Archivio mensile:febbraio 2007

Cineforum: "Infernal Affairs III"

Martedì 27 febbraio
21.30 Teatro Charitas di Chiavari, via Marana 8
FRAMMENTI : Schegge di Cinema – seconda edizione –

INFERNAL AFFAIRS III
di Andrew Law ed Alan Mack
Hong Kong 2003, 118 minuti

Il capitolo finale della strepitosa trilogia cinese ,che ha ispirato "Departed" di Martin Scorsese, svela nuovi e sorprendenti segreti che legano i personaggi e fa luce sui misteri più scottanti della storia ricongiungendo, in un finale spettacolare i tasselli mancanti e svelando la vera identità dei protagonisti.
Al fine di consentire la visione del film anche a coloro che non hanno mai visto il primo capitolo cinese ma conoscono il remake di Scorsese sarà curata una presentazione introduttiva concepita per ricollegare con il film in proiezione sia il capitolo originale che il film americano.

Ricordiamo (per chi non è ancora socio) che la tessera non può essere attivata la sera di proiezione con il biglietto d’ingresso.
SI PREGA PERTANTO DI TESSERARSI PRESSO I SEGUENTI LOCALI :

VIDEOTECA WONDER VIDEO LE CINEMA
Viale Kasman 3, Chiavari.
Dal lunedì al sabato 11.00 -13.00  –  16.00 – 20.00

ZUCCHERO AMARO
Via Entella 205, Chiavari.
Dal lunedì al sabato 09.30 -12.30  –  15.30 – 19.30
Chiuso lunedì mattina.

" Inland Empire " di David Lynch (2)

" Inland Empire " di David Lynch

Intro-Recensione di Daniele Clementi

Entrare nella mente di qualcuno è sempre stata una cosa interessante, il Cinema ci ha regalato più volte tentativi di invasione mentale ma con risultati spesso discontinui. Lynch è da sempre un "Mind Stalker", ogni suo film obbliga lo spettatore a sostenere la cara vecchia "Quest for …" ma rispetto a molti suoi insigni colleghi Lynch lo fa spesso rifiutando la struttura canonica e costringendo lo spettatore a mettere duramente alla prova il proprio intelletto, un gioco che nel caso di questo autore è sempre valso la candela.

Chi ha seguito in televisione "Twin Peaks" ha imparato che non ci si addentra nelle loggie nere del proprio inconscio senza qualche rito preliminare e che ogni viaggio presuppone l’uso di oggetti simbolici che possano in qualche modo tornare utili per il ritrovamento della strada di casa. Chi ha visto e capito "Lost Higway" ha imparato che una faccia è solo una faccia, un corpo è solo un corpo così come una voce o un nome e che la loro esistenza non presuppone necessariamente che possano esistere reali differenze fra un personaggio ed un altro. Chi ha visto e capito "Mullholand Drive" ha imparato che seguire il protagonista nel suo viaggio non significa necessariamente affidarsi alla figura più lucida e sicura del racconto e che la stessa empatia con il protagonista può determinare lo smarrimento irrevocabile dalla traccia del film, l’unica certezza in un viaggio "dentro" guidato da David Lynch e la violenta imposizione del suo punto di vista, unica certezza, unico punto di riferimento per sfuggire alle trappola rumorose e luminose con cui saremo bombardati. State sicuri che Lynch vi aggredirà con la stessa violenza psicologica con cui un torturatore infierisce sul torturato. State sicuri che le sue immagini vi esploderanno nel cervello con il preciso scopo di stamparsi nell’ inconscio per poter venire fuori quando meno ve lo aspettate, ma niente paura, il massimo che vi potrà succedere è di uscire dal cinema marchiati dal mondo di Inland Empire, tutto sommato poteva andarvi peggio. Potevate restare volgarmente estasiati dalla spazzatura ben confezionata di "MANUALE D’AMORE 2", o dalla violenza del patetico di "LA RICERCA DELLA FELICITA’" di Gabriele Muccino, o peggio ancora dal totale azzeramento della realtà imposto dall’offensiva dolcezza sintetica di "LA NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI 2". No, meglio la violenza di Lynch, meglio la sua cattiveria, la sua follia la sua sfrontata manipolazione della buona fede dello spettatore, ben più onesta di altre perchè priva di segni lobbisti come le grandi marche commerciali che si insidiano fra i fotogrammi dei film italiani o filoitaliani che ho precedentemente citato, meglio il marchio di Lynch che almeno è il marchio di un artista e non di una multinazionale, siamo più liberi di reagire, più capaci di scappare, più consapevoli.

