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TORINO 2008: "Laden ratte komma in / Let the right one in" di Tomas Alfredson (2008)

TORINO FILM FESTIVAL 2008

(c) Torino Film Festival

 

TORINO 2008: "Laden ratte komma in / Let the right one in" di Tomas Alfredson (2008)

Recensione di Daniele Clementi

 

 

Questo piccolo film svedese, girato con sobrietà e minimalismo, obbliga lo spettatore a riflessioni morali sull’estetica del cinema di oggi e sull’uso che la comunicazione visiva sta facendo dei corpi dei bambini. La storia è quella di una giovane vapira di 12 anni che vive servita e riverita da un vecchio uomo fedele e profondamente innamorato della bambina, la notte l’uomo esce in cera di sangue umano per la piccola vampira ma la sua incapacità di onorare l’impegno obbliga la giovane vampira a cercare da sola le sue vittime. Durante le sue notti di caccia incontra un bambino, un ragazzo molto sensibile, solitario e molto timido, fra i due nasce un amicizia che sfocia presto in amore (per quello che può essere l’amore fa due dodicenni) ma la ricerca di definire la sua sessualità ed i misteri che ruotano intorno alla bambina vampira obbligano il protagonista ad un viaggio iniziatico verso l’oscuro e contenporaneamente verso la pubertà. Il film , intelligente nell’idea, attento nella costruzione estetica cade talvolta nel ridicolo involontario (come nel massacro finale in piscina) ma ciò he più turba lo spettatore è la chiara associazione sessualità e violenza così esplicitamente applicata su corpi di bambini. La scena della rivincita del giovane protagonista passa per una sorta di estasi della violenza che non manca di lasciare sorpresi e turbare, così come la scelta di fare giacere nudi i due bambini o il mostrare con l’ausilio della computer grafica un pube di donna anziana su corpo della bambina. L’interrogativo è semplicemente questo: l’arte deve avere un limite di fronte all’uso del corpo di un bambino ? Mentre mi pongo l’interrogativo esposto , spostandomi dalla sala in cui ho visto il film verso un bar ,passo di fronte ai manifesti pubblicitari di un centro commerciale di vesiti che mette in bella mostra bambine di 8 anni in pose da fotomodelle (anche se fortunatamente caste) e realizzo che lo sguardo provocatorio di Alfredson è solo un passo più avanti della pubblicità di oggi ed inevitabilente mi interrogo su una società che giustamente condanna (e forse troppo poco) le pulsioni sessuali di un pedofilo ma usa come oggetto di una comunicazione meta-sessuale anche il corpo del minore.

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