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FEFF 08: “ Sick nurses “ di Thospol Sirivivat e Piraphan Laoyont (Tailandia 2007)

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“ Sick nurses “ di Thospol Sirivivat e Piraphan Laoyont (Tailandia 2007)

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Recensione di Daniele Clementi
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L’industria cinematografica tailandese è certamente in via di sviluppo, I contenuti e la qualità tecnologica e linguistica delle storie stanno migliorando di più ogni anno. Come ormai tradizione vuole il Far East Film Festival presenta una giornata ogni anno esclusivamente dedicata al cinema del terrore. Chi ama e conosce il genre horror saprà benissimo che quest’ultimo è spesso intriso di riferimenti politici e sociologici, in determinate circostanze diviene perfino una forma di espressione reazionaria al paese in cui si sviluppa. Tanto per fare qualche esempio sono emblematici i lavori dell’americano George A. Romero e primo fra tutti il suo cult “La notte dei morti viventi ” che offre uno sguardo politico molto lucido ed originale sulla società americana, non sono da meno i più giovani eredi di questo genere e tanto per citarne uno basta pensare al film di Eli Roth “Hostel” che racconta la tortura come forma di dominazione sull’altro e come strumento di annullamento dell’individuo o del “nemico” e non a caso un film del genere è uscito in perfetta simmetria con i fatti terribili perpetrati da alcuni soldati americani In Iraq (in effetti alcune torture si si ispiravano polemicamente alle torture americani di Abu Graib). Anche la Tailandia sceglie di esplorare il cinema horror guardando al sociale ed al politico,anche se con sfumature ed ideee diverse. Alla decima edizione del festival di Udine partecipano al classico horror day ben tre film tailanadesi; Il primo intitolato “The screen at Kamchanod” si ispira ad una leggenda urbana contemporanea che racconta di una proiezione misteriosa avvenuta una notte d’estate a Kamchanod, stando alla storia al film non partecipò nessuno fino alla fine della primo tempo quando comparirono donne vestite di bianco e uomini vestiti di nero che si sedettero in silenzio davanti allo schermo e posizionandosi per genere, per scomparire misterosamente durante i titoli di coda. Il secondo film “Body” del talentuoso Paween Purijitpanya narra invece di un serial killer affetto da fuga psicogena, cioè incapace di riconoscere la sua identità, l’uomo si sdoppia per commettere gli omicidi e si rifugia in un identità psicologica più passiva per proteggersi dalle respoinsabilità, in questo caso il dispendio di mezzi e la qualità tecnica sono addirittura pari ad un film di Hollywood. Ma è solo il terzo film a corrispondere in pieno a quella scuola di horror a sfondo sociale e politico citata in precedenza, si tratta in realtà di una commedia horror, un film destinato ai ragazzi concepito per unire divertimento a scene efferate di horror classico. Quello che stupisce di questo piccolo film di 82 minuti è la precisione con cui i due registi riescono a parlare al pubblico adolescente affrontando temi molto forti e difficili con leggerezza, ironia e capacità di provocare. La storia comincia come un semplice film di vendetta, un infermiera viene uccisa dopo aver minacciato le sue sei colleghe ed il suo dottore di rivelare alla polizia il loro piccolo traffico clandestino di organi ed i relativi omicidi per ottenere la materia prima.
Mentre il fantasma della vittima caccia ed uccide una per una le responsabili del delitto lo spettatore scopre tramite flashback e sequenze di caratterizzazione tutti gli 8 personaggi. Si comincia da due infermiere gemelle che vivono un rapporto narcisista ed omosessuale fra di loro per passare ad una donna rivolta al culto del suo corpo ed ossessionata a tal punto da misurare al millimetro ogni minimo dettaglio del suo fisico, segue una perfetta abulimica che pesa addirittura il cibo che rigetta, una ragazza ossessionata dal suo aspetto esteriore che passa il tempo a scegliere borsette e rossetti e l’ultima infermiera che porta in grembo il frutto del tradimento del medico, promesso sposo della ragazza fantasma, e la vera omicida del gruppo. Ma non manca nemmeno l’omosessualità maschile, raccontata con precisione e delicatezza nei flashback dedicati al passato del medico assassino. Ognuno di questi personaggi verrà punito quasi biblicamente con una tortura ed un metodo di omicidio perfettamente attinente allle sue ossessioni. In altre parole i registi giocano con i ragazzi rivelando ed esorcizzando le paure del giovane spettatore tailandese e le realtive ossessioni. La stessa infermiera fantasma si rivelerà in realtà una transgender (il partner delle scene gay dei flashback del medico) che ha mutato il suo sesso per un amore non corrisposto. Non ci sono dubbi sulla leggerezza del film e neppure sulla mancata plausibilità di alcune soluzioni, ma questo prodotto trash di genere adolescenziale stupisce per la sua profonda capacità di parlare ai ragazzi meglio e con più autorevolezza di tanti film retorici girati da registi che guardano i giovani dall’alto della loro superbia intellettuale. Tra i momenti indimenticabili del film si annovera la ragazza che si sveglia con il cellulare impiantato nella sua guancia, la ragazza con la borsa firmata cucita sulla faccia e l’abulimica soffocata dal feto di cui si era sbarazzata. Un film morale, ma mai moralista che gioca con le paure e gli eccessi dei più giovani per comunicare con empatia più che per insegnare con distacco. Una speranza in 35 mm. da un paese in via di sviluppo artistico.

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