Entrare nella mente di qualcuno è sempre stata una cosa interessante, ma per farlo bisogna spaccare la barriera con un urlo, una violenza di colore o il fragore improvviso di un tuono metallico amplificato oltre il possibile dalla fredda tecnologia digitale, senza la spaccatura non c’è nascita e dunque non c’è inizio, questo richiede l’atto del dolore, della nascita del figuro di cui abbiamo bisogno perchè l’immagine narrata abbia il suo senso, fatto questo il resto è delirio, il delirio matematico di un regista clinico che sa come iniziare, proseguire e finire il suo racconto, che vuole sviare ed "esorbitare" lo spettatore dalla sua posizione fino all’ultimo frammento di fotogramma. Unica certezza vendibile per pietà dello spettatore è garantirvi che tutto ha un senso, che tutto è siginficante di un messaggio e che non siamo fuori dalla storia (troppo comodo, cari ragazzi!) ma dentro la storia, anzi di più è la storia che è dentro di noi e se la vita non ci ha insegnato a leggere "dentro" la nostra storia, la storia di Lynch non la leggeremo mai e vagheremo per sempre dentro l’amnio di un oscuro inter-regno a Inland Empire.

… il viaggio continua la prossima settimana.

" Inland Empire " di David Lynch (1)

" Inland Empire " di David Lynch

(Non)Recensione di Livia Romano

Quando un comune mortale, si trova catapultato(ovviamente per sua sponteanea volontà) nell’universo(ma potremmo anche dire inferno) lynchiano sa già a priori (almeno questo vale per me) che ne verrà travolto in ogni modo, sa già che per almeno una settimana alcune immagini, alcuni pezzi di quel grande puzzle schizzofrenico gli ritorneranno continuamente alla mente…e cercherà in ogni modo di rintracciare una unitarietà, una organicità che rimetta tutti i pezzi al posto giusto, in un ordine cronologico o logico.Ma sono proprio queste le coordinate che non esistono nei film di Lynch, o meglio che vengono completamente stravolte al punto tale che tutto può essere, come anche no.
In Inland Empire questo suo vorticoso meccanismo è portatato all’estremo: tutto ciò che è non è, e ciò che non è, in realtà è o potrebbe essere. Un magma di scenari, volti, sparizioni, s’accavallano freneticamente, tanto da cancellare quella unica e chiara distinzione che ci viene proposta sin dall’inizio del film: da una parte c’è la vita della nostra protagonista Susan Blue, ricca (a quanto sembra dal salotto in cui ospita la nuova vicina di casa allucinata) e dall’altra Nikky Grace, il personaggio del film che lei interpreta, un film che non è mai stato finito perchè i due protagonisti sono stati assasinati.
Tra queste due "vite", il confine diventa sempre più labile e intricato, a questo gioco del doppio e dell’ambivalenza (molto caro al regista, infatti è ben evidente in Mulholland drive), si andrà presto a mescolare una terza vita quella della protagonista del film del passato, ora spettatrice in lacrime davanti a un televisore dal segnale disturbato, ora ragazza pugnalata con un cacciavite e ancora a quella di nove "muse" un pò amiche, un pò prostitute. Ma facciamo un passo indietro..il film inizia con il dettaglio di un disco che gira su un giradischi (ancora una volta l’amore di Lynch per oggetti meccanici che ci ricorda la sigla di Twin Peaks), ebbene al nostro regista piace confonderci ma anche darci alcuni indizi, alcuni segni di interpunzione, infatti, secondo me, è proprio con la riproposta di questa immagine che il film comincia a degenerare.Tengo a precisare che sin dall’inizio nulle è chiaro, infatti abbiamo due personaggi oscurati in volto (tipo candid camera, per intenderci) che si trovano in un salotto e parlano una lingua straniera. Salotto che tra l’altro la ragazza, forse una prostituta, non riconosce.
Il gioco incessante di richiami e sensazioni di déjà Vu ti accompagnano per tutto il film, un momento facendoti credere d’aver intuito qualcosa, un altro sbalordendoti con colpi di scena, balletti improvvisi, dissolvenze incrociate anomale e sparizioni (proprio alla Meliès). Il tutto condito a inquadrature insolite, sempre inclinate,tagliate o leggermente sfocate:interrotte, come anche tutti i dialoghi. Continue metamorfosi spaziali, fisiche e anche sociali(la nostra protagonista è ora attrice, ora prostituta, ora donna pettinata e benestante,..). Laura Dern si dimena in un labirinto di numeri e scritte che continuamente si richiamano l’un con l’altro, come anche gli squilli del telefono che repentinamente Lynch usa per confonderci o per aiutarci a seconda del percorso da noi intuito.
Certo è che nessun segno, nessun punto è mai certo, tutto è continuamente messo in discussione e nulla può essere detto "realtà".Come una spirale dove tutto gira e viene inghiottito, così è la dialettica delle immagini(caricate qui, in particolare, anche di un certo peso META-cinematografico).Non c’è staticità,
punto fermo, tutto è deframmentato, il tempo stesso, divoratore e gerarca assoluto, non ha più una sua logica, un suo tempo. Lo scandire è dato dai rintocchi della mente e dalle sue continue metamorfosi, dal suo incessante dilatarsi.
E come già ben sapevo da quando mi sono accomodata in poltrona, il finale nè chiude nè apre il film, la chiave risolutiva (sempre che esista) non poteva essere lì…..è per questo che esci dal cinema con quella sensazione di stordimento e insieme d’odio per non aver capito niente (perchè comunque ti manca sempre un tassello, un passaggio) che non può che farti esclamare "Lynch è un mostro, è follia e metodo…è PAN!

