Archivi categoria: george romero

"Diary of the dead" di George Romero

Locandina del film

George Romero ricomincia da capo, avendo ritenuto conclusa in qualche maniera la tetralogia dei morti viventi che aveva iniziato nel 1968 di cui ha parlato nel dettaglio la nostra Pippjhoover. Romero riprende quindi da zero i suoi morti viventi curando un "reset" sostanziale della cui necessità cominceremo a capire solo dal secondo capitolo in poi. In effetti questo primo "reboot" lascia perplessi gli spettatori poichè, pur trattandosi di un "Romero", rifare da capo un ciclo cambiandone le regole ed i principi è sempre una cosa non molto gradita a chi ha amato gli originali. Il nuovo ciclo parte nel mondo contemporaneo, dominato da internet, youtube e facebook, non è più la radio che con la sua voce alla "Orson Welles" scandisce come se fossimo in diretta alla "Guerra dei mondi" la resurrezione dei morti e la loro furia cannibale, questa volta è il mondo della televisione a fare da padrone nell'informazione. Contrariamente alla radio del film del 1968 la televisione nega la rinascita dei morti, anzi occulta e manipola le notizie per evitare il panico. Saranno proprio le varie comunity della rete, i blogger ed i videomaker indipendenti armati dei loro telefonini a diffondere la verità sull'orda di morti viventi che invade la terra. Insomma Romero ambienta il suo nuovo film in un mondo in cui la legge sulle intercettazioni di Berlusconi è ormai consolidata e l'informazione è in mano a pochi brillanti manipolatori. I protagonisti del film compongono una troupe amatoriale accompaganta da un professore universitario e nata per la realizzazione di un film-tesi di una scuola di cinema, quando il mondo conoscerà la venuta dei morti viventi la troupe deciderà di girare un documentario indipendente sugli eventi. Il primo film della nuova serie parte dall'uso o abuso delle nuove tecnologie e si sviluppa in modo completamente diverso dai film precedenti, ritroviamo i morti viventi stupidi e privi di capacità dialettiche o logiche superiori, ovvero come erano nel film del 1968 prima di evolversi e dovremo aspettare il numero due della nuova serie per vederli prendere una direzione molto interessante e promettente anche se completamente diversa rispetto alla tetralogia originale. Il film è girato con la tecnica in prima persona di  "The Blair witch project" che poi deriva da classici del cinema come "Un condannato a morte è fuggito" di Bresson, ovvero la storia mostrata attraverso gli occhi di un cameraman che filma ogni minuto del racconto in supposto tempo reale. Probabilmente il peggior film di Romero sui morti viventi, ma anche l'importante inizio di una nuova serie destinata al pubblico più giovane che non sa nulla di questo vecchio geniaccio del terrore e che ha tanto, tantissimo bisogno della saggezza horror di nonno Romero. Inevitabile rivalutare questo film dopo aver visto il secondo.

Daniele Clementi

Venezia 2009: "Survival of the dead" di George A. Romero (Usa 2009)

Survival of the deadRomero è tornato, dal 1968 ci racconta l'America con i suoi morti viventi, all'inizio quasi un film per decade, poi, lentamente, anche per merito delle nuove generazioni, sempre con maggiore frequenza.
Le sue creature si sono evolute nel tempo diventando sempre di più una metafora pregnante del concetto di massa e dell'espressione più surreale ed onirica della paura collettiva del diverso. Gli extracomunitari dell'aldilà sono tornati, sempre più affamati e sempre più organizzati, eppure, per quanto ci spaventinoi morti viventi dell'immaginario di Romero, i vivi che lui stesso descrive fanno molta piùpaura e rivelanouna "mostruosità morale" che fa impallidire il più ostile e putrefatto dei morti viventi. Per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia un film dell'orrore entra in concorso, lo fa con un regista storico di una scuola che con il tempo, forse, sta sparendo, per lasciare spazio ad una generazione di registi che usano la tecnologia e gli effetti speciali per far saltare dalla sedia lo spettatore senza però dare nulla sul piano dei contenuti. Eppure, più passa il tempo e più è facile vedere attraverso il filtro dell'orrore la società contemporanea.
Il film più spaventoso che Romero abbia mai visto, per sua ammissione, è un film di Ken Loach sulla classe operaia, un film in cui la realtà delle banche e delle multinazionaliha unpeso ben maggiore di qualsiasi morto vivente. Pasolini in "Petrolio" scriveva di un giorno apocalitico in cui i morti sarebbero giunti dal terzo mondo, affamati ed invincibili, una fame eterna inarrestabile che nemmeno le pallottole avrebbero mai potuto fermare. Pasolini ci raccontava di politici fascisti in via di putrefazione che governavano e comandavano, di demoni ancestrali che utilizzavano logiche massoniche per influenzare le masse. Anche il suo "Petrolio", come il suo "Salò", in un certo senso, sono opere dell'orrore, ma la mostruosità vista dagli occhi di Pasolini è filtrata da poesia, da metafore satiriche e grottesche che forse ancora oggi sono difficili da percepire per lo spettatore meno colto.
Survival of the deadRomero sceglie la metafora di una comunità chiusa in una piccola isola, dove le faide di famiglia diventano sinonimo di schieramenti politici e culturali. Ci sono quelli chevoglionoeliminare il problema dei morti che camminano con una bella pallottola in testa (includendo nell'elenco anche i bambini infetti che, pur commuovendoti, possono divorarti) e quelli che invece preferiscono ammazzare i vivi che raggiungono l'isola per chiedere aiuto e preservare i morti di casa, conservandoli come cani al guinzaglio,preferendo onorareun ricordo in decomposizione piuttosto che aprire ad una naturale rigenerazione del tessuto sociale.
Romero fa i conti con la storia degli Stati Uniti, dalla secessione in poi, raccontando un micro-mondo che spiega le ragioni della violenza della polizia di confine verso i fuggitivi messicani e la natura più nascosta dello sfruttamento dell'extracomunitario. Un film intrisoconsapevolmente di ragioni politiche e di personaggi intensamente metaforici dove il gioco del terrore è strettamente subordinato ad un racconto politico stimolante ed originale.
Daniele Clementi.

