Seconda parte
a cura di Pippi
Dieci Anni Dopo : L’"Alba" e il "Giorno" dei Morti viventi – Seconda Parte
Dieci anni esatti intercorrono tra la "notte" e l’"alba" dei morti viventi, e ne occorreranno ancora altri sette per arrivare al "giorno". Se qualcuno aveva pensato, come in parte lasciava intendere il finale del primo film del ciclo, che l’arrivo dell’alba avrebbe visto la distruzione del devastante fenomeno di resurrezione di cadaveri dalle tombe ed il ripristino dell’umana razionalità sulla follia, si è sbagliato di grosso. Non è chiaro se già nel 1968 Romero immaginasse di dare un seguito al suo film, chiaro è invece che la società capitalista occidentale proseguisse il suo corso, offrendo spunti e sempre più evidenti motivi di denuncia al nostro regista americano, il cui intento politico si manifesta, vieppiù esplicito e lampante nei due film successivi: "Dawn of the Dead" (1978) e "Day of the Dead" (1985). Uso i titoli originali perché, ahimé, come accennavo nella prima parte di questo "itinerario horror" (se qualcuno se lo ricorda, perché, se non ci ho messo anche io 10 anni a concepire questa seconda parte, 10 settimane mi ci sono sicuramente volute
), grazie anche al "geniale" apporto di Dario Argento (in cui "geniale" ha la medesima accezione, tutta tafaniana, data all’organo che quotidianamente sforna balle in nome e per conto del "semi-divino cavaliere"), che del film del 1978 è co-produttore. I due film uscirono in Italia, e sono tuttora qui conosciuti rispettivamente con gli splendidi ed azzeccatissimi titoli di "Zombi" (1978) e "Il giorno degli Zombi" (1985), con buona pace della continuità del ciclo romeriano nonché del fatto che in tal modo si elide totalmente la creazione fantastica di Romero, appiattendola su qualcosa di preesistente e con tutt’altro significato simbolico. Ma va bene, abbandoniamo polemiche e sofismi cinefili e proseguiamo.
L’attacco sferrato all’"alba" è indirizzato, in maniera esplicita e diretta, al consumismo, che il capitalismo porta inesorabilmente con sé. E’ un centro commerciale, infatti, l’edificio protagonista della lotta tra vivi e morti. E’ un grande centro commerciale di periferia il luogo in cui si dirigono, come sonnambuli, folti gruppi di morti viventi, il luogo in cui nella loro vita erano abituati ad andare, il luogo in cui esaudivano i propri desideri acquistando prodotti, il luogo in cui la pallida parvenza di memoria che gli resta, più vicina ad un riflesso condizionato, li conduce, irrefrenabilmente ed instancabilmente. I morti viventi sono lenti, correndo li si può evitare, sono bersagli facili, per chi ha un’arma con cui colpirli, preferibilmente alla testa. Non pongono troppi problemi, li si elimina facilmente. Il problema è che, appunto, tranne che con un colpo alla testa non si fermano mai, non si stancano, non si saziano, e se un vivo si trova in mezzo ad un gruppo di morti a distanza ravvicinata, pressoché invariabilmente soccombe. I protagonisti di questo film, un gruppo di 4 persone, fugge in elicottero dalla grande città (per la precisione da uno studio televisivo dove nessuno sa più che pesci prendere e cosa trasmettere) in cui i morti viventi stanno rapidamente diventando la maggioranza assoluta, a causa del panico collettivo nonché della assoluta incapacità delle istituzioni e degli scienziati a capire, e di conseguenza a salvare l’umanità dalla catastrofe incombente. Anche in questo secondo capitolo è un nero, Peter, il leader del gruppo. L’obiettivo anche dei nostri fuggiaschi, tra i quali una donna incinta ed il suo uomo, il pilota dell’elicottero, viene identificato proprio nel grande centro commerciale, che sarà teatro della vicenda. Anche i vivi, quindi, gli umani, ritengono unanimemente che un centro commerciale possa rappresentare la salvezza, o, se non altro, la "resistenza" al flagello, ad un nemico incapace di smettere di avere fame di esseri umani vivi. Rispetto al primo film, però, appare un "terzo elemento", ovvero gli esseri umani vivi tipo quelli che appiccano il fuoco ai boschi italici in questi giorni, gli "stronzi" presenti in percentuale fissa in ogni categoria di esseri umani sul nostro pianeta. Parafrasando "Le leggi fondamentali della stupidità umana" di Carlo Maria Cipolla, insomma, i cattivi. E i cattivi sono rappresentati da una banda di motociclisti che, piuttosto che come strategia per la sopravvivenza intendono il centro commerciale unicamente come luogo di saccheggio, il luogo per soddisfare la propria avidità immediata. E’ questo tipo di esseri umani che contribuirà a che i "morti viventi" abbiano un seguito, un lungo giorno in cui l’umanità si troverà molto vicina alla sconfitta, all’estinzione dal pianeta, subendo una sorta di involuzione verso uno stato di vita vegetativa con l’unico scopo di nutrirsi. Ma se i vivi dovessero "finire", di cosa si alimenteranno i morti viventi? Forse solo allora si sentiranno sazi.