" Inland Empire " di David Lynch (0)

"Inland Empire" di David Lynch

Pre – Recensione di Daniele Clementi

Naturale prosecuzione della recensione "classica" di "Arthur e il poplo dei minimei" di Luc Besson e naturale prologo della Non – Recensione di "Inland Empire" di David Lynch.

Non dispiace mai parlare di film come "Inland Empire" in questo blog. Questa storia è una classica storia atipica in quanto simile ad una minoranza sommessa di altre storie devote al movimento surrealista ed al leggendario "chien andalou" di Bunuel e Dalì, ma contemporaneamente orignale ed innovativa rispetto a quelle storie classiche irrimediabilmente identiche a tutto ciò che l’uomo ha concepito in precedenza, questa non è semplicemente una anti-storia, ovvero la sintesi di una rivoluzione antistrutturale più grande, capace con la sua onirica anarchia di disturbare lo spettatore meno abituato e quindi omologato alla vecchi maniera di raccontare storie che ci ostiniamo a voler sentire raccontate dalla nostra nascita fino alla nostra morte. Questa storia è invece la storia che si oppone alla "vecchia storia" senza mai batterla ma pronta ad ostacolarla ed il campo di battaglia di questo conflitto è lo spettatore di sempre. Lo spettatore che vuole qualcosa "di classico" che cambi l’aspetto degli eroi solo per quella sufficienza che consenta di non riconoscere troppo la "solita storia" che vuole in realtà sentire raccontata in eterno. Lo spettatore è contento di vedere i suoi eroi con una faccia nuova ma sempre uguale, quello spettatore che si compiace di scoprirsi così bravo da capire il finale e da sapere cosa succederà, ma al tempo stesso che necessita di "cosine nuove", dettagli e piccole sorprese che rendano la storia almeno nuova nella sua confezione estetica. Perchè in fondo ma proprio in fondo, nascondendolo anche a se stesso, lo spettatore di questo genere sa che la cara vecchia storia che gli raccontano dai tempi delle fiabe è ancora tutta li, scritta come sempre, uguale a se stessa. Cari miei, non sarò io a toccare la più classica delle storie ma non vi nasconderò che proprio di quella storia si tratta, si proprio quella che tanto volete / vogliamo sentire.

Se andrete a vedere questo film, non troverete la storia che volete, la storia che tutti vogliono non ci sarà, con le sue regole e di suoi personaggi, non la troveremo lì, non sarà con noi e non ve la godrete, sorprendendovi di sapere così bene come andrà avanti. "Inland Empire" è la storia "dentro", quel "dentro" che non vogliamo vedere di noi stessi e quindi figuriamoci di un altro, "Inland Empire" è la storia da cui fuggiamo ogni giorno guardando la storia delle storie che ci tranquillizza come le coccole di una mamma.

La recensione non finisce qui, è appena cominciata, anzi introduce la Non Recensione di Livia (che pubblicheremo domani) e proseguirà ancora in tante altre simil-meta recensioni sullo stesso film, perchè recensire e basta "Inland Empire" sarebbe come rinnegare il fine ultimo della sua esistenza: riaccendere i cervelli assopiti da schemi tanto antichi quanto rassicuranti.

Il viaggio è iniziato benvenuti a Inland Empire.

"Arthur e il popolo dei Minimei" di Luc Besson

"Arthur e il popolo dei Minimei" di Luc Besson

Recensione "classica" di Daniele Clementi.

Naturale prefazione della "Pre-Recensione" di "Inland Empire" di David Lynch.