" Knightriders " di George A. Romero (1981)

 
" Flea Market "
Film rari e dimenticati
A cura di Daniele Clementi
 

" Knightriders " di George A. Romero (1981)

 
 
 

Questo film è un caso più unico che raro e poco importa che sia pieno di difetti di sceneggiatura e qualche pasticcio in fase di montaggio, si tratta pur sempre di un "pezzo unico", una di quelle cose che si possono giusto trovare in un caro vecchio "mercatino delle pulci".
Girato nel 1981 da George Romero poco dopo le glorie di " Dawn of the dead – Zombi " (1978) con mezzi dignitosi ed una schiera di amici e collaboratori, questo film è un curiosissimo tentativo di unire due generi lontanissimi fra di loro: il cinema di cappa e spada medievale ed il roadmovie con motociclette.
La storia è quella di Bill, motociclista provetto che decide di indossare l’armatura di cavaliere e viaggiare per l’america sfidando in singolar tenzone altri motociclisti, diventa il re di una comunità ed intorno a lui si creano nuove generazioni di motociclisti cavalieri con cui costruisce uno strano carrozzone di moderni nomadi che si esibiscono in giro per l’America. Al suo fianco una dolce regina ed un medico musicista di colore (Merlino) che cura le ossa dopo i duelli e l’anima dopo le delusioni e che se ne va in giro con il corpo tatuato di farfalle. Sulla scena compare anche un cavaliere nero che tenta di ottenere la corona di re e che alla fine non si rivelerà nemmeno tanto cattivo. Volendo si potrebbero trovare metafore ed analogie con le comunità hippie o con le bande di motociclisti che girano per il mondo ma translare la storia resta difficoltoso. Una sorta di incrocio fra "Easy rider" ed "Excalibur" che merita una visione sia per la sua unicità che per la sua difficoltà di reperimento, il film non è mai stato pubblicato in video e manca da decenni in televisione. Non si tratta certo di una pietra miliare nella carriera di Romero ma è senz’altro un titolo da intenditori. Fra i tanti attori coinvolti meritano di essere citati Ed Harris per la parte del saggio ma un fanatico re Bill, Tom Savini (il genio degli effetti speciali) nella parte del cavaliere nero, il bravo Ken Foree, protagonista del precedente " Dawn of the dead – Zombi " (1978) e Stephen King in una particina cameo di cui riportiamoa anche una foto alla fine del post.
.
.
CREDITI
 

Regia: George A. Romero.
Sceneggiatura: George A. Romero.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 10 aprile 1981 (USA)
-Interpreti principali –
Ed Harris : Billy
Gary Lahti : Alan
Tom Savini : Morgan
Amy Ingersoll : Linet
Patricia Tallman : Julie
Christine Forrest : Angie
Warner Shook : Pippin
Brother Blue : Merlin
Produttore: Richard P. Rubinstein.
Colonna sonora originale: Donald Rubinstein.
Direttore della fotografia: Michael Gornick.
Montaggio: Pasquale Buba e George A. Romero.
Durata: 102 minuti.
.

<!–

–><!–

–>

<!–

–>

I morti viventi sono tra noi – Terza parte

 

Terza parte

a cura di Pippi

Vent’Anni dopo – La "Terra dei Morti viventi" e due interessanti epigoni –
 
 
 
 
 
 

Dal 1985, anno in cui avevamo lasciato una scienziata, un pilota di elicotteri ed un tecnico radio su di un atollo deserto in mezzo all’Oceano, forse unici superstiti dello sterminio provocato, in definitiva, dalla stupida arroganza dei detentori del controllo delle armi, passano vent’anni ed arriviamo ai giorni nostri, nel 2005. Originariamente Romero aveva pensato di dover "chiudere la giornata": dopo "La notte", "L’alba" e "Il giorno", le sue intenzioni erano quelle di girare "Il tramonto dei morti viventi", evidentemente confidando, all’inizio del suo viaggio nell’orrore, nella capacità umana di salvare se stessa. E invece no. Probabilmente anche motivato dal fatto che le sue "morte creature" sono in fondo diventate delle vittime, rispetto alle feroci belve detentrici del potere economico e di quello delle armi, cambia radicalmente rotta e decide di girare questo splendido capitolo, nel quale è contenuta una sequenza che persino Enrico Ghezzi ha talmente amato da volerla come sigla di Fuori Orario, per un periodo, montata insieme all’ormai consueto incontro della fanciulla nell’acqua tratto dal capolavoro di Jean Vigo "L’Atalante". Sempre di acqua si tratta, ma andiamo con ordine.
 
