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“American anarchist” di Charlie Siskel, Usa (Mostra del Cinema di Venezia)

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Appartenente al fiorente genere documentario, American Anarchist è una lunga intervista a William Powell, autore a 19 anni, di The Anarchist Cookbook, il famosissimo manuale di guerriglia “fai da te” per la fabbricazione di esplosivi, armi e apparecchi di telecomunicazione nonchè manifesto ideologico della ribellione degli anni ’ 70. Con oltre due milioni di copie vendute, il libro è stato ritenuto, a torto o a ragione, ispiratore delle violenze, degli attentati e delle stragi di cui la società americana è stata vittima negli ultimi decenni. E non solo la società americana, dal momento che una copia del bestseller in questione salta regolarmente fuori ogni qualvolta in giro per il mondo venga smantellato un covo terroristico, segno che la sua influenza è andata oltre il momento contingente in cui è stato scritto (1969) e pubblicato (1971), cioè oltre gli anni della contestazione studentesca, fenomeno globale tuttavia circoscritto nel tempo.

Il documentario termina quasi di botto sotto l’incalzare dell’intervistatore. Powell non ha potuto concludere l’intervista perchè è mancato proprio nel corso delle riprese. Aveva 65 anni e da oltre 36 aveva lasciato gli Stati Uniti per stabilirsi, negli ultimi anni, definitivamente in Francia, insieme con la moglie che lo ha sempre seguito ovunque egli andasse. Aveva viaggiato lavorando come insegnante attraverso i vari continenti, pronto ad accettare incarichi laddove trovava chi era disposto ad affidarglieli. Le sue attenzioni andavano soprattutto ai ragazzi emarginati con disturbi nell’apprendimento così numerosi per esempio nelle periferie delle grandi metropoli africane. Forse ha scontato con una vita itinerante e volutamente difficile i danni – veri o presunti – e i sensi di colpa –legittimi o meno, consci o inconsci – derivati dal suo scritto giovanile. Forse è stato anche un modo per cercare di sfuggire a un passato ingombrante. L’intervista non poteva che ruotare intorno al problema della responsabilità: si sente il Powell di oggi almeno un poco responsabile per aver esercitato col suo libro un’influenza deleteria andata otre la sua generazione? E’ legittimo avere sensi di colpa per qualcosa che si è fatto da molto, molto, giovani? Dove inizia e dove termina la colpa di Powell scrittore e dove inizia quella degli stragisti che si ispirerebbero a lui? Powell non si sottrae alle domande anche imbarazzanti rivoltegli dall’intervistatore (che poi è lo stesso regista) e non nasconde dubbi, esitazioni, ripensamenti e prese di distanza dal se stesso di allora. Tutto ciò ce lo rende oltremodo umano e simpatico. Un dubbio però proviamo ad avanzarlo anche noi. Possibile che in tutti questi anni in cui, e non lo nasconde neanche Powell, egli ha cercato di sfuggire al peso e al rimorso “nascondendosi” nei luoghi più remoti della Terra, non abbia ritenuto di fare un’autocritica scritta – un contromanifesto se vogliamo – in cui riconoscere gli errori passati, ridimensionarne i guasti e assumersi le responsabilità, laddove ci sono, respingendo le accuse laddove gli sono state attribuite cose non sue? Powell, che pure ha scritto molti libri di storia, ha preferito in questo caso il silenzio, sino all’attuale intervista.

Antonella Mancini

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