Almeno una volta, mi ero promesso che almeno una volta avrei recensito una storia assolutamente classica in questo blog, quella volta è giunta e si chiama "Arthur e il popolo dei minimei". Questa storia è classica in quanto uguale ad una infinità di altre storie, questa storia è classica in quanto irrimediabilmente identica al tutto ciò che l’uomo ha concepito in precedenza, questa non è una storia, bensì la sintesi di una storia più grande, di un’immensa favola vecchia quanto la nostra civiltà che ci ostiniamo a voler raccontare e sentire raccontata dalla nostra nascita e forse vorremo sentire anche al giungere del nostro tramonto. Questa è LA STORIA, quella che vorremmo fosse la storia della nostra vita, che non si realizza mai così come noi la vogliamo ma che non smette mai di essere il nostro perenne ostentato desiderio, questa è la storia che vogliamo risentire fino all’infinito e peste e tempesta colga chi decide di non raccontarla con il suo film. Non abbiamo bisogno di sentirla raccontata e riassunta questa storia perchè esiste dentro di noi più e meglio di qualsiasi sinossi, riassunto o recensione, anche se nessuno ci ha mai aperto gli occhi obbligandoci ad ammetterlo noi sappiamo che questa è la storia che vogliamo vedere, la storia che vogliamo sentire, la storia che vogliamo vivere in infinite altre vite e dopo … una volta ancora. Questa storia è la storia di sempre ma qualcosa "sempre" deve cambiare, quello che cambia è l’aspetto degli eroi della nostra storia, non cambia mai moltissimo ma solo in quella sufficienza che ci consenta di non riconoscerla troppo, siamo contenti di vedere i nostri eroi con una faccia nuova ma sempre uguali a loro stessi, ci compiaciamo di scoprirci così bravi da capire il finale e da sapere cosa succederà, ma al tempo stesso ci serve che ci siano "cosine nuove", dettagli e piccole sorprese che rendano la nostra storia almeno nuova nella confezione, altrimenti che gusto ci sarebbe ! Perchè in fondo ma proprio in fondo, nascondendolo anche a noi stessi, questa storia è la cara vecchia storia che ci raccontano dai tempi delle fiabe ed è ancora tutta li, scritta come sempre, uguale a se stessa come da bambini, così anche da adulti la nostra storia deve restare in piedi e nessuno … ma proprio nessuno ce la deve toccare. Cari miei, non sarò a toccarvi la vostra / nostra storia ma non vi nasconderò che proprio di quella storia si tratta, si proprio quella che tanto volete / vogliamo sentire, andate pure a vedere questo film, la storia che volete, la storia che vogliamo ci sarà, con le sue regole e di suoi personaggi, la troveremo li, sarà con noi e ce la vedremo, sorprendendoci di sapere così bene come andrà avanti, ma senza svelare il trucco, zitti, zitti. Si spengono le luci e la nostra cara vecchia storia ricomincia, godiamocela, non chiediamo altro.

Penso che in futuro userò ancora questa recensione, ogni volta che mi capiterà fra le mani la cara, vecchia, storia delle storie.

Cineforum: " Infernal Affairs 2 "

Martedì 20 febbraio
21.30 Teatro Charitas di Chiavari, via Marana 8
FRAMMENTI : Schegge di Cinema – seconda edizione –

"Un ciclo poliziesco memorabile" M. Mann (Miami Vice, Collateral)
"Una trilogia chiave del poliziesco moderno" Quentin Tarantino

INFERNAL AFFAIRS II
di Andrew Law ed Alan Mack
Hong Kong 2003, 119 minuti

Il film ricompone i tasselli mancanti del grande poliziesco 
"Infernal Affairs" da cui Martin Scorsese ha tratto il suo recente film "The Departed".
Al fine di consentire la visione del film anche a coloro che non hanno mai visto il primo capitolo cinese ma conoscono il remake di Scorsese sarà curata una presentazione introduttiva concepita per ricollegare con il film in proiezione sia il capitolo originale che il film americano. Il cadetto di polizia Ming è l’informatore di un potente boss della droga che vanta fra i suoi uomini migliori il giovane gangster Yan a sua volta
poliziotto sotto copertura infiltrato nella triade. Un Noir alla Melville ormai divenuto un fenomeno di costume del cinema di Hong Kong del nuovo millennio. Un poliziesco avvincente ed imperdibile.

Ricordiamo (per chi non è ancora socio) che la tessera non può essere attivata la sera di proiezione con il biglietto d’ingresso. SI PREGA PERTANTO DI TESSERARSI PRESSO I SEGUENTI LOCALI :

VIDEOTECA WONDER VIDEO LE CINEMA
Viale Kasman 3, Chiavari.
Dal lunedì al sabato 11.00 -13.00  –  16.00 – 20.00

ZUCCHERO AMARO
Via Entella 205, Chiavari.
Dal lunedì al sabato 09.30 -12.30  –  15.30 – 19.30
Chiuso lunedì mattina.