 
 
 
 
Con buona evidenza i nostri tre superstiti non erano i soli ad essersi salvati dalla catastrofe, infatti, vent’anni dopo, vediamo che gli Stati Uniti, presumiamo modello esemplificativo dell’universo mondo, sono suddivisi in tre categorie e corrispondenti collocazioni: i ricchi e potenti, protetti da fortificazioni e dall’esercito, armato fino ai denti, sono rinchiusi in una torre splendente (nuova rappresentazione di una vecchia "torre d’avorio"), potremmo anche definirlo, senza troppo azzardare, con una similitudine sin troppo attuale, il castello della "casta"; gli esseri umani normali, seppure vivi, non sono ammessi nel castello che per motivi definiti e temporanei (consegne di forniture o altri servizi) e buona parte di loro agogna ad essere ammesso a risiedere nella "torre", mentre la gran parte cerca di sopravvivere procacciando viveri per se stessi, ma soprattutto per i pochi ricchi. Per fare ciò sono spesso costretti a sconfinare nel territorio ormai irrimediabilmente occupato dai morti viventi. A separare i "settori" occupati dagli umani da quelli dei morti viventi c’è un elemento apparentemente insormontabile, l’acqua. La torre-castello sorge infatti, oltre ad essere fortificata e protetta dalle armi, su di un’isola, un vasto corso d’acqua, apparentemente insormontabile, la separa dalla terra dei morti. Per le loro incursioni gli umani hanno escogitato un "trucco" per distrarre i morti viventi ed evitarne gli assalti, i fuochi d’artificio. Con i fuochi d’artificio che disegnano le ben note cascate luminescenti in cielo i morti viventi si distraggono, restano incantati a guardarli permettendo agli umani di operare indisturbati i saccheggi necessari sul territorio da loro popolato. Felice metafora, mentre gli uomini dei potenti saccheggiano le risorse del pianeta, le orde di poveri, abitanti delle terre saccheggiate, vengono "coglionati" (ops! distratti), da entusiasmanti stimoli visivi (e torniamo al popolo dei tele-morti viventi spettatori del luminescente nulla dei reality…). Ma, purtroppo o per fortuna, il diseredato popolo dei morti viventi continua ad evolvere, come già aveva iniziato a fare nel precedente capitolo. Gli umani predatori per conto terzi si accorgono, infatti, che il giochino dei fuochi d’artificio sta mostrando la corda, il tempo di distrazione dei morti dura sempre meno e si cominciano a rendere conto che durante il fantasmagorico spettacolo qualcos’altro accade intorno a loro. I morti iniziano a riunirsi in gruppi, sempre più folti, al seguito di alcuni leader (il tutto ovviamente senza l’utilizzo del linguaggio, ma solo attraverso gesti e suoni gutturali), si organizzano, in qualche modo e, grande agnizione oltre che grande cinema, l’isolamento dato dall’acqua è puramente virtuale. La presa di coscienza dei morti, in una delle sequenze che ci fanno amare la capacità espressiva dell’immagine in movimento, è quella che, se sono morti, la profondità del fiume, l’acqua, non li può di certo ammazzare, e tanto meno fermare. Quasi una citazione della biblica divisione delle acque, un enorme popolo di affamati d’un tratto si incammina ed entra nel fiume, semplicemente camminando sui fondali e, terrore, dopo aver visto sparire la "testa" di questo lunghissimo serpente umano sotto il pelo dell’acqua, dopo il lasso di tempo necessario alla passeggiata subacquea lo vedi riapparire, inesorabile, sull’altra sponda. Questa è la sequenza che Ghezzi ha temporaneamente scelto, nell’estate del 2005, quando il film uscì nelle sale italiane, montandola con quelle de "L’Atalante". Il popolo dei poveri, dei diseredati, degli "slum", sfida le acque (e qui in Italia è una drammatica e quotidiana realtà, che spesso non li lascia indenni) per assaltare la Torre: scacco al Re! Scacco al potere, al profitto, alla globalizzazione sulla pelle dei poveri. E quando al capo supremo (un Dennis Hopper che potrebbe anche essere Georgedabliu) tocca, anche a lui, di trovarsi di fronte a questi "morti di fame" (è proprio il caso di dirlo), in una sequenza altamente simbolica e, date le condizioni, esilarante, gli urla "Voi non avete il diritto! Voi non avete diritti!" e, "Noi non negoziamo con i terroristi!". Eh già, proprio come in Irak, proprio come a Guantanamo, vero? Caro vecchio Kaufman/Dennis/George? Tant’è, sembra che la saga dei morti viventi non sia finita qui, è quasi pronto, infatti, e verrà presumibilmente presentato a Cannes 2008, "Il Diario dei morti viventi".

 
 
 
 
 
 
 