Infatti, nel "giorno di splendore" dei morti, 7 anni dopo, gli esseri umani di cui seguiamo le vicende sono ridotti in laboratori-bunker, edifici di proprietà dell’esercito, mentre dal mondo circostante si sono interrotte anche le trasmissioni radio. Il Paese è allo sbando, gli uomini stanno perdendo la guerra contro le inesauribili e sempre rinnovate schiere di resuscitati. Stavolta tocca ad un team di scienziati che studia ed analizza il cervello dei morti, con lo scopo principale ed immediato di ricercare strategie di contenimento, o meglio, di trovare una soluzione radicale contro la piaga distruttrice dilagante. Ma gli scienziati (e i tecnici) hanno al loro fianco un piccolo gruppo di soldati dell’esercito americano, e, guarda un po’, stavolta sono proprio loro ad identificare il "terzo elemento", quello già visto degli "stronzi". Il dottor Fisher, il capo del gruppo di scienziati, in realtà sta cercando di dimostrare che i morti viventi hanno delle reminiscenze mnemoniche e che potrebbero "essere ri-educati", possono apprendere e ricordare. L’obiettivo del Dottor Fisher è quello di rendere nuovamente (o forse per la prima volta, chissà), i morti viventi delle "persone, morte sì ma civili", che sappiano e possano resistere all’istinto incondizionato della fame, che ubbidiscano, rispettino e, magari, possano essere asservite ai vivi (interessante tesi, che riprenderò nella terza ed ultima parte). Questa, tutto sommato, sarebbe un’idea geniale, ma purtroppo, visto che gli stronzi non sono tali inutilmente in nessuna economia narrativa, ciò non gli riesce. I soldati lo ammazzano, e decidono per giunta di dare gli altri scienziati in pasto alla folla di morti viventi che circondano il laboratorio. Si tengono solo i due tecnici, il nero John (non leader, questa volta, ma figura chiave che dimostra, nel finale, tutta l’essenza dell’essere umano, attraverso l’intelligenza strategica e l’altruismo), necessario in quanto unico pilota dell’elicottero che può portarli fuori dal bunker, ed il tecnico radio, indispensabile per continuare a cercare di stabilire contatti con altri esseri umani vivi in giro per il pianeta. Ma anche stavolta gli "stronzi" non ce la faranno.
