Nel 1989 il lungometraggio di Shinya Tsukamoto "Tetsuo" scrisse una pagina della storia del cinema giapponese. Un film altamente sperimentale che ha influenzato generazioni di autori e scrittori, sia veri e propri artisti o intellettuali che fantasiosi creativi della fantascienza o del genere horror. La storia di un uomo che improvvisamente in preda alle sue pulsioni sessuali e di violenza comincia a cambiare il suo aspetto tramutandosi in un uomo rottame, fusione tra il metallo da discarica e la carne umana sembrò l'inizio di una nuova era nei generi cinematografici e nel cinema asiatico, in seguito tutti i più grandi nomi avrebbero guardato a "Tetsuo" primo fra tutti Katsushiro Otomo che regalerà ad uno dei personaggi chiavi del fumetto e poi del suo film "Akira" proprio il nome di Tetsuo ed una sorte analoga al protagonista del film originale di Tsukamoto.
Quest'anno al Festival di Venezia con vent'anni di distanza dal film originale ecco arrivare il terzo capitolo dellla saga sperimentale di Tsukamoto. Il primo film era pura energia creativa mediata dal mezzo cinematografico che penetrava lo schermo con uno strumento povero e sporco come la pellicola in bianco e nero, alterata, sovraesposta, condizionata da collage di stili e brutalizzata da commistioni al limite della pornografia con magnifiche parentesi di animazione vecchio stile che davano al film un senso di antico e contemporaneamente di sperimentale. Il secondo capitolo era quasi un remake rafforzato dalla scoperta del colore, da giochi fotografici estremi ed aggressivi al tentativo di regalare al pubblico una spiegazione più razionale e banale degli eventi istintuali che permeavano il film originale. Questo terzo lungometraggio è ormai la codifica occidentalizzata di tutte le esperienze del regista, una sorta di versione internazionale ben vestita e quasi per famiglie dell'offensiva e geniale esperienza cyberpunk che rappresentava il primo film. Tsukamoto sceglie questa volta di attribuire il personaggio di Tetsuo ad un giovane di lingua inglese, figlio di uno scienziato americano e di una ricercatrice giapponese, con questa trovata il regista si concede il film in lingua inglese, con l'evidente scopo di esportare al volo il film all'estero e per raggiungere anche il grande pubblico americano sviluppa una storia che sintetizza e razionalizza la trama originale del primo capitolo, ottimi effetti speciali e colonna sonora da brivido per un film fanta-horror divenuto adatto a tutti i palati e quasi per qualsiasi tipo di spettatore, amabile per chi ha passione per il lavoro di Tsukamoto ma certamente deludente per chi si aspettava il ritorno dell'arte pura espressa nel primo film.
Daniele Clementi