Archivi categoria: jonathan demme

VENEZIA 2008: " Rachel getting married " di Jonathan Demme (2008)

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2008

(c) Biennale di Venezia

 

" Rachel getting married " di Jonathan Demme (2008)

Recensione di Daniele Clementi

 

 

Dramma di famiglia alle soglie di un matrimonio, l’occasione per fare chiarezza fra i parenti, l’opportunità per superare un luttoe fare luce su un confronto fra sorelle. Come sfondo suggestivo del racconto un matrimonio multietnico con luci e colori che evocano costumi da tutto il mondo, Demme mantiene il ritmo con qualche caduta di tono qua e la e gli attori reggono il gioco del regista con qualche eccesso non troppo fastidioso. Il ritorno di Debra Winger è un piacere puramente cinefilo che si assapora con soddisfazione, mentre il cameo di Roger Corman è una pura sfida tra il regista ed il suo pubblico, la storia invece non aggiunge e non toglie nulla al genere ma è resa bene ed è solida nella sua esecuzione. Un film che si gusta in lingua originale con sottotitoli per poter godere dell’uso della voce di ogni attore e del ritmo cadenzato ed accompagnato dai musicisti nuziali che seguono lo sviluppo della storia e si integrano talvolta con i dialoghi e gli eventi in scena. Un buon dramma senza infamia e senza lode, ben girato e ben interpretato che potrebbe fare incetta di premi nella desolazione di uno dei peggiori Festival di Venezia degli ultimi 10 anni, ma sia ben chiaro che in tempi migliori sarebbe solo un film medio dalla gradevole fattura.

 

ROMA 2007: " New Home Movies from the Lower 9th Ward " di Jonathan Demme (2007)

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2007

(c) Fondazione Cinema per Roma

” New Home Movies from the Lower 9th Ward ” di Jonathan Demme (2007)

Recensione di Daniele Clementi

Sta succedendo qualcosa di orribile negli Stati Uniti, dopo la terribile tragedia di New Orleans sono stati stanziati ingenti quantitativi di denaro che non sono mai arrivati alle categorie più basse degli aventi diritto, per fare parte di questa categoria basta avere una casa o un rudere in determinati quartieri o semplicemente avere la pelle nera. In realtà dietro a questo “incidente” si cela una terribile strategia di sfruttamento edilizio che porterà un giorno New Orleans ad essere un nuovo e smagliante centro commerciale americano, una sorta di nuova Las Vegas dove non ci sarà più posto per la cultura del passato e per la storia originale di chi ha vissuto in quella città. Demme ci racconta di un manipolo di magnifici e poverissimi americani che ancora aspettano di vedere sepolti alcuni dei loro cari, o che vivono in piccole roulotte vicino ai ruderi di quelle che una volta chiamavano case, in attesa di qualcosa che possa aiutarli a rimettere le cose a posto. un film di uominie donne americane che sembrano lontani anni luce dalle ricca opulenza dei loro connazionali, persone che non sembrano provenire da uno dei paesi più ricchi e potenti del mondo ma da un luogo maledetto da Dio e dagli uomini dove regna solo povertà e disperazione. Come può l’America del Nord essere arrivata a questo punto ? Che fine ha fatto il grande paese di cui ci hanno sempre parlato ? Demme ritrare una nazione nuova devastata da menefreghismo ed avidità che giudica la tragedia di New Orleans una nuova occasione per speculare e vede chi resiste per salvare la sua casa e le sue tradizioni come un insetto fastidioso da schiacciare. Un ritratto impietoso e terribile del governo americano e nello stesso tempo un ritratto magnifico, umano ed intenso del popolo afroamericano, una cultura che ha molto da insegnare ancora adesso anche a noi.

God bless the “afro-mericans” !

CREDITI:
Regia: Jonathan Demme
Sceneggiatura: Jonathan Demme
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 28 maggio 2007 (USA)
Produttori: Jonathan Demme, Daniel Wolff e Abdul K. Franklin.
Direttore della fotografia: Jonathan Demme.
Montaggio: Abdul K. Franklin.

