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“Krigen – A war” di Tobias Lindholm, Danimarca 2015 (Venezia 2015)

KrigenAfghanistan, il comandante di compagnia Claus Pedersen ed i suoi soldati stazionano in un piccolo presidio nella desolata provincia, intorno a loro solo deserto, campi minati talebani ed un piccolissimo ed umile villaggio. Danimarca, Maria Pedersen vive il suo quotidiano di moglie di un soldato badando ai figli ed alla casa, facendo i conti con gli effetti psicologici che i suoi tre bambini vivono per l’assenza del padre e sopportando in silenzio la paura di veder tornare suo marito in una bara. Durante il giorno, in Afghanistan, i soldati sotto il comando di Claus controllano il perimetro, aiutano gli afghani del villaggio, eliminano in modo chirurgico i talebani solo dopo aver avuto la piena certezza della loro identità come nemico, evitano di nuocere ai bambini che i guerrieri fondamentalisti usano come scudi, cercano di ritornare alla base sani e salvi. Durante la notte i talebani invadono il villaggio, terrorizzano i contadini, nascondono nuove mine ed uccidono chi si è mostrato troppo collaborativo con i soldati danesi. Un giorno, il comandante Claus si trova intrappolato nel villaggio con i suoi uomini, le armi pesanti dell’artiglieria talebana gli impediscono di avere una perfetta visuale sull’ubicazione del nemico, alcuni dei suoi ragazzi sono feriti, uno di loro necessita di cure immediate e Claus decide di non seguire il protocollo formale di controllo prima di ordinare l’attacco aereo sulla casa da cui provvengono presumibilmente gli spari. Claus salva la sua squadra e la vita del suo soldato, ma l’alto comando non è convinto della precisione chirurgica dell’intervento e decide, dopo aver raccolto le testimonianze dei soldati, di fare causa al comandante Claus destinandolo ad unico responsabile del bombardameto aereo. La seconda parte del racconto si sposta in Danimarca, si passa dal ritorno a casa del soldato al processo per crimini di guerra. Il regista e sceneggiatore danese Tobias Lindholm è una delle grandi promesse della National Film School of Denmark, ha scritto diversi episodi della serie televisiva politica di successo “Borgen”, in onda in Italia su LaEffe, ed ha firmato la meravigliosa sceneggiatura del film di Thomas Vinterberg “The hunt – Il sospetto”, uno dei lungometraggi più belli del Festival di Cannes del 2012. Lindholm non è mai stato in guerra, la sua sceneggiatura si basa sulle testimonianze dirette dei soldati danesi, dei rifugiati afghani e dei guerrieri talebani, il film rappresenta la prosecuzione della sua indagine cinematografica sul comportamento umano sotto estrema pressione. Il film di Lindholm però non si limita all’analisi del comportamento umano in condizioni estreme ma alza il tiro dell’impatto psicologico costringendo lo spettatore a confrontarsi con la sua percezione del problema messo in scena, obbligando cioè il pubblico ad interrogarsi sul limite fra la pubblica morale e la vera natura dell’essere umano. Seguendo il processo siamo costretti a domandarci se sia più giusto stare dalla parte di Claus che ha salvato i suoi soldati (raccontati in maniera profondamente umana ed empatica) o se schierarci con la pubblica accusa che mostra al processo le foto di bambini uccisi dal bombardamento ordinato da Claus per fuggire all’agguato. Lindholm non ci da la certezza emotiva che quei bambini siano davvero vittime delle azioni di Claus, consente infatti all’avvocato del protagonista di mettere in discussione l’origine delle foto senza permetterci di avere una visione esterna agli atti del processo, nel film non vediamo morire i bambini ma vediamo poco prima alcuni bambini diversi da quelli delle foto uccisi dai talebani ed abbandonati nelle case, dobbiamo quindi scegliere se credere all’accusa o se credere alla difesa, la nostra sola certezza per tutto il film è che Claus non aveva alcuna sicurezza dell’incolumità dei contadini quando ha ordinato il bombardamento che ha salvato la sua vita e quella dei suoi soldati. Lo spettatore è comunque indotto a stare dalla parte del soldato Claus che non ha agito secondo il protocollo ma ha portato a casa gli occidentali come noi ed è tornato dalla sua famiglia che ci viene descritta in modo molto coinvolgentenelle scene in Danimarca. Siamo costretti ad ammettere, e non è poco in questi film di guerra, che alla fine per quanto ci si possa scandalizzare davanti ai morti del medio oriente il nostro punto di vista più emotivo resta dalla parte dei nostri simili. Una bugia di un soldato salverà Claus riconsegnandolo alla sua famiglia e garantendo il “lieto fine” del racconto mentre le vittime del villaggio afghano sembreranno predestinate alla loro sorte solo per essere nate nel posto sbagliato del mondo. Il film ci obbliga a ragionare sulla nostra visione delle cose ed è perfetto per il momento storico e politico italiano, lo spettatore troverà inevitabili le analogie con il caso dei Marò, con le foto dei clandestini morti (bambini inclusi) diffuse in questi giorni dalla rete. Tutti noi naturalmente ci scandalizziamo ed inorridiamo davanti a quelle mostruosità ma se dovessimo scegliere fra una di quelle tragiche vittime ed uno dei nostri cari cosa faremmo? Il film di Lindholm ci obbliga a guardare dove distogliamo lo sguardo per sentirci più buoni verso le immagini del terzo mondo, per sentirci meno colpevoli dell’orrore ingiusto a cui l’umanità più povera sembra essere condannata per la nostra sopravvivenza o perfino per i nostri meno nobili agi e bisogni.

Daniele Clementi

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