Ma rimaniamo ancora un momento in Irak per parlare di uno dei due epigoni di Romero, estratto non casualmente dall’immensa pletora di citazioni scopiazzamenti e cloni che il cinema mondiale ha sfornato, dal 1968 ad oggi. E’ un suo amico a prendere in prestito le creature romeriane per un film nato per la tv americana ma che in televisione non si è mai visto, perché la grande democrazia americana (si fa per dire) lo ha censurato. Il film si chiama "Homecoming" ed il regista è Joe Dante. Devo dire che, avendolo recuperato per vie traverse, non lo ritengo all’altezza espressiva del cinema di Romero, ma ciò che ritenevo interessante era proprio il fatto che fosse stato censurato e perché. Ed il perché è abbastanza esplicito. I morti viventi, in questo film, sono i soldati americani morti in Iraq che, come dice il titolo, "tornano a casa", escono dalle tombe e cominciano a vagolare per le città, ma, sorpresa, non mangiano gli altri esseri umani, e allora? Cosa sono tornati a fare? Politici, popolazione e media sono tutti piuttosto perplessi, sembra che i soldati morti stiano cercando qualcosa. Ma cosa? Dopo averne seguito uno in particolare, e dopo aver percorso un po’ di strada, il morto vivente dell’esercito americano, e pian piano tutti gli altri nel rispetto dei loro luoghi di residenza, si recano nei posti dove, in vita, avevano esercitato il proprio diritto di voto, vanno nei loro seggi elettorali di appartenenza, tracciano dei segni con la matita su dei fogli e poi muoiono, stavolta in via definitiva, pare. Caspita! Vogliono votare! Vogliono con buona evidenza mandare a casa chi li ha spediti in Iraq. La gente normale inizia ad avere un’infinita pena e solidarietà per loro quando la volontà dei morti diviene esplicita, e la politica si organizza e sembra munificamente concedere nuove elezioni a chi, persino dall’altro mondo, si "rifà vivo" (è proprio il caso di dirlo) per votare. Ma vi pare che la politica possa acquiescere ai propri errori e farsi deporre perché il popolo lo chiede? (Da tenere a mente anche per tutti coloro che credono che il V-Day possa cambiare qualcosa veramente…) E infatti non è così, è solo un bluff e le elezioni verranno abbondantemente truccate, come se i soldati di ritorno (in una bara) dall’Irak, avessero deciso di risorgere proprio per glorificare la politica guerrafondaia e assassina di Bush! E i repubblicani vincono (vabbeh! Come contro Gore) un’altra volta. Ma allora non è bastato nemmeno che tornassero i morti dalle tombe per mettere un punto e a capo ad una politica omicida? I repubblicani pensano che si possano truccare le carte anche con il soprannaturale? I soldati irakeni, allora, chiamano i rinforzi e dalle tombe si risvegliano, un po’ stanchi ma pronti a combattere ancora, tutti i soldati americani morti nelle insulse e maledette guerre volute dagli Stati Uniti d’America… Ecco perché il film è stato censurato nella più grande democrazia esistente sul nostro pianeta.
 
 
 
 
 
 
L’ultima citazione è doverosa per due giovanotti estimatori di Romero, del cinema horror, e, cosa più importante, della satira politica. I due si chiamano Simon Pegg e Edgar Wright ed hanno scritto e diretto, nel 2004, un esilarante ed intelligente film dal titolo "Shaun of the Dead", in cui Shaun è il nome del protagonista, che gioca per assonanza con "Dawn of the Dead", come dire "Sahun dei morti viventi", ma che in Italia è uscito, tragicamente, con l’orrido titolo "L’alba dei morti dementi" (sic!). Nonostante i giochi di parole, di cui è infarcito il film, rendano decisamente meno nel doppiaggio italiano, questo film è interessante (oltre che molto divertente) per un paio di elementi non trascurabili. Il primo, importante elemento, è di ordine espressamente narrativo e riguarda il concetto di "infamiliarizzazione del familiare" su cui riposa l’essenza stessa di letteratura e cinema fantastico e, per diretta derivazione, dell’orrore. Realisticamente, se una mattina, uscendo di casa, il nostro vicino, o la nostra portiera, cominciasse a camminare in maniera barcollante, con un’espressione strana sul volto e il colorito vagamente verdastro, siamo sicuri che noi penseremmo immediatamente che la nostra portiera è diventata un morto vivente? No, non credo proprio. E parte della genialità di questo film, a mio avviso, risiede proprio nel pervicace rifiuto da parte di ogni essere umano anche vagamente normale di postulare ipotesi assurde riguardo ad eventuali comportamenti stravaganti di coloro che gli sono familiari, appunto. Ed anche il nostro Shaun è una persona sostanzialmente normale. E quando vede una giovane donna che gira in tondo, a vuoto, nel suo giardino di casa, pensa, come appare ovvio, che sia una fanciulla ubriaca, anche quando tenta di morderlo, magari un po’ drogata. E quando vede un vicino che vagola, come peraltro gli accade tutte le mattine di salutarlo incurante e per abitudine, non ci vede proprio nulla di insolito, in fondo "vagolava" anche tutti i giorni precedenti, anche se magari andava un po’ più dritto e più veloce, forse sarà un po’ stanco, avrà dormito male… Ma tutto ciò si tinge anche del disinteresse, della disattenzione, del pensare agli affari propri, tipico di chi vive nella nostra società. L’altro elemento che vale la pena di citare è l’aver portato alle estreme conseguenze il tentativo di "educazione" dei morti viventi, esperimento che abbiamo visto fallire ne "Il giorno dei morti viventi" di Romero. Ma vi pare, ci dicono sarcasticamente e cinicamente Pegg e Wright, che il potere economico possa soccombere agli affamati del mondo intero? No che non può, ed allora facciamo di necessità virtù e sfruttiamo anche questa forza lavoro piovuta dal cielo, tutti in catena di montaggio! Niente ferie pagate, niente malattie, niente straordinari e nemmeno stipendio, utilizzate i morti viventi per i lavori più semplici ed essenziali e sarà tutto, e solo, profitto.

E, come al solito, sempre e comunque, "God bless America", mica il resto del mondo…
 
 

CREDITI
 
LA TERRA DEI MORTI VIVENTI – LAND OF THE DEAD (2005)
 
Regia: George A. Romero
Sceneggiatura: George A. Romero
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 18 giugno 2005 (USA)
Interpreti principali –
Simon Baker : Riley
John Leguizamo : Cholo
Dennis Hopper : Kaufman
Asia Argento : Slack
Robert Joy : Charlie
Eugene Clark : Big Daddy
Simon Pegg : Zombie x foto ricordo
Edgar Wright : Zombie x foto ricordo
Tom Savini : Zombie con machete
George A. Romero : Voce off non accreditata
Produttori: Steve Barnett, Mark Canton, Neil Canton, Bernie Goldmann, Peter Grunwald, Dennis E. Jones, Ryan Kavanaugh, David Resnick, Lynwood Spinks e Silenn Thomas.
Colonna sonora originale: Reinhold Heil e Johnny Klimek.
Direttore della fotografia: Miroslaw Baszak.
Montaggio: Michael Doherty.
 
