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" La tigre e la neve " di Roberto Benigni

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" La tigre e la neve " di Roberto Benigni

Recensione di Marina Pianu

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ora che il robertino nazionale s’e’ dato a dante (part. pres. del verbo dare,
come amante e amare, che sembra una parola amara invece e’ dolce come le
visciole, dolce come lo dice dante, dolce non sdolcinato il "dolce mondo" che
ricordano i dannati). dante a dante, dare a dare, il persiano dario…
secondario che robertino si dia a dante, primaria l’immagine del sommo poeta
che emerge dall’illustrazione divulgativa facendolo riscoprire a noi che,
soggiogati da un’istruzione nozionistica morta, per anni lo abbiamo letto
noioso e (s)dato: dante, diminutivo di durante, nel frattempo dura.

roberto benigni colpisce ancora?
colpito e affondato!

la fortuna di "la tigre e la neve" e’ di non essere uscito subito dopo "la
vita e’ bella", lasciando invece a "pinocchio" questo (triste) onere. pero’
la sensazione che dopo l’oscar qualcosa sia cambiato resta. diceva bene la
boralevi: benigni non e’ un attore perche’ e’ un personaggio. infatti benigni
e’ un personaggio a se’ stante come charlot (o buster keaton o ridolini) con
l’aggravante della parola (il mutismo di charlot ne aumenta la carica
comunicativa e la tenerezza che si mescola cosi’ bene al riso). ogni film,
soprattutto da quando la moglie ne e’ immancabile presenza femminile o alter
ego o spalla, ogni film sembra un nuovo episodio delle "avventure di benigni
e signora": ora diavoletti, ora pseudo-mostro e poliziotta, ora pinocchio e
fata turchina. cambia la scena, cambia la trama, cambiano i personaggi a
contorno, ma i protagonisti sono sempre loro.

che c’azzecca una tigre con un cucciolotto baldanzoso e "inoffensivo" come
roberto? i titoli sono fatti apposta per incuriosire, perche’ dopo pinocchio
la presenza di benigni non basta. ma no, non basta piu’ da quando tutti s’ha
paura che il cataclisma emotivo ed estetico de "la vita e’ bella" (che poi e’
un rifacimento di "giona che visse nella balena") abbia messo a repentaglio
ogni sforzo successivo. forse dovremmo farcene una ragione: quello e’
l’apice, il pieno compimento di un talento creativo, di una verve, e anche di
un momento storico. succede a (quasi) tutti i grandi talenti, anche se i
migliori riescono a risollevarsi e a stupirci ancora (fellini, bergman,
pasolini…). ci si chiede anche perche’ scegliere un contesto di attualita’
e dai colori molto accesi quando a ben guardare nel film la guerra in iraq
non e’ che un fondale, quello appunto contro cui stagliare le avventure della
coppia summenzionata, tant’e’ che la tigre ci appare affatto addomesticata.

tuttavia, se facciamo finta di non aver mai visto alcun film di benigni, "la
tigre e la neve" non dispiace. ha una sua poesia, che e’ il tema principale,
e sviluppa con coerenza e interesse la filosofia (possiamo chiamarla cosi’)
del nostro: la vita e’ poesia se ne siamo innamorati, e l’amore per la vita
annulla qualunque ostacolo. come non restare stupefatti (e soddisfatti)
davanti alle acrobazie impossibili di attilio per reperire quello che serve a
salvare la sua donna? spinto dalla primaria necessita’, nulla puo’
scoraggiarlo: non la guerra, non il pericolo, non la irreperibilita’ dei
medicinali. la determinazione interiore (che deriva dall’aver ben chiaro lo
scopo) lo assiste nel trovare la soluzione a qualunque problema, tranne la
morte. l’essenziale e’ non arrendersi mai. ecco dunque contrapposte due
visioni simili e opposte: quella di attilio, che non si arrende perche’ vuole
vivere qui e ora e il resto diventa secondario, e quella di fuad, che ha
perso il senso della vita: l’ateismo non gli causa disperazione, ne e’ la
logica conseguenza e decide di non giocare piu’ non senza pero’ prima fare i
conti con la (perduta) fede (e’ lecito dubitare del suo suicidio, ma
l’eventualita’ di un assassinio pone tutta una serie di nuovi quesiti e
riflessioni).

non e’ importante stabilire se benigni (personaggio) creda in dio: non e’
esplicito ne’ mai si parla di religione nel film (anzi, nei film). benigni
crede nella vita e nell’amore: "se lei non c’e’ piu’, tutto questo scompare:
non c’e’ piu’ sole, non c’e’ piu’ cielo, non c’e’ piu’ niente" (parafraso).
e’ un credo che viene convalidato dalle sue ultime fatiche dantesche: del
sommo poeta non esalta tanto la fede nel dio cristiano, quanto nella
capacita’ umana di godere delle cose della vita terrena, fino a
materializzare anche le cose dell’altro mondo. si potra’ dire che benigni e’
furbo (e lo e’) nell’evitare abilmente ogni polemica ideologica o religiosa.
alle beghe meschine degli umani, contrappone la sua fiducia immarcescibile
nelle capacita’ d’amore dell’uomo (homo, non maschio). questa (ri)scoperta
potenzia e gonfia l’umanita’ gia’ latente sin dai suoi primi esordi filmici.

non credo che sia il caso qui di insistere nell’episodio rivelatore finale: la
sua somiglianza strutturale con il finale di "luci della citta’" e’ evidente.
pero’ manca qualcosa, manca la potenza dell’effetto (lo aspettavamo da meta’
film), e manca l’occasione di commuovere, come invece ci era successo con
charlot, e come ci era pure successo alla fine de "la vita e’ bella". e c’e’
un po’ troppa intenzione per sgorgare spontanea nello spettatore. nondimeno,
apprezziamo lo sforzo e perdoniamo l’imperfezione dell’esecuzione.

un’esito facile? un colpo ad effetto per non deludere? un bieco sfruttamento
(a ben vedere inutile) del presente conflitto mediorientale? che cosa ci dice
benigni della condizione mondiale dei rapporti di potenza? nulla. tutto cio’
esula dalla sua interpretazione del mondo. invece della guerra in iraq
avrebbe potuto spostare il tutto nella guerra in vietnam, ma sarebbe stata
meno vera e attuale per noi, oggi. a lui serviva uno fondo di disperazione e
di emergenza che solo un conflitto in cui anche l’italia e’ stata coinvolta e
che riporta, come l’ultimo conflitto vissuto nel nostro territorio e di cui
si sta perdendo la memoria, per muovere il suo burattino "innocente" e
talmente dedito al suo scopo da non vedere, da non sentire, da non capire
finche’ la morte non lo colpira’ in fronte come un nocchino ben assestato.

e noi, fiduciosi, ancor s’attende l’opera a venire del robertino…!

CREDITI

 

Regia: Roberto Benigni.
Sceneggiatura: Roberto Benigni e Vincenzo Cerami.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 14 ottobre 2005 (ITALIA)
-Interpreti principali –
Roberto Benigni : Attilio De Giovanni
Nicoletta Braschi : Vittoria
Jean Reno : Fuad
Produttore: Nicoletta Braschi.
Colonna sonora originale: Nicola Piovani.
Direttore della fotografia: Fabio Cianchetti.
Montaggio: Massimo Fiocchi.
Durata: 114 minuti.