" The agronomist " di Jonathan Demme

" The agronomist " di Jonathan Demme

Recensione di Elisa Lubiano

Le ultime discussioni al cineclub sulle rivoluzioni mi spingono a recensire un film di qualche anno fa. Si tratta di "The Agronomist" di Jonathan Demme presentato a Venezia nel 2003. Il film documentario si concentra sui problemi politici e sociali di Haiti attraverso la testimonianza di  Jean Dominique. La sua eloquenza, passione,  coraggio e determinazione danno speranza al popolo haitiano e allo spettatore che crede in un mondo giusto fondato sui diritti umani anziché sui diritti di brevetto ( e simili). La lotta di Jean Dominique inizia introducendo la lingua creola, nata dalla colonizzazione francese quindi di forte richiamo politico, in ambienti colti come il cinema o la radio. L’identificazione di un popolo in una lingua che non sia imposta dall’alto ma che sia stata elaborata dal popolo stesso ha un insostituibile valore identificante e unificante, a questo proposito cito un proverbio corso che trovo esemplificativo: “una lingua si cheta, un populu si more”. L’impegno politico di Jean Dominique, iniziato negli anni sessanta, si schiera dalla parte del popolo, dei contadini, si batte per i diritti umani, la democrazia e contro lo sfruttamento di questa terra non industrializzata da parte delle super potenze. Costretto più volte all’esilio anziché demordere ha acquisito vigore e determinazione. Colpisce l’atteggiamento di Jean Dominique per l’ottimismo dei sui pensieri e la chiarezza della sua esposizione. Ottimismo e chiarezza di fronte alla grave crisi politica e sociale del suo paese, questo atto non cela superficialità, bensì, fermezza  contro un Paese sotto dittatura. Il film è concentrato sul caso di Haiti ma queste problematiche sono di interesse globale e urgono soluzioni efficaci.
Le riprese del film iniziarono nel 1993 e vennero interrotte perché Jean Dominique dovette fuggire negli Stati Uniti, Jonathan Demme perse le sue tracce sino al 2000. In quell’anno il regista montò il film utilizzando sia riprese create da lui che di altri, il documentario doveva essere pronto per donare ancora speranza al martoriato popolo haitiano.

VENEZIA 2007: " Man from Plains " di Jonathan Demme – 2

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2007
(c) Biennale di Venezia
 

 

” Man from Plains ” di Jonathan Demme

Recensione di Daniele Clementi

 