" Maestro " di Géza M. Tóth

" Maestro " di Géza M. Tóth

Il cortometraggio d’animazione ungherese di Tóth è candidato al premio Oscar come miglior film straniero. Quindi ci complimentiamo con i ragazzi del Circolo del Cinema Kimera per avere scelto e distribuito questo piccolo e delizioso cortometraggio nel pacchetto di corti d’animazione "La terra dei corti viventi" che vi abbiamo proposto all’interno della serata "ANIMA 2006". Io non sono un fervido sostenitore della notte degli Oscar però solitamente il criterio selettivo sui corti e molto ragionato. Se il film vincerà la statuetta ci riserveremo un secondo passaggio celebrativo.

L’ ESORCISTA E I SUOI SEGUITI

A cura di Daniele Clementi

Probabilmente una delle saghe del terrore più discontinue e confuse della storia del Cinema, dove il primo capitolo basta e avanza per giustificare la disperata necessità di continuare a girare seguiti nonostante i ripetuti fallimenti.In fondo a questo articolo troverete anche la recensione del capitolo mai distribuito in Italia (come in buona parte del mondo) e mostrato in Italia solo nel 2005 al Torino Film Festival. Buona lettura.

L’ESORCISTA

(The Exorcist)

di William Friedkin, Usa 1973

Quando il film invade le sale americane quasi nessuno sa cosa sia un’esorcista e a quale particolare rituale si riferisce questo termine, il film esplode con un fragore mediatico più unico che raro e diventa uno dei più grandi successi del decennio. William Peter Blatty , autore del bestseller a cui si ispira il film, scrive e produce personalmente il lungometraggio assegnando al talentuoso William Friedkin la regia del film. La storia è quella di Regan Teresa MacNeil (Linda Blair), una bambina tranquilla , figlia di una nota attrice di hollywood, una ragazza garbata e bene educata che disegna creature fantastiche che occasionalmente riproduce con il pongo. Reagan si trova a New York per necessità professionali della madre ed ogni tanto gioca da sola con una tavola Oui-ja , un’oggetto utilizzato dai medium per parlare con l’aldilà durante le sedute spiritiche. Regan non sa che cosa sia in realtà quella tavola e non crede che sia pericolosa l’entità con cui entra in contatto e che battezza con il nome di Capitan Gaio. Ogni tanto, durante la notte, nella casa di Regan ci sono strani rumori e il suo letto comincia tremare. Chris MacNeil (Ellen Burstyn), madre di Regan, si divide come può tra il lavoro e le sue responsabilità di madre separata, agisce talvolta in modo superficiale ed è disinibita nel linguaggio. Padre Damien Karras (Jason Miller) è un prete psicologo che si occupa specificamente dei problemi dei suoi colleghi, ha una vita molto modesta ed un madre anziana e malata che vive nei bassifondi di New York. Padre Lankester Merrin (Max von Sydow) è un prete archeologo, lavora nel nord dell’Iraq e si occupa di un scavo in cui sono stati rinvenuti oggetti atipici come una stauta sumera di un demone, una piccola riproduzione della testa dello stesso ed una medaglietta cristiana incomprensibilmente rinvenuta insieme ad oggetti molto più remoti. Tutti questi personaggi sono costretti dagli eventi a confluire in una gelida notte invernale con un solo scopo : salvare il corpo e l’anima della piccola Regan dalla possessione demoniaca. Il film, che fondamentalmente non appartiene al genere horror canonico, viene considerato paradossalmente come un capolavoro proprio del genere da cui cerca di distanziarsi. Così come per altri due film che stilisticamente gli succederanno (“Nosferatu” di Herzogh e “Shining” di Kubrick), questo film costruisce un clima di inquietudine e paura molto più credibile e meno teatrale (talvolta tranquillizzante) dei film standard del genere, divenendo così una sorta di film drammatico surreale in cui l’impossibile giunge ad una sua plausibilità spiazzando ed incantando lo spettatore. Nella prima parte del film seguiamo una duplice agonia, quella di padre Karras che assiste impotente al disfacimento della madre sino alla morte e l’agonia di Regan che viene “torturata” da medici di ogni sorta nel disperato tentativo di curare con la medicina una malatia appartenente all’anima nella sua più evidente definizione cattolica. Solo al limite estremo della situazione e quando ormai lo spettatore è costretto ad un forte senso di malessere per la condizione dei protagonisti si giunge ad una sorta di sollievo paradossale dove la possessione demoniaca diviene una sorta di alleggerimento della struttura drammatica. La figura dell’anziano padre Merrin è concepita ,sotto nascosta ispirazione, sui paradigmi del cinema western americano ed è infatti l’unica presenza morfologicamente “eroica” e dunque utopica ed irreale del film, Friedkin sceglie persino di mostrarci la sagoma di Merrin davanti alla statua del demone sumero come se fosse una sorta di sfida all’O.K. Corral. Ultima figura chiave del racconto è il detective William F. Kinderman (un fantastico Lee J. Cobb), in sostanza una presenza classica poliziesca che ridimensione il dramma della storia e riporta il racconto nei binari del cinema di genere. Non voglio rovinare la visione a chi di voi ancora non ha visto questo film chiave del cinema nordamericano degli anni 70′ quindi limito la mia analisi e vi risparmio i dettagli più importanti sul finale. Nelle ultime scene del film però si intuisce la nascita di un amicizia fra il detective Kinderman e padre Dyer (una spalla di padre Karras interpretato dal vero reverendo William O’Malley) attraverso alcune sequenze tagliate nella prima versione del film e recuperate nella nuova riedizione. Tra le varie scene impressionanti della possessione demoniaca si ricorda la testa che ruota di 360°, la levitazione durante l’esorcismo e il famoso vomito “al pesto” che tante volte sarà ripetuto nella storia del cinema fino a divetare un luogo comune del cinema demenziale. La colonna sonora otterrà un posto nella storia del Cinema così come la sceneggiatura di Blatty che vincerà un premio Oscar. Dal punto di vista spirituale il film non è realmente offensivo o conflittuale con la religione cristiana, anzi Blatty sembra perfino ossessionato dalla religione, ma la ragazza posseduta fa un uso sia fisico che linguistico dei simboli del cristianesimo talmente estremo da poter offendere oggettivamente alcuni fedeli. Si sconsiglia la nuova versione inutilmente arricchita di dettagli orrorifici ed invasa da inutili giochini in computer grafica, non servono e rendono il film meno realistico.

