lontana dalla pederastia ("l’ultimo peccato rimastoci" , lo definisce Jordà).
Tuttavia non mancano pretesti per sottolineare le incongruenze del sistema giuridico del paese, in particolare la politica di speculazione immobiliare, strettamente connessa al progetto urbanistico del Raval, da anni in svolgimento.

Il film è stato presentato al Torino Film Festival 2006

" NUOVOMONDO" di Emanuele Crialese

Recensione di Antonella Mancini

Pensieri sparsi su Nuovomondo.

Invece che sui film delle attuali rassegne del Circolo, mi va di fare alcune considerazioni a caldo sull’appena visto Nuovomondo  di Crialese. Anticipo subito: deludente. Tuttavia non come conseguenza della "grande attesa". Anzi, a Venezia questo film non se l’è filato nessuno sino a quando non è stato proiettato la prima delle tre volte canoniche. Da quel momento in poi è diventato, non si capisce come e perché, “il” film del Festival. Ed è così che la coda agli ingressi, anche per noi accreditati, è cresciuta e cresciuta cresciuta, e in molti non siamo quindi riusciti a vederlo. A Venezia. Al Mignon di Chiavari si.  Molto pubblico anche qui, nonostante giorno ed ora infelici.

Cos’è Nuovomondo? E’ un documentario ricostruito ai giorni d’oggi di quelli che si ritengono essere stati i giorni di allora, quelli della massiccia migrazione  dei nostri più sfigati connazionali verso le promesse di un futuro migliore: il Nuovo Mondo appunto. E sin qui va bene. Va pure bene che non ci sia una storia, una “trama” in senso tradizionale, e che tuttavia si inventi la figura di un’improbabile signorina inglese – peraltro superbamente interpretata dalla Gainsbourug – in fuga dall’Italia, la quale per entrare negli USA si farà sposare dall’analfabeta capofamiglia (il protagonista che funge da filo conduttore della non-storia).

Cosa va bene ancora? Alcune sequenze, come quella che apre il film, o quella dei tre uomini stagliati contro la loro terra brulla mentre tornano vestiti a nuovo, da viaggio, venduti gli “armali” in cambio degli abiti; o lo scorcio della mensa di Ellis Island e altre ancora: attimi felici della cinepresa e del regista. Cosa non funziona? La lunghezza del film, l’inutilità di  buona parte di quella centrale, dove si torna e ritorna sui corpi assiepati nelle stive (che poi si vedono malissimo ed evocano inutilmente i bui quadri manieristi) e dopo un po’ non se ne può più. E poi gli inserti onirici, così come sono proposti, anche se può essere “carino” e divertente (?) veder nuotare in una specie di broda bianca (latte, secondo le intenzioni del regista) i  protagonisti vestiti di tutto  punto. E, infine, soprattutto, non va bene la discontinuità che  attraversa il film dall’inizio alla fine.

Cosa resta di Nuovomondo? Memorabili per realismo le pratiche di ingresso nella terra promessa, ma il regista avrebbe potuto dirci di più anche su quelle in “uscita”, indulgendo meno all’inizio su volti e su pseudo-psicologismi per fare davvero un “documentario” a posteriori, in tutto e per tutto. Così come è, invece, il film finisce con l’apparire povero e sfilacciato: né carne né pesce: a cavallo tra neo-realismo e documento di vite umane allo sbaraglio, Nuovomondo vacilla e convince poco.

Ma forse, il motivo di fondo dei suoi limiti va cercato ancora altrove, e quelli più sopra rimarcati non ne sono che una conseguenza. Forse Crialese – forse – voleva darci l’affresco di un momento drammaticamente tragico della storia italiana. E, per generalizzazione, rappresentare il dramma di tutti i migranti di non importa dove. Ed è qui, con rammarico, che il film fallisce veramente. Nuovomondo non ha questo desiderato respiro universale. In Nuovomondo la tragedia corale di un popolo costretto ad emigrare si perde nella piccola storia individuale di alcuni personaggi senza tempo, fuori da un contesto sociale e politico che ne giustificherebbe la vicenda. Vicenda che non ha la forza di diventare simbolo, di farsi emblema. Ben diversamente Il Gattopardo – che cito esclusivamente perché rivisto da poco e non certo per un confronto che non avrebbe senso proporre, data la diversa statura degli autori. Ne Il Gattopardo, anch’esso situato nella lontana Sicilia, attraverso il racconto degli intrighi e degli amori, fra feste e balli di una classe aristocratica in declino, Visconti è riuscito a trasmettere il senso del dramma di un’epoca e di un popolo. Il nostro. Dramma di allora come di oggi.

 

I giovani registi italiani imparino a misurare le loro ambizioni con le proprie capacità; e incomincino ad andare a scuola.

Il film è stato presentato al Mostra del Cinema di Venezia 2006.

