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"Children of man" di Alfonso Cuarón

Re-Visioni: Appena usciti in Dvd

"Children of man" di Alfonso Cuarón

Recensione di Daniele Clementi

 

La fantascienza può essere divisa ,concedendomi il beneficio dei "sommi capi", in due categorie molto definite.

La prima categoria della fantascienza potrebbe essere quella che tende a raccontare un futuro utopico e, per quanto drammatico, profondamente suggestivo. In questa categoria potremmo parlare di "2001" di Stanely Kubrick dove il futuro è raccontato quasi con una forma di "neorealismo precognitivo" ma pur sempre con una visione rivolta all’ evoluzione positiva dell’uomo, oppure potremmo citare la saga di "Star Trek" dove l’ottimismo regna sovrano a prescindere da quanto grande possa essere il pericolo che minaccia l’umanità, infine potremmo pensare alla saga di "Guerre Stellari" o agli alieni buoni o cattivi del cinema pre e post Spielberg (comunque conferma e realizzazione di un sogno).

La seconda categoria potrebbe non essere fantascienza nel senso più classico o se preferite Asimoviano, bensì una forma di attualità proiettata verso il futuro dove tutto quello che poteva finire male è infine finito peggio. Spesso questo tipi di fantascienza sono più una sorta di espediente narrativo che una vera e propria corrente o sottogenere. In sostanza potremmo affermare che queste storie nascono per due buoni motivi. Il primo buon motivo è parlare di attualità estremizzandone i contenuti, portando le conseguenze al loro limite più inquietante per obbligare il lettore o lo spettatore a riflettere sui problemi del suo mondo, guardandoli deformati nello schermo o sulle pagine di un libro. Il secondo buon motivo potrebbe essere quello di salvare la condizione di plausibilità della storia ed impedire allo spettatore o al lettore di giudicare troppo assurdo o improbabile la tesi della storia, perchè se il mondo raccontato è in un possibile futuro tutto può accadere, anche la cosa meno plausibile o più assurda. Nella seconda categoria della fantascienza potremmo riconoscere libri come "1984" di George Orwell, oppure "Farenheit 451" di Ray Bradbury con le relative riduzioni cinematografiche di Michael Radford o di Francois Truffaut. Sul piano cinematografico potremmo scomodare film come "Metropolis" di Fritz Lang o "Arancia meccanica" di Stanley Kubrick (anch’esso tratto da un libro ma profondamente ristrtutturato dal regista).

A questa seconda categoria appartiene il film di Alfonso Cuarón "Children of men" che ho visto alla mostra del Cinema di Venezia del 2006 e che consiglio di recuperare in occasione della sua uscita in Dvd.

Il film di Cuarón racconta un mondo vicino, dove la natalità è ormai azzerata e la fertilità un concetto estraneo al quotidiano da più di 18 anni. Il regista ci obbliga a vedere una società razzista, cupa e violenta dove le bombe possono esplodere in un locale in un momento qualsiasi della giornata, dove gli extracomunitari sono trattati come scarafaggi e chiusi in gabbie in attesa della loro deportazione. La società di Cuarón ha superato il confine dell’autodistruzione a tal punto da avere convinto il governo a passare gratuitamente gli antidepressivi ed il farmaco per una dolcissima eutanasia mantenendo rigidamente illegale la cannabis (certe cose non cambiano mai). Nel mondo di Cuarón gli uomini sono solo destinati a morire ed i più giovani portano sulle loro spalle il fardello di essere gli ultimi a vedere la fine della loro sterile umanità. Il futuro di Cuarón è descritto con una tale violenza realista da sembrare l’immediato domani della nostra società. Nel suo lavoro più ambizioso Cuarón  ci regala una visione del nostro domani come naturale conseguenza dell’intolleranza e dell’odio razziale mista alla visione di un domani dove Londra, Roma o Sidney saranno come Kabul o Baghdad (città in cui scoppiano bombe giornalmente ed esplodono guerriglie da un secondo all’altro) e New York non sarà semplicemente più perchè devastata da una bomba atomica. Quello che affascina e sorprende di questo futuro è la carica di religioso realismo con cui Cuarón ci racconta la fine dei nostri giorni lasciando che la camera a spalla dell’operatore si sporchi di schizzi di sangue mentre i nostri disperati eroi fuggono in cerca di una speranza. La speranza raffigurata da un miracolo, l’esistenza di una ragazza di colore incinta, un extracomunitaria che porta in se il seme del futuro. Se riduciamo gli estremi della storia comprendiamo subito che Cuarón sta raccontando il nostro presente, dove l’occidente spaventato caccia e combatte i diversi anche con il proprio esercito, e dove il futuro è nelle mani di etnie emarginate ma fertili, inarestabili eredi dei regni di un occidente ricco e sterile. Un film da scoprire, da sentire e pensare per guardare meglio il domani che è già oggi.