L’ESORCISTA II – l’eretico

(The Exorcist II – The heretic)

di John Boorman, Usa 1977

Quando arrivano i soldi la gente litiga, è un vecchio luogo comune che nasce da una profonda verità. Il risultato al botteghino del primo capitolo convinse la Warner a produrre un seguito non riconosciuto dall’autore del primo film, a dire il vero Blatty concesse per molti soldi i diritti sui personaggi per poi pentirsene in seguito. Il film è un seguito convenzionale della prima storia e punta sulle origini di padre Lankester Merrin (Max von Sydow) e su una sorta di ricaduta di possessione di Regan Teresa MacNeil (Linda Blair). Scompare dal gioco la madre ma si aggiunge la figura di padre Philip Lamont (un grande Richard Burton). Girato quasi completamete in studio , anche le scene ambientate in Africa che raccontano il primo esorcismo di Merrin sono tutte fatte in teatro di posa. Un pessimo seguito, colorato e commerciale, molto poco drammatico e decisamente incoerente con le atmosfere inquietanti del suo precursore. Un film concepito per fare soldi che rivela la velleità di essere un racconto sulla natura dell’uomo e sul conflitto fra scienza e religione (tutto per sommi capi e senza profondità). Il regista John Boorman veniva da “Un tranquillo week- end di paura” e 4 anni dopo avrebbe realizzato il suo capolavoro: “Excalibur”, per lui fu il passaggio dal cinema indipendente al cinema ad alto budget. Sul piano spirituale il film utilizza gli stilemi della religione cristiana per ragioni di spettacolarità esattamente come Mel Gibson nel suo film “La passione di Cristo”, ma erano due epoche diverse e una chiesa diversa. In questo film ci viene rivelato che il demone che possiede due volte Regan si chiamam Pazuzu ed è assiro, questo dovrebbe spiegare la presenza della statua del demone sumero in alcune scene del primo film. Sul nome del demone che possiede la protagonista vi sono diverse interpretazioni e per fare chiarezza rimando alla resto della recensione. La musica del film è composta dal nostro Ennio Morricone.

L’ESORCISTA III

(The Exorcist III – Legion)

di William Peter Blatty, Usa 1990

Il terzo seguito dell’Esorcista non è il seguito del secondo film bensì un seguito alternativo del primo. Il film nega sostanzialmente la tesi del secondo capitolo che afferma che il demone che possiede Regan si chiami Pazuzu e che sia lo stesso affrontato da padre Merrin in Africa all’inizio della sua carriera. Il terzo film infatti è scritto e diretto da William Peter Blatty , autore del bestseller a cui si ispira il primo film nonchè sceneggiatore e produttore del primo lungometraggio per il quale vinse anche un Oscar. Quindi dal punto di vista artistico questo terzo film dovrebbe essere l’unico seguito riconoscibile. Il demone che ha posseduto Reagan qui si chiama Legione ed uscito dal corpo di Regan per entrare in quello di un serial killer che si fa chiamare Gemini. Il detective William F. Kinderman (interpretato da Lee J. Cobb nel primo film ed ora da un grande George C. Scott) torna in questo capitolo e ne diventa il protagonista. Torna anche il personaggio di padre Dyer (questa volta interpretato da Ed Flanders) divenuto amico di Kinderman come anticipato da alcune scene finali del primo capitolo. Il film si contamina con il poliziesco seriale e rivela una deviazione di percorso spregiudicata ed originalissima, scompaiono dal gioco quasi tutti i personaggi del primo ma le atmosfere e la drammaticità del film originale sono pienamente rispettate (al contrario del secondo che sembra essere il pilota di una nuova saga), solo la paura e la tensione lasciano spazio a momenti di riflessione filosofica e religiosa che possono annoire lo spettatore. Un film intelligente ma limitato nella tecnica e lento nello sviluppo. Samuel Jackson fa una parte piccolissima, quattro anni dopo sarebbe diventato famoso per “Pulp fiction” di Tarantino. Torna per pochi secondi (ma non tutti lo notano nel finale) anche padre Damien Karras (Jason Miller) che salvò Regan nel primo film.

