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“Manuscripts don’t burn” di Mohammad Rasoulof (Cannes 2013)

Questo film è un fantasma, un clandestino che il Festival di Cannes non ha mai formalmente annunciato, un film non presente nei programmi o nei documenti ufficiali del festival che compare all’improvviso, a chiusura della manifestazione, per sfuggire dalle maglie della censura iraniana. Mohammad Rasoulof racconta con coraggio ed inquietante chiarezza il massacro prima morale e poi fisico di intellettuali perpetrato da un’ufficio speciale di censura iraniano. Un film basato su fatti, omicidi e violenze reali che racconta come vivono le menti più elevate della cultura iraniana e come sono controllate, torturate ed eliminate quando il loro pensiero prende la forma di un’opera d’arte. La banalità del male è raffigurata da due esecutori che seguiamo passo dopo passo nei problemi quotidiani di famiglia e nell’organizzazione della violenza e dell’omicido. Il dolore della cultura umiliata e violata compare invece nella descrizione commovente e straziante di vecchi scrittori che disperatamente nascondono i loro manoscritti o li usano come merce di scambio con la censura per sentire una sola volta la voce al telefono di una figlia che gli è proibito frequentare. Rasoulof ci rivela anche altri piccoli squallidi ed inquietanti retroscena del male della dittatura come la scoperta che la Coca Cola sia la bevanda preferita dai censori ed i sicari del regime: la bevanda della repressione. Il regista ci rivela che anche facebook è permesso ma controllato in Iran per avere un censimento completo dei dissidenti. Gli intellettuali così vivono di scritture segrete su carta dei loro pensieri, compositori clandestini di poesie e racconti proibiti. Un film terribile e straziante, importantissimo storicamente e culturalmente.

Daniele Clementi

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