" FAMILY " di John Landis

Prima di tutto bisogna riconoscere che questo "Family" di John Landis è davvero un film intelligente. Non speravo in così tanto considerato il primo film che Landis aveva concepito per la serie "Masters of horror" di Mick Garris. Circa un anno fa Landis aveva promeso al pubblico di Torino, in occasione della prima di "Deer woman", che avrebbe realizzato un lavoro di gran lunga superiore, ma nessuno si aspettava un piccolo diamante come questo. John Landis è certamente un talento atipico, un regista capace di passare dalla commedia demenziale assoluta come "Animal house" al musical moderno come "The blues brothers", sino al puro cinema del terrore con un film importante come "Un lupo mannaro americano a Londra". Anche questa volta landis ha stupito critica e pubblico con un lavoro fuori dai canoni e dalle previsioni. Tutto comincia con un bel gospel che ineggiando a Gesù non manca di ricordarci il dolore della carne, il sapore del sangue e le fiamme dell’inferno che bruciano l’anima e le carni dei peccatori in eterno, insomma una bella canzoncina da messa domenicale. Nulla di stravolgente dunque se il bravo Harold, protagonista del film, si diletti di sciogliere nell’acido dei poveracci che sequestra e uccide per ricomporre le loro ossa con il film di ferro, rivestirli e renderli membri allegri della sua perfetta famiglia americana. Harold non si limita a collezionare corpi ma parla pure con loro, ci litiga e li rende la perfetta controparte della sua psiche disturbata. Tutto sembra andare per il meglio nell’allegra famiglia di Harold, ma l’arrivo di nuovi vicini renderà la sua tranquillità domestica ricca di imprevisti. Non svelo altro … sarebbe "mostruoso". La sceneggiatura è stata scritta da Brent Hanley (autore di "Frailty").

Il film è stato presentato al Torino Film Festival 2006.

Daniele Clementi

" VALERIE ON THE STAIRS " di Mick Garris

Sulla carta questo film della serie "Masters of horror" poteva essere il lavoro migliore, un mediometraggio scritto e diretto da Mick Garris (fondatore del progetto) basato su un racconto del grande Clive Barker poteva essere il titolo della stagione … poteva ma non c’è riuscito. Rob è un giovane scrittore che riesce ad ottenere una stanza in una strana casa destinata , per volontà testamentaria del proprietario, esclusivamente a scrittori non ancora affermati. Rob comincia a convivere con alcuni suoi colleghi, tutti tormentati e falliti. Ma c’è qualcosa fra le mura di quella casa, qualcosa di terribile e malefico che sembra acoltare i sogni infranti e le frustrazioni dei suoi abitanti, qualcosa capace mi materializzare il racconto che non sapranno mai scrivere. La storia è veramente bella ma la messa in scena, anche se impeccabile sul piano della confezione, assolutamente soporifera. Mick Garris è un grande produttore e questa idea di "Masters of horror" è stata assolutamente straordinaria ma il senso del ritmo non lo ha ancora imparato.

Il film è stato presentato al Torino Film Festival 2006.

Daniele Clementi

<!–

–><!–

–><!–

–>

" THE SCREWFLY SOLUTION " di Joe Dante

Questo è stato inevitabilmente il film più atteso della seconda serie di "Masters of horror", lo scorso anno la serie di Mick Garris aveva esibito come fiore all’occhiello proprio il film di Joe Dante "Homecoming". Il ritorno di Dante alla serie è quantomeno trionfale sul piano dei mezzi e della voglia di stupire lo spettatore con una storia creativa ed originale. La storia si basa su un racconto di Racoona Sheldon (pseudonimo di James Tiptree Jr.) e la sceneggiatura è stata scritta dal solido Sam Hamm, autore dello script di "Mai gridare al lupo" e dei film "Batman" e "Batman returns" di Tim Burton. Hamm aveva già lavorato con Dante per il lungometraggio inedito in Italia "Haunted Lighthouse" e sopratutto per lo splendido "Homecoming".Una terribile epidemia colpisce i maschi della terra, trasformando il loro desiderio sessuale per le donne in furia omicida. lo scopo evidente di questo virus è costringere l’umanità all’estinzione, unica cura possibile la castrazione chimica degli uomini, ma ben pochi decideranno per questa via. Una storiella interessante e molto ben girata che non manca di ironia ed intelligenza, certo i soldati americani zombi che tornavano dall’Iraq per votare contro Bush erano tutta un’altra storia …

Il film è stato presentato al Torino Film Festival 2006.