L’ESORCISTA – La genesi

(The Exorcist – The begining)

di Renny Harlin, Usa 2004

Venduto ufficialmente come il prequel del primo “Esorcista”, questo film è in realta un remake parziale del secondo della serie. La storia dovrebbe raccontare le origini della vocazione di prete esorcista di Lankester Merrin e il suo primo incontro con il demone sumero Pazuzu, che secondo “L’Esorcista 2” avrebbe posseduto la piccola Regan nel primo e nel secondo capitolo . Per sostenere questa versione il film contraddice l’autore del romanzo originale William Peter Blatty che con “L’Esorcista 3” attribuiva al demone il nome di Legione. Una bella ed inutile confusione. In sostanza il film cerca di raccontare le origini di padre Merrin che Boorman aveva già raccontato nel 1977 cambiandole. Izabella Scorupco (“007 Goldeneye”) interpreta la posseduta che svolazza qua e là per una chiesa sepolta sotto la sabbia della Namibia senza nemmeno spiegare perchè una chiesa si dovrebbe trovare li sotto. All’origine di questo film c’è un progetto intitolato “Exorcist – The origins” con Liam Neeson nel ruolo di padre Lankester Merrin (Max von Sydow nel primo e secondo film) e la regia del solido John Frankenheimer. Il regista scelse in seguito di sostituire il protagonista con l’attore europeo Stellan Skarsgård (“Le onde del destino”, “Dogville” e la versione originale svedese di “Insomnia”) con cui aveva già lavorato sul set di “Ronin”. Frankenheimer muore nel 2002 e la produzione lo sostituisce con Paul Schrader cambiando il titolo del film con “Paul Schrader’s Exorcist: The Beginning”. La produzione del film resta insoddisfatta del girato di Schrader e decide di bloccare l’uscita del film per rigirare la storia da capo assegnando il compito a nuovi sceneggiatori e ad un nuovo regista. Così, mentre un intero film viene chiuso in magazzino subentra il regista Renny Harlin (“Die Hard 2”, “Nightmare 4”) che riparte da zero con un nuovo “Exorcist IV: The Beginning”. Il solo spettatore in grado di apprezzare minimamente questo film è uno spettatore che non ha mai visto il primo capitolo. Un film indeciso e caotico che non sa da che parte andare e nemmeno è in grado di stabilire a quale genere appartenere sospendendosi a metà fra il cinema horror convenzionale ed il film d’azione ed in entrambi i casi offendendo lo spirito originale delle serie. Inoltre il regista ha ammesso di non avere mai visto i capitoli precedenti (bravo !)

