Archivi categoria: inland empire 2

" Inland Empire " di David Lynch (2)

" Inland Empire " di David Lynch

Intro-Recensione di Daniele Clementi

Entrare nella mente di qualcuno è sempre stata una cosa interessante, il Cinema ci ha regalato più volte tentativi di invasione mentale ma con risultati spesso discontinui. Lynch è da sempre un "Mind Stalker", ogni suo film obbliga lo spettatore a sostenere la cara vecchia "Quest for …" ma rispetto a molti suoi insigni colleghi Lynch lo fa spesso rifiutando la struttura canonica e costringendo lo spettatore a mettere duramente alla prova il proprio intelletto, un gioco che nel caso di questo autore è sempre valso la candela.

Chi ha seguito in televisione "Twin Peaks" ha imparato che non ci si addentra nelle loggie nere del proprio inconscio senza qualche rito preliminare e che ogni viaggio presuppone l’uso di oggetti simbolici che possano in qualche modo tornare utili per il ritrovamento della strada di casa. Chi ha visto e capito "Lost Higway" ha imparato che una faccia è solo una faccia, un corpo è solo un corpo così come una voce o un nome e che la loro esistenza non presuppone necessariamente che possano esistere reali differenze fra un personaggio ed un altro. Chi ha visto e capito "Mullholand Drive" ha imparato che seguire il protagonista nel suo viaggio non significa necessariamente affidarsi alla figura più lucida e sicura del racconto e che la stessa empatia con il protagonista può determinare lo smarrimento irrevocabile dalla traccia del film, l’unica certezza in un viaggio "dentro" guidato da David Lynch e la violenta imposizione del suo punto di vista, unica certezza, unico punto di riferimento per sfuggire alle trappola rumorose e luminose con cui saremo bombardati. State sicuri che Lynch vi aggredirà con la stessa violenza psicologica con cui un torturatore infierisce sul torturato. State sicuri che le sue immagini vi esploderanno nel cervello con il preciso scopo di stamparsi nell’ inconscio per poter venire fuori quando meno ve lo aspettate, ma niente paura, il massimo che vi potrà succedere è di uscire dal cinema marchiati dal mondo di Inland Empire, tutto sommato poteva andarvi peggio. Potevate restare volgarmente estasiati dalla spazzatura ben confezionata di "MANUALE D’AMORE 2", o dalla violenza del patetico di "LA RICERCA DELLA FELICITA’" di Gabriele Muccino, o peggio ancora dal totale azzeramento della realtà imposto dall’offensiva dolcezza sintetica di "LA NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI 2". No, meglio la violenza di Lynch, meglio la sua cattiveria, la sua follia la sua sfrontata manipolazione della buona fede dello spettatore, ben più onesta di altre perchè priva di segni lobbisti come le grandi marche commerciali che si insidiano fra i fotogrammi dei film italiani o filoitaliani che ho precedentemente citato, meglio il marchio di Lynch che almeno è il marchio di un artista e non di una multinazionale, siamo più liberi di reagire, più capaci di scappare, più consapevoli.

Entrare nella mente di qualcuno è sempre stata una cosa interessante, ma per farlo bisogna spaccare la barriera con un urlo, una violenza di colore o il fragore improvviso di un tuono metallico amplificato oltre il possibile dalla fredda tecnologia digitale, senza la spaccatura non c’è nascita e dunque non c’è inizio, questo richiede l’atto del dolore, della nascita del figuro di cui abbiamo bisogno perchè l’immagine narrata abbia il suo senso, fatto questo il resto è delirio, il delirio matematico di un regista clinico che sa come iniziare, proseguire e finire il suo racconto, che vuole sviare ed "esorbitare" lo spettatore dalla sua posizione fino all’ultimo frammento di fotogramma. Unica certezza vendibile per pietà dello spettatore è garantirvi che tutto ha un senso, che tutto è siginficante di un messaggio e che non siamo fuori dalla storia (troppo comodo, cari ragazzi!) ma dentro la storia, anzi di più è la storia che è dentro di noi e se la vita non ci ha insegnato a leggere "dentro" la nostra storia, la storia di Lynch non la leggeremo mai e vagheremo per sempre dentro l’amnio di un oscuro inter-regno a Inland Empire.

… il viaggio continua la prossima settimana.