 

MASTERS OF HORROR: HOMECOMING (2005)
 
Regia: Joe Dante.
Sceneggiatura: Sam Hamm tratto dal racconto "Death & Suffrage" di Dale Bailey, la serie tv "Masters of horror" è stata creata da Mick Garris.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 2 dicembre 2005 (USA)
Interpreti principali –
Jon Tenney : David Murch
Thea Gill : Jane Cleaver
Wanda Cannon : Kathy Hobart
Terry David Mulligan : Marty Clark
Robert Picardo : Kurt Rand
Beverley Breuer : Janet Hofstadter
Produttore: Mick Garris.
Colonna sonora originale: Hummie Mann.
Direttore della fotografia: Attila Szalay.
Montaggio: Marshall Harvey.
 
 
 
L’ALBA DEI MORTI DEMENTI – SHAUN OF THE DEAD (2004)
 
Regia: Edgar Wright.
Sceneggiatura: Simon Pegg ed Edgar Wright.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 9 aprile 2004 (INGHILTERRA)
Interpreti principali –
Simon Pegg : Shaun
Kate Ashfield : Liz
Nick Frost : Ed
Lucy Davis : Dianne
Dylan Moran : David
Nicola Cunningham : Mary
Peter Serafinowicz : Pete
Edgar Wright : Giornalista / Zombie / Voce originale del ristorante italiano (non accreditato)
Produttore: Tim Bevan, Eric Fellner, Alison Owen, Nira Park, Natascha Wharton, James Wilson.
Colonna sonora originale: Dan Mudford e Pete Woodhead.
Direttore della fotografia: David M. Dunlap.
Montaggio: Chris Dickens.
In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).

 

I morti viventi sono tra noi – Seconda parte

 

Seconda parte

a cura di Pippi

Dieci Anni Dopo : L’"Alba" e il "Giorno" dei Morti viventi – Seconda Parte

Dieci anni esatti intercorrono tra la "notte" e l’"alba" dei morti viventi, e ne occorreranno ancora altri sette per arrivare al "giorno". Se qualcuno aveva pensato, come in parte lasciava intendere il finale del primo film del ciclo, che l’arrivo dell’alba avrebbe visto la distruzione del devastante fenomeno di resurrezione di cadaveri dalle tombe ed il ripristino dell’umana razionalità sulla follia, si è sbagliato di grosso. Non è chiaro se già nel 1968 Romero immaginasse di dare un seguito al suo film, chiaro è invece che la società capitalista occidentale proseguisse il suo corso, offrendo spunti e sempre più evidenti motivi di denuncia al nostro regista americano, il cui intento politico si manifesta, vieppiù esplicito e lampante nei due film successivi: "Dawn of the Dead" (1978) e "Day of the Dead" (1985). Uso i titoli originali perché, ahimé, come accennavo nella prima parte di questo "itinerario horror" (se qualcuno se lo ricorda, perché, se non ci ho messo anche io 10 anni a concepire questa seconda parte, 10 settimane mi ci sono sicuramente volute…), grazie anche al "geniale" apporto di Dario Argento (in cui "geniale" ha la medesima accezione, tutta tafaniana, data all’organo che quotidianamente sforna balle in nome e per conto del "semi-divino cavaliere"), che del film del 1978 è co-produttore. I due film uscirono in Italia, e sono tuttora qui conosciuti rispettivamente con gli splendidi ed azzeccatissimi titoli di "Zombi" (1978) e "Il giorno degli Zombi" (1985), con buona pace della continuità del ciclo romeriano nonché del fatto che in tal modo si elide totalmente la creazione fantastica di Romero, appiattendola su qualcosa di preesistente e con tutt’altro significato simbolico. Ma va bene, abbandoniamo polemiche e sofismi cinefili e proseguiamo.

 

 