DOMINION – A PREQUEL TO THE EXORCIST

di Paul Schrader, Usa 2005

Girato prima di “L’ESORCISTA – La genesi” ma distribuito malamente solo un anno dopo e nemmeno in tutto il mondo (in Italia è stato presentato solo al Festival di Torino) il film è il primo prequel della serie rifiutato dai produttori. Paul Schrader è un regista di alta qualità, nato come sceneggiatore si rivela uno dei più grandi scrittori cinematografici americani contemporanei. Il suo esordio è con la sceneggiatura di “Yakuza” di Sydney Pollack a cui seguono il grande “Taxi driver” di Martin Scorsese e “Obsession – Complesso di colpa” di Brian De Palma. Nel 1978 gira il suo primo film da regista “Tuta blu – Blue collar” un dramma sulla corruzione sindacale nelle fabbriche di automobili. Tra le sue più grandi sceneggiature si ricordano: “Toro scatenato” e “L’ultima tentazione di Cristo” entrambi di Scorsese. Come regista e sceneggiatore ha invece realizzato “American Gigolo”, “Mishima” e “Affliction”. Il montaggio del film è stato completato da Tim Silano a basso budget e solo per dare un contentino al pubblico più raffinato, quindi gli effetti speciali e la cura dei dettagli di post produzione sono decisamente scadenti se paragonati al film di Harlin. Restano gli ambienti ma cambiano tutti gli attori tranne Stellan Skarsgård. Padre Merrin deve esorcizzare un bambino deforme frutto dello stupro di una donna africana da parte di di un soldato inglese, che a seguito della possessione diventa un giovane bellissimo di carnagione bianca, dunque il male che seduce con la bellezza ed il bene che per salvare l’anima del posseduto lo deve riportare alla mostruosità. Una bella trovata molto originale ed intelligente che non piacque alla produzione perchè priva del classico vomito verde e di teste che si rovesciano (vai a dare perle ai porci …). Inoltre questo film nega la tesi sostenuta da “L’ esorcista 2” e “L’Esorcista – La genesi” secondo la quale il demone sumero Pazuzu ha posseduto tutte le vittime esorcizzate da padre Merrin nella sua carriera. Il demone di questo film si chiama infatti Dominion e sembra essere più assimilabile alle atmosfere del primo esorcista e del terzo. Ottima la fotografia del grande Vittorio Storaro (“Apocalypse now”, “L’ultimo imperatore”, “Dick Tracy”) e la colonna sonora del mitico Angelo Badalamenti (“Twin Peaks”). La scena cult: Padre Merrin di spalle che nel finale attraversa un arcata come faceva John Wayne uscendo dalla casa dei coloni nel finale di “Sentieri selvaggi” di John Ford ricordando le origini western della figura di Merrin … che dire ? Grande Paul Schrader !

Approfondimento: Thank you for smoking

Ho deciso di pubblicare i testi dei cartelli che ho letto martedì sera prima della proiezione del film "Thank you for smoking" tanto per dare qualche spunto in più.

Ringrazio la Lucky Red per il materiale fornito e parzialmente usato per questi carteli. Buona lettura.

"Lobby"

Attività di gruppi di pressione o d’influenza che desiderano far valere le loro rivendicazioni esercitando un potere sulle decisioni dei politici del proprio paese. Negli Stati Uniti è un diritto consacrato dal primo emendamento della Costituzione, allo stesso titolo della libertà di stampa. La pratica del lobbying si è sviluppata in modo considerevole a partire dal 1870. All’epoca il generale Grant, 18° presidente americano, aveva la consuetudine di andare a bere un cognac e fumare un sigaro nella "lobby" dell’Hotel Willard. Coloro che cercavano i suoi favori presero l’abitudine di recarsi all’hotel per intrattenersi con lui in veste informale. Il lobbying è una pratica istituzionalizzata negli Stati Uniti. Multinazionali, banche, sindacati, case farmaceutiche, associazioni anti abortiste o pro armi da fuoco posseggono uffici permanenti a Washington. Le lobby si impegnano a finanziare una campagna elettorale o ad ottenere i voti di determinate comunità. I lobbisti sono obbligati a registrare le loro attività e pubblicare il dettaglio delle loro spese, di cui il Congresso tiene i conti. A Washington lavorano attualmente oltre 35.000 lobbisti. Gestiscono oltre 2 miliardi di dollari all’anno e sono disclotati a K street, una vera e propria arteria della capitale. Lo stipendio di un lobbista può raggiungere 300.000 al mese. I tre fattori principali a cui si deve lo sviluppo recente del lobbing sono:

1 . Accrescimento del numero del personale del governo federale.

2 . Governo repubblicano.

3 . Alto consenso tra i responsabili delle imprese.

Il 46% dei deputati che lascia il Congresso diventa lobbista.

Cineforum : Thank you for smoking

Martedì 13 febbraio 21.30 Teatro Charitas di Chiavari, via Marana 8
FRAMMENTI : Schegge di Cinema – seconda edizione –

THANK YOU FOR SMOKING

di Jason Reitman, Usa 2006, 92 minuti

Nick Naylor di lavoro rappresenta le multinazionali del tabacco e va in giro per il mondo a convincere le persone a fumare. I suoi migliori amici sono Polly Bailey, che vende alcolici e Bobby Jay Bliss che piazza armi. ASSOLUTAMENTE IMPERDIBILE !!!

Le tessere 2006 saranno valide fino alla fine di giugno, ma vi chiediamo, all’uscita dal Teatro dopo il film, di rinnovare subito la vostra iscrizione per sostenere il circolo.

Ricordiamo (per chi non è ancora socio) che la tessera non può essere attivata la sera di proiezione con il biglietto d’ingresso. SI PREGA PERTANTO DI TESSERARSI PRESSO I SEGUENTI LOCALI :
VIDEOTECA WONDER VIDEO LE CINEMA Viale Kasman 3, Chiavari. Dal lunedì al sabato 11.00 -13.00  –  16.00 – 20.00

ZUCCHERO AMARO Via Entella 205, Chiavari. Dal lunedì al sabato 09.30 -12.30  –  15.30 – 19.30 Chiuso lunedì mattina.