" There will be blood – Il petroliere " di Paul Thomas Anderson (2007)
Recensione di Daniele Clementi
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" Il romanzo di un giovane povero " di Ettore Scola (1995)
Recensione di Marina Pianu
andare a scuola e’ quello che ha fatto rolando ravelli, che in questo regista
vede appunto un maestro. forse meglio noto al pubblico maggiore per la sua
interpretazione del "pirata" in televisione, il giovane esordiente si e’
fatto notare in questa ennesima produzione del maestro avellinese.
la critica non ha accolto benissimo il "romanzo", forse perche’ le
aspettative, soprattutto quando troppo a lungo deluse, tendono poi a
smontarsi davanti al prodotto finito. forse per l’ingombrante rubascena
dell’istrionico sordi, sempre uguale a se stesso, piccolo borghese
megalomane, fanfarone, molto, ma molto italiano medio, ma senza l’arte a cui
l’italiano medio potrebbe mai aspirare. forse, per certi aspetti (quelli
sordiani), il film rimanda alla memoria il tristissimo e amaro "un borghese
piccolo piccolo", e come quello e’ un’altra (piccola) storia di misfatti
piccolo borghesi. davanti alla molteplicita’ dei temi potremmo cavarcela
definendolo un "film poliziesco", poiche’ infatti di indagine si tratta. lo
spettatore non avra’ mai la gratificazione di un esito definitivo.
colpisce invece la resa introversa e complessa del giovane vincenzo in cui,
oggi piu’ che allora, molti giovani si riconosceranno: un precario fatto e
vestito, un precario che vive "bamboccionamente" con la madre gia’ anzianotta
e vedova, detentrice dell’unico assegno che puo’ mandare avanti la baracca,
la sua misera pensione sociale di 700mila lire. vincenzo, laureato in
lettere, ci prova assiduamente, ma la societa’ di un laureato letterato e
filosofo non sa che farsene. e si’ che, come sostengo da sempre, una
preparazione umanistica ti predispone a svolgere poi qualunque mestiere.
infatti, vincenzo se la cava egregiamente anche in attivita’ manuali
(reperito il giochino di un ex allievo, lo rimonta e lo fa funzionare).
grazie al tessuto sociale in cui vive da sempre, ottiene comunque un posto
presso il tipografo amico del papa’. vincenzo non ha tante ambizioni ne’ e’
tanto presuntuoso da rifiutare un’offerta al tempo stesso misera e generosa.
anzi, la possibilita’ di uscire dal tunnel della poverta’ gli ridona
speranza, gioia di vivere, e voglia di spendere (cosa che lo condannera’).
davanti alla sua chiusa e misera esistenza si oppone l’altra misera e illusa
esistenza del pensionato bartoloni (l’istrione di cui sopra), che, oppresso
da una obesa e dispotica quanto ricca moglie (no, non e’ shelley winters!),
spera solo di ringiovanire disfandosene, cullato dalla vana speranza di
ricominciare una nuova vita accanto alla bella e giovane marcella.
incoraggiato dunque dalla disperazione economico-esistenziale di vincenzo,
bartoloni lo tenta per renderlo complice del suo delittuoso progetto. a dire
la verita’, a noi non risulta mai del tutto chiaro fino a che punto vincenzo
rigetti la tentazione. lui stesso ci dice di averla "subita" per diverse
notti insonni e che solo la morte della signora bartoloni gli ha restituito
il sonno e la pace dell’anima.
siamo indotti a credere all’innocenza del giovane da diversi indizi: il
televisore che omaggia allegramente alla madre e’ comunque pagato a rate; la
gioia che palesa nel poter spendere finalmente e concedersi quei piccoli
lussi (come regalare un anello ad andreina) stride con una repentina caduta
nel crimine, e i lussi sono davvero molto piccoli, tali da non giustificare
l’improvvisa ricchezza promessa dal bartoloni. senza contare che la cifra,
integra ed esatta, ritrovata in camera sua, sembra escludere che sia la fonte
dell’improvvisa spendaccioneria. colpisce, tuttavia, ma non stona, la
ritrosia di vincenzo nel difendersi dal suo accusatore. davanti alla
prospettiva di rinascere alla vita con il nuovo lavoro, il rapporto felice
con andreina, e la conseguente apertura al mondo esterno si penserebbe che
l’ultima cosa che vincenzo voglia fare e’ di passare i prossimi 30 anni, i
migliori, in galera. perche’ dunque non si difende? perche’ esita a
coinvolgere la sua ragazza che sola puo’ testimoniare a suo favore?
adorabile e viva e’ la madre onorata, che temendo il giudizio dei vicini,
sparge voci false (e tendenziose) sul successo del figlio e per non destare
sospetti, continua a comprare detersivo per una lavatrice che non puo’
permettersi di far riparare. e’ lei, e non vincenzo, quella che esce affranta
dall’arresto e dall’indagine dei magistrati. e che dire poi dell’apporto,
sempre gradito, di andre’ dussollier? pacato, ironico, e denso di sottintesi
la sua presenza, sempre piu’ convinto dell’innocenza del giovane, ma non
abbastanza da tirarlo fuori dall’indagine. onesta performance anche da parte
della ferrari, senza infamia e senza lode, efficiente.