L’attacco sferrato all’"alba" è indirizzato, in maniera esplicita e diretta, al consumismo, che il capitalismo porta inesorabilmente con sé. E’ un centro commerciale, infatti, l’edificio protagonista della lotta tra vivi e morti. E’ un grande centro commerciale di periferia il luogo in cui si dirigono, come sonnambuli, folti gruppi di morti viventi, il luogo in cui nella loro vita erano abituati ad andare, il luogo in cui esaudivano i propri desideri acquistando prodotti, il luogo in cui la pallida parvenza di memoria che gli resta, più vicina ad un riflesso condizionato, li conduce, irrefrenabilmente ed instancabilmente. I morti viventi sono lenti, correndo li si può evitare, sono bersagli facili, per chi ha un’arma con cui colpirli, preferibilmente alla testa. Non pongono troppi problemi, li si elimina facilmente. Il problema è che, appunto, tranne che con un colpo alla testa non si fermano mai, non si stancano, non si saziano, e se un vivo si trova in mezzo ad un gruppo di morti a distanza ravvicinata, pressoché invariabilmente soccombe. I protagonisti di questo film, un gruppo di 4 persone, fugge in elicottero dalla grande città (per la precisione da uno studio televisivo dove nessuno sa più che pesci prendere e cosa trasmettere) in cui i morti viventi stanno rapidamente diventando la maggioranza assoluta, a causa del panico collettivo nonché della assoluta incapacità delle istituzioni e degli scienziati a capire, e di conseguenza a salvare l’umanità dalla catastrofe incombente. Anche in questo secondo capitolo è un nero, Peter, il leader del gruppo. L’obiettivo anche dei nostri fuggiaschi, tra i quali una donna incinta ed il suo uomo, il pilota dell’elicottero, viene identificato proprio nel grande centro commerciale, che sarà teatro della vicenda. Anche i vivi, quindi, gli umani, ritengono unanimemente che un centro commerciale possa rappresentare la salvezza, o, se non altro, la "resistenza" al flagello, ad un nemico incapace di smettere di avere fame di esseri umani vivi. Rispetto al primo film, però, appare un "terzo elemento", ovvero gli esseri umani vivi tipo quelli che appiccano il fuoco ai boschi italici in questi giorni, gli "stronzi" presenti in percentuale fissa in ogni categoria di esseri umani sul nostro pianeta. Parafrasando "Le leggi fondamentali della stupidità umana" di Carlo Maria Cipolla, insomma, i cattivi. E i cattivi sono rappresentati da una banda di motociclisti che, piuttosto che come strategia per la sopravvivenza intendono il centro commerciale unicamente come luogo di saccheggio, il luogo per soddisfare la propria avidità immediata. E’ questo tipo di esseri umani che contribuirà a che i "morti viventi" abbiano un seguito, un lungo giorno in cui l’umanità si troverà molto vicina alla sconfitta, all’estinzione dal pianeta, subendo una sorta di involuzione verso uno stato di vita vegetativa con l’unico scopo di nutrirsi. Ma se i vivi dovessero "finire", di cosa si alimenteranno i morti viventi? Forse solo allora si sentiranno sazi.

 

 

Infatti, nel "giorno di splendore" dei morti, 7 anni dopo, gli esseri umani di cui seguiamo le vicende sono ridotti in laboratori-bunker, edifici di proprietà dell’esercito, mentre dal mondo circostante si sono interrotte anche le trasmissioni radio. Il Paese è allo sbando, gli uomini stanno perdendo la guerra contro le inesauribili e sempre rinnovate schiere di resuscitati. Stavolta tocca ad un team di scienziati che studia ed analizza il cervello dei morti, con lo scopo principale ed immediato di ricercare strategie di contenimento, o meglio, di trovare una soluzione radicale contro la piaga distruttrice dilagante. Ma gli scienziati (e i tecnici) hanno al loro fianco un piccolo gruppo di soldati dell’esercito americano, e, guarda un po’, stavolta sono proprio loro ad identificare il "terzo elemento", quello già visto degli "stronzi". Il dottor Fisher, il capo del gruppo di scienziati, in realtà sta cercando di dimostrare che i morti viventi hanno delle reminiscenze mnemoniche e che potrebbero "essere ri-educati", possono apprendere e ricordare. L’obiettivo del Dottor Fisher è quello di rendere nuovamente (o forse per la prima volta, chissà), i morti viventi delle "persone, morte sì ma civili", che sappiano e possano resistere all’istinto incondizionato della fame, che ubbidiscano, rispettino e, magari, possano essere asservite ai vivi (interessante tesi, che riprenderò nella terza ed ultima parte). Questa, tutto sommato, sarebbe un’idea geniale, ma purtroppo, visto che gli stronzi non sono tali inutilmente in nessuna economia narrativa, ciò non gli riesce. I soldati lo ammazzano, e decidono per giunta di dare gli altri scienziati in pasto alla folla di morti viventi che circondano il laboratorio. Si tengono solo i due tecnici, il nero John (non leader, questa volta, ma figura chiave che dimostra, nel finale, tutta l’essenza dell’essere umano, attraverso l’intelligenza strategica e l’altruismo), necessario in quanto unico pilota dell’elicottero che può portarli fuori dal bunker, ed il tecnico radio, indispensabile per continuare a cercare di stabilire contatti con altri esseri umani vivi in giro per il pianeta. Ma anche stavolta gli "stronzi" non ce la faranno.

 

 