E i morti viventi? Sorprendentemente, e come se le sue stesse creature gli stessero autonomamente mutando sotto il naso ed iniziassero a vivere di vita propria (come ad ogni "dottor Frankestein" che si rispetti) nel corso dei due film i morti iniziano, pian piano, a diventare qualcos’altro rispetto al film del 1968. Nell’"alba" rispondono al rumore, al richiamo di voci umane, seguono gli stimoli uditivi e, anche se in maniera molto rudimentale e senza sapere cosa farne, cominciano ad afferrare oggetti. In uno scontro con i vivi, un morto vivente riesce ad afferrare un fucile, lo vedremo in seguito brandirlo senza sapere come utilizzarlo. Ma è nel "giorno" che vediamo la "cavia" educata dal Dottor Fisher ascoltare la radio con le cuffiette, fare il saluto militare (probabile reminiscenza della vita "da vivo"), ma soprattutto, provare emozioni: riconoscenza, rabbia, dispiacere, controllo dell’istinto famelico, soprattutto, quando il dottore gli mette arditamente una mano davanti alla bocca, emozioni che si susseguono, appena accennate ma presenti, sul volto distorto e vagamente putrefatto del morto vivente che ha dimostrato la maggior capacità di apprendimento. Il trionfo finale è rappresentato dal fatto che lui non mangerà il capo cinico, materialista e violento dei soldati (lo lascerà fare a brandelli dai suoi colleghi meno evoluti ed "educati"), bensì lo inseguirà volontariamente per i corridoi utilizzando consapevolmente una pistola, ebbene sì, gli sparerà perché se lo merita, perché ha capito che è stato proprio lui ad ammazzare il suo amico dottore, ma lascerà la sua carne, più putrida e corrotta di quella di un morto vivente, ai suoi meno educati consimili. E’ attraverso questo terzo film, e questa escalation finale, che iniziamo a capire che i cattivi, quelli veri, quelli che distruggono il pianeta curandosi unicamente del proprio interesse non sono più i morti viventi, ma una parte (fortunatamente solo una parte) di esseri umani vivi e con il cervello, apparentemente, in ottima forma, utilizzato peraltro solo per curare gli affari propri. Se nell’"alba" gli umani si rapportano con la colpa rappresentata dall’avidità, dall’indebita ed indiscriminata appropriazione della "roba", dio unico e solo del capitalismo americano, in questo terzo film l’attacco si sostanzia nella gratuita, egoistica ferocia dell’esercito americano, grezza, ignorante, incapace di porsi obiettivi a lungo termine attraverso la diplomazia, la trattativa, l’analisi finalizzata alla risoluzione di un problema (un grosso problema), ma che si pone come obiettivo, immediato, unicamente la distruzione in sé e per sé. Altra via, oltre alla bomba atomica, oltre al napalm del Vietnam (il fosforo bianco e Guantanamo sono ancora di là da venire) non vi è. Ma in questa debacle dell’essere umano la lenta ma costante evoluzione dei morti viventi inizia a trasparire, e lo spettatore inizia a mostrargli, in fondo, una certa, patetica, simpatia (vi assicuro, è proprio così).
Quali sono i carnefici e quali le vittime? Con una metafora nemmeno troppo azzardata, è più colpevole chi ottusamente fagocita "reality" diventandone dipendente, o chi gli stessi reality ha ideato, prodotto e realizzato, facendo sì che l’attenzione collettiva, più collettiva possibile, si occupi di "pasteggiare", letteralmente, a "culi e tette", distogliendo l’attenzione dalla devastazione del pianeta che pochi, ricchi e potenti, stanno operando, dall’avido saccheggio delle risorse a proprio esclusivo ed elitario beneficio, dallo spregio totale di leggi e regole fondanti la democrazia? Fortunatamente, anche se il "giorno dei morti" li lascia, forse, soli al mondo, su un’isola deserta, c’è sempre un manipolo di esseri umani che pensa, in prospettiva, al futuro dell’umanità, uomini che, restando nella metafora, non diventano dipendenti dai reality, che guardano oltre, al futuro di tutti gli uomini, non solo a quello, immediato, di se stessi.
CREDITI
ZOMBI – DAWN OF THE DEAD (1978)
Regia: George A. Romero
Sceneggiatura: George A. Romero
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 2 settembre 1978 (ITALIA), 20 aprile 1979 (USA)
–Interpreti principali –
David Emge : Stephen
Ken Foree : Peter
Scott H. Reiniger : Roger
Gaylen Ross : Francine
David Crawford : Dr. Foster
Tom Savini : Blades
George A. Romero : Regista TV(non accreditato nei titoli)
Produttori: Dario Argento e Richard P. Rubinstein.
Colonna sonora originale: Goblin.
Direttore della fotografia: Michael Gornick.
Montaggio: George A. Romero.
IL GIORNO DEGLI ZOMBI – DAY OF THE DEAD (1985)
Regia: George A. Romero
Sceneggiatura: George A. Romero
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 19 luglio 1985 (USA)
–Interpreti principali –
Lori Cardille : Sarah
Terry Alexander : John
Joseph Pilato : Capitano Rhodes
Jarlath Conroy : William McDermott
Anthony Dileo Jr. : Miguel Salazar
Richard Liberty : Logan
Sherman Howard : Bub
John Amplas : Dr. Ted Fisher
George A. Romero : Zombie
Produttore: Richard P. Rubinstein.
Colonna sonora originale: John Harrison .
Direttore della fotografia: Michael Gornick.
Montaggio: Pasquale Buba.
In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).