NOTE IN MARGINE ALLA
SU
LEONI PER AGNELLI
DI ANTONELLA MANCINI
.
Caro Daniele, apprezzo come sempre le tue recensioni, che mi illuminano su molti aspetti dei films che spesso mi sfuggono o non capisco alla prima.
Nel caso di Leoni per agnelli condivido quanto scrivi, ma sposterei la chiave di lettura. Di conseguenza, la tua critica di fondo – Redford non mette bene in luce gli interessi economici USA etc. – diventerebbe un elemento secondario e non decisivo. Cerco di spiegarmi meglio e parto da un po’ lontano per dire che questo non è un film destinato a noi, non per questioni generazionali come dici tu, bensì per formazione culturale. Questo è infatti un film che parla direttamente e quasi in gergo a un pubblico USA e made in USA. E’ un film che va dritto al cuore degli americani: pensato, scritto e girato per loro. Come se Redford dicesse “chi ha orecchie per intendere, intenda!”. Per noi ha un potere evocativo forte, che prende come può prendere un bel film asiatico, del quale però non potremo mai cogliere le implicazioni e i riferimenti più profondi. Le “citazioni” quelle si, perché siamo colti e arguti e il film di Redford, per nostra gioia, ne è zeppo. Io credo che bisogna conoscere ed essere stati immersi nella cultura USA per afferrare appieno il suo messaggio, che è quasi (quasi) a 360°, e anche aver seguito cosa si è mosso negli americani, e negli intellettuali americani, in questi ultimissimi anni. I tre protagonisti non sono solo i protagonisti di tre storie che si intrecciano, ma tre “metafore”, se mi si passa l’altisonanza del termine. Essi incarnano cioè quelli che Redford ravvisa come i tre poteri visibili che contano oggi in USA agli occhi delle nuove generazioni (le quali se ne fregano delle manfrine della grande finanza in mano ai Rumsfield o ai Cheeney). Il primo potere è quello più evidente – quello politico – algido nella sua ottusa ideologia senza macchia e senza paura; poi viene il potere dei media, con dubbi, ripensamenti, trasalti di coscienza e tormentoni (è interessante come si sta svolgendo attualmente, colà, il dibattito sul ruolo della comunicazione di massa), infine il potere dell’educazione, cauto, forse oltre il dovuto. Ed è bravo Redford a disegnarli tutti e tre nella loro ambivalenza. Le storie si intrecciano così come si intrecciano questi tre poteri, e già ce ne cresce per il giovane americano, diciamo quello medio-alto impersonato dallo studente – se vogliamo la quarta “metafora” – con cui Redford-Malley discorre (a proposito, perché il suo nome non è tra quelli degli interpreti?). Lui è il “pubblico” che al regista interessa raggiungere e che il regista chiama a rendere conto. E anche lui viene scaraventato nell’ambivalenza.
Ora mi dici tu come si fa, qui in Italia, a prendere come icone del Potere un politico rampante, una giornalista matura e belloccia, un prof di Università? Ciò che in USA risulta serio – o preso sul serio – qui fa ridere i polli. Inutile che io ti richiami proprio a quanto tu stesso hai scritto su questo blog a proposito dei giornalisti, e dei meglio giornalisti per giunta! Un giornalista con un’etica? Ma quando mai! Un prof che si preoccupa delle scelte dei suoi studenti? Ma scherziamo! Un politico che crede nelle sia pur castronerie che dice? Ma non prendiamoci in giro!
Perciò noi, italiani-europei (piacerebbe a D’Alema), ancora un po’ marxisti e puri, facciamo una fuga nel razionale e ci appigliamo alle categorie che ci sono più familiari, andando a scovare le motivazioni sottostanti alla baldanza USA etc. Ma credimi, per un americano doc non è necessario. Si sente già abbastanza shakerato così, e se non lo fosse, ci pensa Redford, facendogli morire davanti agli occhi, come degli idioti, i suoi compagni di scuola in un improbabile scenario da Guerre Stellari.
Antonella Mancini