 
Guardando questo splendido documentario di Jonathan Demme viene subito in mente il lavoro fatto da Michael Moore negli ultimi due film (Fahrenheit e Sicko). Ma il film di Demme non evoca Moore per similitudini bensì per differenze. Questo film documenta la tournè di Jimmy Carter negli USA per la presentazione del suo libro “Palestine: peace or apartheid” narrando con sconcertante equilibrio e cinico realismo la caduta dei valori della libera informazione in America del Nord. Anzi forse è più appropriato dire che il film denuncia l’ignoranza e la bassezza dell’informazione americana contemporanea che non ha bisogno di essere prigioniera in quanto troppo bassa culturalmente per essere pericolosa. In fondo non è necessario mettere il bavaglio all’ottusità poichè si censura da sola nella sua naturale insipienza ed incapacità di leggere ed interpretare ciò che la circonda. Ci troviamo così di fronte ad un vecchio politico di altri tempi, maturo e responsabile, umanamente capace di mettersi nei panni delle persone che incontra e di ascoltare anche chi non è capace per arroganza, per ignoranza o per disposizioni del “padrone” di ascoltare lui. Ci viene in mente il valore di una politica che va scomparendo nel mondo, ci si sente giovani studenti di fronte ad un vecchio così serenamente convinto della sua vecchia scuola da dimostrare una disarmante modernità se non addirittura l’esempio per la costruzione di una politica più evoluta. Questo è il principio che emerge da un film che non odia ne condanna gli israeliani ma semplicemente fa un passo umano tanto alto quanto elementare: “La ragione non può essere da una parte sola”. Come abbiamo potuto ridurci a non comprendere un concetto così fondamentale della civiltà e della democrazia ? Che razza di classe politica occidentale si è formata in questi ultimi anni ? Che cosa è successo alla capacità di leggere ed interpretare le parole del nostro prossimo ? Carter, e con lui Demme, ci ricordano che la nobiltà della politica consiste nel sapere ascoltare, nel saper ricordare e nel rispettare sempre e comunque il tuo interlocutore perchè il bene primario non dovrebbe essere la superiorità di uno verso l’altro ma il benessere collettivo. Il film più bello della mostra è un film sull’americano più “importante” che abbia potuto ascoltare in questi ultimi dieci anni. Ma allora che cosa c’entra il mio inizio con Moore? “Big Mike” è un grande polemista e prende a sberle il sempliciotto americano con un talento che hanno pochi, questo è il motivo per cui le sue violente ma geniali provocazioni colpiscono l’opinione pubblica americana. Ma il film di Demme, che non sarà capito o amato come gli ultimi Moore, è più alto nella forma e nella composizione del messaggio così come lo è il lavoro di Carter per il medio oriente, qualcosa che non funzionerà come “Sicko” perchè più che provocare insegna (nel senso migliore del termine) ad una società che non vuole imparare ma solo essere bastonata (e qui si spiega la durezza degli ultimi film di Moore). Un grande film bello e forse destinato ad essere incompreso come il soggetto di cui parla. Jimmy Carter si rivela l’uomo che noi europei vorremmo al comando degli Stati Uniti D’America.
 

VENEZIA 2007: " Man from Plains " di Jonathan Demme

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2007
(c) Biennale di Venezia
Note da VENEZIA
di Antonella Mancini
 

 

” Man from Plains ” di Jonathan Demme

 

 
Per ben due ore esatte lo schermo Ë occupato dalla figura di Jimmy Carter, ora canuto signore intorno all’ottantina ma in precedenza 39° presidente degli Stati Uniti, chiacchierato e ingiustamente disprezzato dagli Americani, anche di sinistra, che poi si sono dovuti godere per otto anni Nixon. Quest’ultimo stimato dai meno moralisti (o più cinici) Europei malgrado Watergate, il primo  riconosciuto infine da tutti come premio Nobel per la Pace per aver indotto Israele ed Egitto a firmare una pace che, malgrado gli assassinii di Sadat e di Rabin dagli opposti fondamentalismi, dura tuttora. Ma erano altri tempi: negli anni ‘60 gli Americani non erano i signori della guerra e l’incubo che sono diventati (e questo lo dice anche Carter nel film). In queste due ore il tipo in questione rilascia almeno una ventina di interviste sullo stesso argomento, il  suo recentissimo e ancor pi_ chiacchierato libro Palestina:Peace Not Apartheid. Per la campagna promozionale in Usa, e in giro per il mondo, vediamo l’infaticabile signore salire e scendere dagli aerei (sempre portandosi democraticamente di persona il trolley, nonostante abbia al seguito baldi giovanotti e giovanotte), firmare migliaia di dediche, discorrere al telefono per fissare nuovi incontri, inframezzare bucolici soggiorni nelle sue terre con l’adorata moglie (60 anni di felice matrimonio), andando in bicicletta o illustrando la sua visione profondamente cristiana dei rapporti tra i popoli e tra gli uomini. Non manca la madre (di Carter), una vera “mommy” americana e le lacrime del figlio al solo nominarla. Ce ne sarebbe abbastanza per stare alla larga da un siffatto film-documentario. Invece le due ore volano e lo spettatore ne rimane avvinto. Non aggiungo altro, salvo osservare che un regista il quale riesce a ottenere un simile risultato e una standing ovation in sala di parecchi minuti Ë un grande regista.