Archivio mensile:febbraio 2014

“Djinn” di Tobe Hooper (Emirati Arabi Uniti 2013)

Il grande maestro del cinema horror americano Tobe Hooper (“Non aprite quella porta”) trasferisce il suo talento negli Emirati Arabi Uniti per il il primo horror ad alto budget della storia araba. Uno spirito di male puro che ruba i bambini e li sostituisce con i suoi prende possesso di un’antico villaggio e quando in era moderna verrà costruito un’immenso grattacielo poco fuori Dubai farà di quel moderno palazzo un’inferno antico ed ancestrale da cui i visitatori non potranno più uscire. Il film è ben congegnato e gli effetti speciali sono di ottima fattura, ci si spaventa spesso e volentieri e le scene di alta tensione rendono bene. La famiglia vittima del demone è una coppia di arabi che hanno dimenticato le loro origini e parlano anche in privato in lingua inglese, la donna è naturalmente la vittima preferenziale ma anche lo spirito malefico è femmina e si manifesta con una sorta di burka fatto di ombra e fumo. Alla fine il film di Hooper è un’interessantissima esperienza visiva che invita lo spettatore a guardare la cultura araba dal punto di vista del cinema horror e regala momenti di un certo interesse sociologico.

Daniele Clementi

“The Physician” di Philipp Stölzl (Germania 2013)

Il bavarese Philipp Stölzl mette in scena un dramma in costume basato sul romanzo di Noah Gordon, il primo di una trilogia dedicata all’immaginaria famiglia di medici inglesi Cole. La storia si svolge intorno all’anno 1000 e partendo dall’Inghilterra arriva fino in Persia dove un giovane curatore inglese con strane capacità paranormali si fingerà ebreo per apprendere l’arte della medicina dalle scuole arabe e sfiderà l’ottusità del fondamentalismo per perfezionare ed evolvere la scienza medica. Il film è una grande opportunità per esplorare filosofie, religioni e costumi d’epoca mantnendo sempre un panorama esotico e suggestivo e sfruttando l’ambiente per moniti moderni sull’importanza della medicina e della collaborazione fra popoli e culture. Un bel film di genere, coraggioso dal punto di vista filosofico ma non particolarmente complesso o intellettuale, di graziosa fattura ed ottima resa drammatica, il film di Stölzl si avvale di due meravigliosi attori come Stellan Skarsgård e Ben Kingsley.

Daniele Clementi

NYMPHOMANIAC VOLUME I di Lars Von Trier, Danimarca (Berlinale 2014)

Lars Von Trier racconta senza autocensure la vita di una donna chiamata Joe fra sesso, morte e matematica. Un film duro, razionale, crudele ed almeno per l’autore liberatorio. Il ritorno dell´ambizioso regista danese passa per una narrazione psicologica e scientificamente clinica delle condizioni della psiche intervallata da scene che più che pornografiche sembrano il frutto di un logico e freddo documentario sulla meccanica del rapporto sessuale. Il film, divertito e divertente a tratti, si snoda attraverso un caleidoscopio di personaggi tormentati e devastati dal dolore o dal sesso, si lascia poi allo spettatore il gusto di riconoscere tutti gli attori famosi che compaiono nel film. Se Bergman non aveva bisogno di mostrare il sesso o la sessualitä per raccontarlo (“Persona”) Lars Von Trier ha bisogno di mostrarlo clinicamente per poterne fare a meno nella profondità del racconto, in sostanza un film sul sesso che compare nella sua forma piü vuota e miserabile per spingere l´immaginazione del pubblico oltre la superfice e costringerlo a guardare l´oscuro che si annida in lui o quantomeno nel regista.
Daniele Clementi

THE MONUMENTS MAN di George Clooney, USA (Berlinale 2014)

La ricostruzione storica romanzata di George Clooney sulla squadra di esperti che lavorò in Europa ad un passo dalla fine della seconda guerra mondiale sembra quasi una sorta di “Bastardi senza gloria” per famiglie. Clooney impara dai classici film di guerra americani (Da “Quella sporca dozzina” fino a Tarantino) e confeziona un film per tutti, senza sbavature stilistiche ma anche un pò superficiale nei contenuti. Nel film non mancano momenti commoventi e certamente lo spirito educativo per l´amore verso l´arte e la sua conservazione come patrimonio dell’umanità sono più che adatti per una proiezione per studenti. Nonostante tutte le lodi però da un’occasione così golosa si sperava in un film dallo spessore maggiore. Superata la delusione sulla profondità per il resto ci si trova davanti ad un film americano classico, politicamente corretto anche se di tanto in tanto troppo nazionalista ma impeccabile nella forma e simpatico nella confezione. I protagonisti fanno a gara di simpatia ed ammiccano fin troppo allo spettatore cinefilo.
Daniele Clementi

SNOWPIERCER di Joon-ho Bong, Corea del Sud (Berlinale 2014)

Joon-ho Bong mette in scena un kolossal di fantascienza distopica imponente ed emotivamente coinvolgente, sebbene l’autore non abbia mai voluto riconoscere identitä ideologiche in questo film, riesce davvero difficile non leggere in chiave politica un film che racconta degli ultimi sopravissuti dell´umanità prigionieri in un treno dal percorso perpetuo e cristallizzati in divisioni di classi sociali rappresentate dalle carrozze del mezzo. La storia ha inizio dal fondo del treno, dove gli esseri umani sono costretti a vivere nell´indigenza e nella sporcizia, repressi da un’ordine militare violento e costretti a rimanere chiusi nelle loro buie carrozze. Una rivolta della classe sociale più povera permetterà allo spettatore di esplorare il treno dell’umanità fino ai suoi sontuosi vertici scoprendo atroci verità nascoste ai passeggeri per mantenere l’ordine e lo stato di controllo della classe dominante. La parte piu´ interessante del racconto però appartiene al personaggio interpretato dall´icona del cinema coreano Kang-ho Song, un’esperto di sicurezza militare che intuisce che la condizione di gelo mortale che ha costretto l´umanità a rifugiarsi nel treno perpetuo si sta risolvendo e che per ridare speranza ed uguaglianza agli uomini il treno va fermato e distrutto. Inevitabile sentire un’anima politica in questa storia ed inevitabile trovare la metafora del treno che corre senza destinazione proteggendo l´umanità da una distruzione paventata ma non dimostrata come una metafora della nuova economia neoliberista.
Daniele Clementi