" Bjork – All Is Full Of Love " di Chris Cunningham

THE CHRIS CUNNINGHAM DOSSIER

– LAYER 08 : Neo Biomeccanoidi

" Bjork – All Is Full Of Love " di Chris Cunningham

Recensione di Daniele Clementi

Scorre — Scorre — Liquido elettrico .-. Biomeccanoide .-. Scorre — Fluidi acetati di ghiaccio liquido scorrono al rovescio sulle curve di un copro di metallo .-. scheletro improbabile di un coprpo immaginato — Scorre fra schegge di fuoco e piccole scintille di macchine in assemblaggio .-. scorre come metallo in un corpo di spirito elettrico .-. Scorre e tutto è pieno di amore — ..-,..-°

I biomeccanoidi sono frutto della fantasia del pittore e scultore svizzero H.R.Giger. I primi " Biomechanoiden " vengono alla luce nel 1968 in una raccolta di serigrafie, i biomeccanoidi sono l’espressione di una minaccia che l’artista già sentiva prendere vita nel 1968 : la genetica.

Alcuni anni fa discorrevo con un mio conoscente ingegnere, molto stimato e competente nel campo della robotica, e cercavamo di ipotizzare (molto giocosamente) su quale sarebbe stato il reale futuro dei famosi " Robot " di cui tanto si era sognato negli anni 60′ e 70′.

Lui ipotizzò subito il crollo definitivo del mito asimoviano sostituito con qualcosa che fosse più verosimile al mondo percepito da Philip Dick, stavamo parlando di robot geneticamente congiunti con parti biologiche, insomma creature biomeccaniche … i biomeccanoidi di Giger si stavano "concettualmente" concretizzando.

Il film di Cunningham è il frutto di un passo evolutivo supplementare di quel sentire che avevamo concretizzato nella nostra conversazione.

Cunningham sviluppa il concetto di umanizzazione della macchina attraverso una contraddizione perfetta, la fredda meccanica che percepisce sensorialmente il contatto e che lo elabora sino a discernere nell’amore. L’estetica del film rimanda agli esperimenti che Cunningham aveva portato avanti per conto di Stanley Kubrick per il fallito progetto "A.I." e questo ci dimostra quanto dovesse essere straordinario quel film che non vedremo mai.

Da domani ci prendiamo una breve pausa dal Chris Cunningham Dossier … vi parlerò di una cosina un pò diversa.

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" Autechre – Second Bad Vilbel " di Chris Cunningham

THE CHRIS CUNNINGHAM DOSSIER

– LAYER 01 : Interferenza del "figuro"

" Autechre – Second Bad Vilbel " di Chris Cunningham

Recensione di Daniele Clementi

Interferenza – scrutiamo una figura oscura alla nostra abitudine – interferenza –  qualcosa di antropomorfo scorre nella liquidità dei suoni – interferenza – i bassi di casse visivamente deformate ci martellano mentre i movimenti meccanici di una creatura non definibile scandiscono il ritmo della musica – inteferenza – second bad vilbel – – – in un secondo luogo difettoso _-_-_-_-_-_-_-_-_-_-_ ]

Il primo videoclip di Cunningham subisce in buona evidenza l’influenza di Stanley Kubrick o meglio di quello che Cunningham stava facendo per Kubrick : uno studio sui movimenti meccanici mossi dal ritmo secondo le regole più antiche e più sacre del cinema. Quella stessa "interferenza" contaminerà il lavoro di Cunningham " Bjork – All Is Full Of Love ", ma di questo parleremo in un prossimo " layer posted ", anticipando l’estetica delle creature artificiali di "IO ROBOT" (si parla del film mediocre di Proyas, non del racconto perfetto di Asimov). Cunningham costruisce nel giardino di casa una creatura simile ad una zanzara, ma integrata di mosse e scatti appartenenti ad molte altre specie naturali, con il solo scopo di "creare" il movimento che racconterà il suono degli Autechre.

Il limite fra il videoclip e la videoarte viene spregiudicamente dilatato con una buona dose di computer grafica ed una spiccata capacità di sfidare il senso di percezione dello spettatore. Il livello di sperimentazione è altissimo ma la resa narrativa e la profondità del linguaggio sono sacrificati in funzione del solo senso del ritmo, un concetto indispensabile per chi vuole dirigere videoclip ma limitativo se si nutrono velleità autoriali. Comunque il video serve al suo scopo tramutando Cunningham in un nome interessante per artisti della musica disposti a sperimentare con le immagini.

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