Daniele Clementi

<!–

–><!–

–><!–

–>

" PRO – LIFE " di John Carpenter

La seconda esperienza di Carpenter per la serie di Mick Garris "Masters of horror" si rivela indubbiamente interessante anche se molto diversa dal primo lavoro "Cigarette burns". Il tema del film è decisamente più politico, la "Pro-life" è una clinica specializzata in interventi di aborto, spesso la clinica viene pubblicamente boicottata da alcune organizzazioni anti abortiste, fra gli esponenti di questi movimenti c’è un certo Dwayne Phillips e la sua famiglia. Una mattina la figlia di Phillips in fuga dal padre chiede rifugio presso la clinica, inizia un vero e proprio assedio. C’è una voce nella testa di Phillips che lo motiva da usare la violenza ed uccidere altri esseri umani pur di salvare la vita dello strano bambino che sta crescendo a dismisura e troppo velocemente nel ventrre della figlia. Per Phillips la voce che sente è quella di Dio, ed è la sua ispirazione a spingerlo ad uccidere chiunque "in nome della vita". Ma è veramente il figlio di Dio quello che la figlia di Phillips porta in grembo ? Intorno a questa storia c’è una strana puzza di zolfo … . Se avete dubbi su quanto possa divenire politico un film del terrore dovete assolutamente recuperare questo film.

Il film è stato presentato al Torino Film Festival 2006.

Daniele Clementi

<!–

–><!–

–>

" SOUNDS LIKE " di Brad Anderson

Brad Anderson è un professionista televisivo americano, fra i suoi primi lavori si annoverano l’episodio pilota della serie "Homicide" ed alcune puntata del telefilm "The shield". La sua carriera cinematografica comincia con il lungometraggio "Session 9" a cui segue il piccolo cult  movie "The machinist – L’uomo senza sonno". La sua collaborazione alla serie di Mick Garris "Masters of horror" ha prodotto un piccolo horror psicologico di buon livello. Il titolo "Sound like" può essere tradotto come "Sembra il suono di … ". Larry era sempre stata una brava ed equilibrata persona, ma la morte del figlio ha scatenato qualcosa dentro di lui, nel giro di poco tempo Larry comincia a sentire amplificate le voci di tutte le persone che lo circondano, i rumori anche i più tenui diventano insopportabili. Più Larry si rifiuta di "sentire" e superare il dolore per la perdita del figlio, più la sua sensibilità" si amplifica fino a portarlo alla pazzia. Preso da raptus terribile Larry uccide sue moglie, una donna depressa che cerca dipseratamente di vivere una nuova gravidanza per rigettare il dolore del lutto, dopo l’omicidoio della moglie la sensibilità di larry sembra tornare alla normalità ma un nuovo suono comincia lentamente a tormentarlo un suomo viscido, come se qualcosa strisciasse e si contorcesse dentro a materia molliccia…

Il film è stato presentato al Torino Film Festival 2006.

Daniele Clementi

<!–

–>

" PELTS " di Dario Argento

Dario Argento è tornato, tornato ai suoi antichi splendori, tornato ad incubi di respiro internazionale, tornato al piacere di raccontare una storia attraverso le immagini e la sua fantasia. Può fare solo piacere il ritorno di Dario Argento ad un cinema horror di qualità e poco importa se il ritorno si deve al progetto televisivo "Masters of horror" di Mick Garris piuttosto che al cinema convenzionale, anzi conferma che il digitale e la commistione fra televisione e cinema sono una condizione essenziale per la rinascita dello spettacolo in sala. Il nuovo film girato da Dario Argento per la serie di Garris è semplicemente straordinario, una storia morale ed ironica sull’avidità degli esseri umani. La favola nera che ci racconta Argento è quella di un pellicciaio in cerca perenne del grande affare, un bestemmiatore scontroso e volgare che passa le notti nei locali delle spogliarelliste e sogna di possedere una danzatrice mulatta dalla sessualità ambigua ed il meretricio facile. Una notte due cacciatori si inoltrano in un terreno privato sino ad una antica città perduta dove fanno incetta di piccoli procioni con le loro tagliole, i cacciatori uccidono senza pietà le povere bestiole per poter possedere le loro pelli.Giunti a casa contattano il pellicciaio per concordare un incontro per la vendita, ma nella notte le pellicce seducono a tal punto gli uomini da convincerli ad uccidersi fra loro. Quando arriverà il pelliciaio troverà le splendide pelli circondate da un tripudio di sangue, ma anche questa immagine infernale non basterà a stemperare l’avidità umana e l’uomo ruberà le pelli per farne un capo da presentare ad una grande sfilata, ma i procioni della città perduta sono custodi di qualcosa che noi umani non possiamo capire e la catena di punizioni per gli avidi mercanti proseguirà sino ad uno spettacolare massacro finale. La storia è stata scritta dallo sceneggiatore televisivo F. Paul Wilson che aveva curato la stesura della prima puntata del serial tv di genere horror "The hunger".

Il film è stato presentato al Tornino Film Festival 2006.

Daniele Clementi