" Inland Empire " di David Lynch (1)

" Inland Empire " di David Lynch

(Non)Recensione di Livia Romano

Quando un comune mortale, si trova catapultato(ovviamente per sua sponteanea volontà) nell’universo(ma potremmo anche dire inferno) lynchiano sa già a priori (almeno questo vale per me) che ne verrà travolto in ogni modo, sa già che per almeno una settimana alcune immagini, alcuni pezzi di quel grande puzzle schizzofrenico gli ritorneranno continuamente alla mente…e cercherà in ogni modo di rintracciare una unitarietà, una organicità che rimetta tutti i pezzi al posto giusto, in un ordine cronologico o logico.Ma sono proprio queste le coordinate che non esistono nei film di Lynch, o meglio che vengono completamente stravolte al punto tale che tutto può essere, come anche no.
In Inland Empire questo suo vorticoso meccanismo è portatato all’estremo: tutto ciò che è non è, e ciò che non è, in realtà è o potrebbe essere. Un magma di scenari, volti, sparizioni, s’accavallano freneticamente, tanto da cancellare quella unica e chiara distinzione che ci viene proposta sin dall’inizio del film: da una parte c’è la vita della nostra protagonista Susan Blue, ricca (a quanto sembra dal salotto in cui ospita la nuova vicina di casa allucinata) e dall’altra Nikky Grace, il personaggio del film che lei interpreta, un film che non è mai stato finito perchè i due protagonisti sono stati assasinati.
Tra queste due "vite", il confine diventa sempre più labile e intricato, a questo gioco del doppio e dell’ambivalenza (molto caro al regista, infatti è ben evidente in Mulholland drive), si andrà presto a mescolare una terza vita quella della protagonista del film del passato, ora spettatrice in lacrime davanti a un televisore dal segnale disturbato, ora ragazza pugnalata con un cacciavite e ancora a quella di nove "muse" un pò amiche, un pò prostitute. Ma facciamo un passo indietro..il film inizia con il dettaglio di un disco che gira su un giradischi (ancora una volta l’amore di Lynch per oggetti meccanici che ci ricorda la sigla di Twin Peaks), ebbene al nostro regista piace confonderci ma anche darci alcuni indizi, alcuni segni di interpunzione, infatti, secondo me, è proprio con la riproposta di questa immagine che il film comincia a degenerare.Tengo a precisare che sin dall’inizio nulle è chiaro, infatti abbiamo due personaggi oscurati in volto (tipo candid camera, per intenderci) che si trovano in un salotto e parlano una lingua straniera. Salotto che tra l’altro la ragazza, forse una prostituta, non riconosce.
Il gioco incessante di richiami e sensazioni di déjà Vu ti accompagnano per tutto il film, un momento facendoti credere d’aver intuito qualcosa, un altro sbalordendoti con colpi di scena, balletti improvvisi, dissolvenze incrociate anomale e sparizioni (proprio alla Meliès). Il tutto condito a inquadrature insolite, sempre inclinate,tagliate o leggermente sfocate:interrotte, come anche tutti i dialoghi. Continue metamorfosi spaziali, fisiche e anche sociali(la nostra protagonista è ora attrice, ora prostituta, ora donna pettinata e benestante,..). Laura Dern si dimena in un labirinto di numeri e scritte che continuamente si richiamano l’un con l’altro, come anche gli squilli del telefono che repentinamente Lynch usa per confonderci o per aiutarci a seconda del percorso da noi intuito.
Certo è che nessun segno, nessun punto è mai certo, tutto è continuamente messo in discussione e nulla può essere detto "realtà".Come una spirale dove tutto gira e viene inghiottito, così è la dialettica delle immagini(caricate qui, in particolare, anche di un certo peso META-cinematografico).Non c’è staticità,
punto fermo, tutto è deframmentato, il tempo stesso, divoratore e gerarca assoluto, non ha più una sua logica, un suo tempo. Lo scandire è dato dai rintocchi della mente e dalle sue continue metamorfosi, dal suo incessante dilatarsi.
E come già ben sapevo da quando mi sono accomodata in poltrona, il finale nè chiude nè apre il film, la chiave risolutiva (sempre che esista) non poteva essere lì…..è per questo che esci dal cinema con quella sensazione di stordimento e insieme d’odio per non aver capito niente (perchè comunque ti manca sempre un tassello, un passaggio) che non può che farti esclamare "Lynch è un mostro, è follia e metodo…è PAN!