La situazione in Cina deve essere davvero brutta in questo momento se nonostante l’ascesa economica del suo Paese il regista di “Still life” decide di affrontare in questa maniera temi come la disoccupazione, il precariato e lo sfruttamento dell’individuo. Quasi tutti parlano di violenza recensendo questo film ma in realtà la violenza fisica è l’elemento più superficiale della storia, una sorta di specchietto per le allodole rispetto all’inquietante messaggio di fondo. Il film si dirama attraverso diversi personaggi collegati fra loro solo per terze persone coincidenzialmente e superficialmente legate ai vari protagonisti. Il filo conduttore è la loro ricerca di lavoro, denaro o diritti (come lavoratori o persone). La violenza, fisica o psicologica, di una forza maggiore (raffigurata da un capo villaggio, come un’industriale o un datore di lavoro) scatena una violenza di reazione disperata in questi personaggi, mai gratuita e mai irrazionale. Un minatore rivendica i diritti sindacali suoi e dei suoi colleghi e deve vedersela con l’omertà, la corruzione e le angherie dei più forti. Alla fine il minatore esasperato dalla situazione prenderà un fucile e farà piazza pulita suicidandosi alla fine. Tutte le storie seguono un’epilogo simile: la violenza fisica come risposta esasperata e definitiva ad una sottomissione sociale insostenibile, l’unica variazione è raffigurata dal suicidio di uno dei personaggi, una violenza su se stesso invece che verso gli altri. L’essenza del film sembra risolversi nell’immagine metaforica che compare all’inizio: un vecchio contadino che frusta inutilmente un cavallo sanguinante attaccato ad un carretto che non può trascinare, una fucilata chiuderà il contenzioso lasciando libero il cavallo. Nel film il regista ci ricorda un detto cinese: “Meglio una vita di miseria che una morte felice”, un detto perfetto per produrre lavoratori sottomessi e distrutti che lavorano senza lamentarsi, prostitute della nuova economia, sostituibili e poco costosi. Il film è ricco di riferimenti alla cultura popolare cinese ed i suoi meravigliosi drammi popolari, una pellicola colta e profonda forse molto, troppo illuminante sulla Cina di oggi.
Daniele Clementi