E i morti viventi? Sorprendentemente, e come se le sue stesse creature gli stessero autonomamente mutando sotto il naso ed iniziassero a vivere di vita propria (come ad ogni "dottor Frankestein" che si rispetti) nel corso dei due film i morti iniziano, pian piano, a diventare qualcos’altro rispetto al film del 1968. Nell’"alba" rispondono al rumore, al richiamo di voci umane, seguono gli stimoli uditivi e, anche se in maniera molto rudimentale e senza sapere cosa farne, cominciano ad afferrare oggetti. In uno scontro con i vivi, un morto vivente riesce ad afferrare un fucile, lo vedremo in seguito brandirlo senza sapere come utilizzarlo. Ma è nel "giorno" che vediamo la "cavia" educata dal Dottor Fisher ascoltare la radio con le cuffiette, fare il saluto militare (probabile reminiscenza della vita "da vivo"), ma soprattutto, provare emozioni: riconoscenza, rabbia, dispiacere, controllo dell’istinto famelico, soprattutto, quando il dottore gli mette arditamente una mano davanti alla bocca, emozioni che si susseguono, appena accennate ma presenti, sul volto distorto e vagamente putrefatto del morto vivente che ha dimostrato la maggior capacità di apprendimento. Il trionfo finale è rappresentato dal fatto che lui non mangerà il capo cinico, materialista e violento dei soldati (lo lascerà fare a brandelli dai suoi colleghi meno evoluti ed "educati"), bensì lo inseguirà volontariamente per i corridoi utilizzando consapevolmente una pistola, ebbene sì, gli sparerà perché se lo merita, perché ha capito che è stato proprio lui ad ammazzare il suo amico dottore, ma lascerà la sua carne, più putrida e corrotta di quella di un morto vivente, ai suoi meno educati consimili. E’ attraverso questo terzo film, e questa escalation finale, che iniziamo a capire che i cattivi, quelli veri, quelli che distruggono il pianeta curandosi unicamente del proprio interesse non sono più i morti viventi, ma una parte (fortunatamente solo una parte) di esseri umani vivi e con il cervello, apparentemente, in ottima forma, utilizzato peraltro solo per curare gli affari propri. Se nell’"alba" gli umani si rapportano con la colpa rappresentata dall’avidità, dall’indebita ed indiscriminata appropriazione della "roba", dio unico e solo del capitalismo americano, in questo terzo film l’attacco si sostanzia nella gratuita, egoistica ferocia dell’esercito americano, grezza, ignorante, incapace di porsi obiettivi a lungo termine attraverso la diplomazia, la trattativa, l’analisi finalizzata alla risoluzione di un problema (un grosso problema), ma che si pone come obiettivo, immediato, unicamente la distruzione in sé e per sé. Altra via, oltre alla bomba atomica, oltre al napalm del Vietnam (il fosforo bianco e Guantanamo sono ancora di là da venire) non vi è. Ma in questa debacle dell’essere umano la lenta ma costante evoluzione dei morti viventi inizia a trasparire, e lo spettatore inizia a mostrargli, in fondo, una certa, patetica, simpatia (vi assicuro, è proprio così).

 

 

Quali sono i carnefici e quali le vittime? Con una metafora nemmeno troppo azzardata, è più colpevole chi ottusamente fagocita "reality" diventandone dipendente, o chi gli stessi reality ha ideato, prodotto e realizzato, facendo sì che l’attenzione collettiva, più collettiva possibile, si occupi di "pasteggiare", letteralmente, a "culi e tette", distogliendo l’attenzione dalla devastazione del pianeta che pochi, ricchi e potenti, stanno operando, dall’avido saccheggio delle risorse a proprio esclusivo ed elitario beneficio, dallo spregio totale di leggi e regole fondanti la democrazia? Fortunatamente, anche se il "giorno dei morti" li lascia, forse, soli al mondo, su un’isola deserta, c’è sempre un manipolo di esseri umani che pensa, in prospettiva, al futuro dell’umanità, uomini che, restando nella metafora, non diventano dipendenti dai reality, che guardano oltre, al futuro di tutti gli uomini, non solo a quello, immediato, di se stessi.

 

CREDITI
ZOMBI – DAWN OF THE DEAD (1978)
 
Regia: George A. Romero
Sceneggiatura: George A. Romero
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 2 settembre 1978 (ITALIA), 20 aprile 1979 (USA)
Interpreti principali –
David Emge : Stephen
Ken Foree : Peter
Scott H. Reiniger : Roger
Gaylen Ross : Francine
David Crawford : Dr. Foster
Tom Savini : Blades
George A. Romero : Regista TV(non accreditato nei titoli)
Produttori: Dario Argento e Richard P. Rubinstein.
Colonna sonora originale: Goblin.
Direttore della fotografia: Michael Gornick.
Montaggio: George A. Romero.

IL GIORNO DEGLI ZOMBI – DAY OF THE DEAD (1985)
 
Regia: George A. Romero
Sceneggiatura: George A. Romero
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 19 luglio 1985 (USA)
Interpreti principali –
Lori Cardille : Sarah
Terry Alexander : John
Joseph Pilato : Capitano Rhodes
Jarlath Conroy : William McDermott
Anthony Dileo Jr. : Miguel Salazar
Richard Liberty : Logan
Sherman Howard : Bub
John Amplas : Dr. Ted Fisher
George A. Romero : Zombie
Produttore: Richard P. Rubinstein.
Colonna sonora originale: John Harrison .
Direttore della fotografia: Michael Gornick.
Montaggio: Pasquale Buba.

 In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).

I morti viventi sono tra noi – Prima parte

Prima parte

a cura di Pippi

 

(c) George A. Romero - Tutti i diritti riservati

 

I "morti viventi" nascono al cinema nel 1968, da una geniale idea di uno dei registi più "politici" nel panorama indipendente americano, George A. Romero, rimasto faticosamente indipendente allo scopo di mantenere la propria libertà di espressione su questioni decisamente "scomode", anche se espresse attraverso la metafora del cinema dell’orrore, peraltro sempre sostenuto, anche attraverso il passa parola, dalle giovani generazioni, cui di fatto il suo cinema, apparentemente di genere, è sostanzialmente rivolto. E’ necessario, in primis, precisare che "morti viventi" e "zombies" non sono esattamente la stessa cosa, e tale distinguo sarà utile nel prosieguo, se non altro per mostrare come la distribuzione commerciale italiana abbia stupidamente mischiato e trasformato delle opere che avrebbero meritato ben altra attenzione che quella per il puro effetto "splatter" da dare in pasto agli adolescenti.

