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"Daybreakers" di Michael e Peter Spiering (2009)

 

Nel 2003 i fratelli Spiering si erano fatti conoscere nel mondo per un film dal budget bassissimo che aveva ottenuto l’invidiabile risultato di essere venduto in quasi tutto il mondo.

La scuola dei fratelli Spiering era quella del Peter Jackson degli albori, quello di “Bad taste” e “Splatters: Gli schizzacervelli” per intenderci, e con il loro piccolissimo film di alieni e morti viventi intitolato “Undead” i fratelli filmaker erano riusciti ad oltrepassare il portale dell’industria del cinema di genere. Ci sono però voluti sei lunghi anni prima di vederli al lavoro in un film ad alto budget destinato al mercato internazionale. Siamo in un futuro distopico, nel non troppo lontano 2019 il genere umano ha avuto la prova inconfutabile dell’esistenza dei vampiri, contrariamente a quello che il cinema ci ha sempre mostrato questa nuova razza riesce a fare breccia nell’immaginario collettivo convincendo le masse ad una progressiva ed inesorabile conversione. Le religiono sono tutte cadute ed i pochi umani rimasti a rifiutare la mutazione in vampiri vengono braccati ed usati come animali da allevamento per la produzione del sangue necessario a soddisfare il fabisogno globale. Ma gli esseri umani sono sempre meno ed il sangue scarseggia sempre di più, per questa ragione una potente multinazionale ha incaricato un ricercatore di trovare un surrugato abile a mantenere in vita il nuovo mondo, l’astinenza progressiva da sangue produce malformazioni ed una regressione allo stato bestiale, una condizione disdicevole che la nuova umanità di vampiri rifiuta anche solo di ammettere in pubblico. Il secondo lungometraggio dei fratelli Spiering è un progetto ambizioso, perchè prevede la costruzione di una società alternativa alla nostra con le sue regole e le sue abitudini, una condizione dell’essere umano portata all’estremo e perfino una struttura in grado di sviluppare delle sottotrame abbastanza complesse da soddisfare anche uno spettatore esigente. Lo sforzo di creare tutto questo si infrange però in un finale troppo veloce e sbrigativo che toglie il gusto della storia e fa cadere qualitativamente un racconto originale ed avvincente che con buona probabilità poteva proseguire in modo più ricco ed articolato, magari con una serie di film invece di un titolo singolo. Resta però impressionante il salto stilistico e tecnico fatto dai fratelli Spiering in questi sei anni di assenza.

Daniele Clementi