La figura fantastico-orrorifica dello zombie, nasce, sempre in America, dal genio fantastico di Jacques Tourneur (Il bacio della pantera) unito alla capacità produttiva di Val Lewton (RKO Picture) ed alla scrittura di Curt Siodmak, siamo nel 1942, ed il film capostipite è I walked with a Zombie. In questo, come nei successivi epigoni, scopriamo che lo "zombie" è tale perché ha subito una maledizione woodoo che conduce ad una sorta di "paralisi mentale", di stato intermedio tra la vita e la morte, nel quale, però, le funzioni intellettive sono ridotte all’assolvimento minimo delle funzioni fisiologiche, oltre che all’asservimento alla volontà ed agli ordini, di un "padrone". In buona sostanza, gli zombie non sono nient’altro che schiavi, asserviti ad una volontà a loro esterna. Romero, nel 1968, inventa invece dei mostri sostanzialmente diversi, i suoi "morti viventi" sono persone realmente morte che "risorgono" per un misterioso e mai chiarito motivo, anche se ogni tanto viene fuori, ma solo attraverso i messaggi televisivi delle autorità alla popolazione, che si tratta di radiazioni provenienti da altri pianeti, ma la certezza dei motivi non viene mai chiarita del tutto e, soprattutto, non interessa a nessuno. I morti, quindi, risorgono dalle tombe, con volontà ed impulsi autonomi, seppure meccanici e distruttivi, fagocitatori dei vivi, ma senza più discernimento, capacità affettiva e, anche se non sempre, come vedremo, memoria. I morti viventi di Romero (La notte dei morti viventi – Night of the Living Dead, 1968) si cibano quindi dei vivi, se si viene anche solo morsi, in capo a qualche ora si muore e si diventa inesorabilmente come loro. L’unico modo per annientarli, farli morire definitivamente, è distruggerne il cervello, il loro unico "tallone d’Achille", onde fermare quel movimento puramente meccanico e distruttivo che gli permette di muoversi e di cercare di andare dritti al proprio unico obiettivo, il pasto di carne umana ed il conseguente ampliamento delle proprie fila. L’unica, drammatica scelta che resta ai vivi, quando un parente o un amico viene morso, costante che tornerà in tutti e 4 i film di Romero, è scegliere se sparargli subito alla testa o aspettare la trasformazione per farlo.

 

 

 

(c) George A. Romero

 

Fin troppo facile la metafora con quegli esseri umani che il cervello ce l’hanno per suppellettile, che seguono, da soli o in gruppo, l’unico obiettivo di assolvere ai propri istinti fisiologici, sfamarsi ed accaparrare cibo per sé, avidamente, ciechi ad ogni altra possibile manifestazione, ragionativa ed affettiva, propria dell’essere umano senziente e pensante. D’altra parte, ciò di cui si nutrono i morti viventi, è l’essere umano vivente stesso, segno che tutto l’universo mondo potrebbe diventare come loro, sono “contagiosi”, così come se ci si abituasse a frequentare persone che badano unicamente a “riempirsi la pancia”, ovvero a soddisfare i personali (personalistici) bassi istinti, si potrebbe anche diventare come loro. Nel primo film della serie, diventato ormai leggendario, l’unico essere umano che riesce a mantenere ferma e salda la propria razionalità è il nero Ben, mentre tutti gli altri membri del gruppo, che si erano rinchiusi in una casa isolata per salvarsi da queste ottuse orde fameliche, vengono morsi e si trasformano, via via, in altri morti viventi.

 

 

(c) George A. Romero

 

E’ Ben ad assumere la leadership di un gruppo improvvisato di 8 persone, tra cui anche una bambina, non senza varie resistenze da parte degli altri uomini, bianchi, rifugiatisi nella casa. E’ la messa in scena di un assedio che permea la maggior parte del film, e ci fa vivere l’angosciante sensazione di resistere circondati da "mostri", di sentirsi essere umani mentre, fuori, il mondo si riempie velocemente di "gente" avida e senza coscienza, senza alcuno scrupolo, famelica ed insaziabile di carne umana "viva", di sangue umano ancora caldo. Passata l’orribile notte della "resistenza", però, gli Stati Uniti si attrezzano alla difesa nell’unico modo che è loro proprio, attraverso lo sterminio, l’eliminazione radicale del problema da parte dell’esercito (denuncia cara a Romero, che approfondirà in un successivo lungometraggio, La città verrà distrutta all’alba – The Crazies, 1973). Al primo chiarore dell’alba il problema sembra ormai contenibile, ed in parte contenuto ed il nostro Ben, che prima insieme agli altri e poi da solo ha mantenuto il contatto con il mondo esterno attraverso una vecchia radio, osa riemergere dalla cantina in cui si era rifugiato, dove però lo attende la beffa finale. Lui ha la pelle nera, infatti, e non è un caso che, anche se la sua camminata è ben diversa da quella lenta, incerta e barcollante dei morti viventi, venga confuso dai giustizieri bianchi (quanto accidentalmente?) con uno di loro ed ucciso, dopo un’eroica nottata, con l’ormai noto e definitivo colpo alla testa.

 

CREDITI
 
Regia: George A. Romero
Sceneggiatura: George A. Romero e John A. Russo.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 1 ottobre 1968 (USA)
Interpreti principali –
Duane Jones : Ben
Judith O’Dea : Barbara
Karl Hardman : Harry Cooper
Marilyn Eastman : Helen Cooper
Keith Wayne : Tom
Judith Ridley : Judy
George A. Romero : Reporter (non accreditato)
John A. Russo : Reporter militare (non accreditato)
Produttori: Karl Hardman e Russell Streiner.
Colonna sonora originale: Scott Vladimir Licina.
Direttore della fotografia: George A. Romero.
Montaggio: George A. Romero e John A. Russo.
In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).