il messaggio finale, se proprio ne vogliamo trarre uno da questo "quadretto",
e’ che questa societa’ (vale negli anni ’90 ma anche oggi) non sa proprio che
farsene ne’ dei giovani ne’ dei vecchi. non pare tanto assurda l’ipotesi che
i due si alleino una volta tanto per buttar giu’ dal balcone il grosso grasso
ricco capitalista!
n.b. praticamente nulla a che vedere con l’omonimo romanzo di octave feuillet
che gia’ ispiro’ gia’ diversi film (guglielmo zorzi, 1921; abel gance, 1935;
marino girolami, 1958; cesare canevari, 1974).
"dal pavimento non si puo’ cadere" (bacio perugina)
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Regia: Ettore Scola
Sceneggiatura: Giacomo Scarpelli, Ettore Scola, Silvia Scola
Anno: 1995
Durata: 120′
Fotografia: Franco Di Giacomo
Musiche: Armando Trovajoli
Paese: Italia / Francia
Produzione: Les Films Alain Sarde, Massfilm
Interpreti e personaggi:
Rolando Ravello – Vincenzo Persico
Alberto Sordi – Signor Bartoloni
Isabella Ferrari – Andreina
Mario Carotenuto – Pieralisi (tipografo)
André Dussollier – Moscati (sost. procuratore)
Renato De Carmine – avvocato Cantini
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In occasione dell’uscita del film in Italia ripubblichiamo le recensioni del film di Wong kar Wai, realizzate per il dossier sul Festival di Torino (recensione di Livia Romano) e per il dossier sul Festival di Cannes (a cura di Daniele Clementi).
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TORINO 2007: " My blueberry nights " di Wong Kar-Wai (2007)
Recensione di Livia Romano
Se avete bisogno di una sana dose di affetto, dolcezze e favole..allora questo film potrebbe essere di vostro gradimento! Cosa c’è di più romantico di una storia d’amore nata tra un bancone e torte ai mirtilli??E cosa c’è di ancora più intenso se questa storia è fatta di cuori infranti, delusioni personali e porte chiuse??E perchè non allontanare i due neo-innamorati(Jeremy-Jude Law- ed Elizabeth-Norah Jones) per poi poter concludere con bacio,che potrebbe competere con Via col vento? Decisamenete troppo per i miei gusti: una fiaba newyorkese,per altro con i rallenti più lunghi e frequenti della storia(se mandassimo il film a 2x durerebbe la metà!!), con una trama del tutto inconsistente (Elizabeth dopo una grossa delusione amorosa,"grazie" alle quale conoscerà Jeremy ,parte venendo a contatto con persone ancora più frustate di lei, dalle quali "impara" !? e capisce la vita) e molto prevedibile, il tutto condito da una buona dose di precise casualità. Non si può negare che il regista lavori molto su una certa ricercatezza estetica(
inquadrature insolitei continuo movimento,immagini spesso sgranate o non a fuoco), ma , a mio parere, finisce con esasperarla troppo. Una pellicola "ovattata", con tanto di frasetta da "bacio perugina"nel finale….poesia del cinema classico americano pasticciata con uno stile da "video amatoriale", un roadmovie edulcorato fino all’esperazione, una torta ai mirtilli che se scartano tutti ci sarà un motivo!!!!!
CANNES 2007: " My blueberry nights " di Wong Kar Wai
Recensione di Daniele Clementi
Wong Kar Wai è oramai un’ autore quasi sacro del cinema di Hong Kong, ricordo ancora quando negli anni 90′ in Italia scoprimmo questo regista brillante ed innovativo con un film mal distribuito e faticoso da reperire come " Hong Kong Express ", ricordo che innamorato di questo nuovo regista ordinai per corrispondenza i suoi primi film, allora introvabili in Italia, come " As tears go by " e " Days of being wild ", ricordo infine la fatica all’epoca di comunicare l’importanza della "new wave" di Hong Kong ad un pubblico colto ma fiducioso solo del cinema classico di Zhang Ymou (" Lanterne rosse "). Quelli come me dovettero aspettare quasi dieci anni per vedere finalmente riconsciuto questo autore importante con un film persino meno emblematico dei precedenti come " In the mood for love ". A quel punto si cominciò a parlare di Wong Kar Wai come di una novità (che sofferenza per chi lo amava già !). Ora, dieci anni dopo la restituzione di Hong Kong alla Cina, tutto questo è cambiato, Wong Kar Wai ha finalmente deciso di lasciare quella Cina che negli ultimi dieci anni lo aveva violentemente castrato per la volta dell’impero della globalizzazione, la terra che non castra con la durezza di un sistem autoritario ma lo fa con la dolcezza della seduzione del benessere. L’ultimo film di Wong Kar Wai è una sorta di adattamento in chiave americana di tutto ciò che aveva già girato negli anni 80′ / 90′ ad Hong Kong il regista. Si sente la mancanza della ricera e dell’innovazione sostituita solo da qualche trasgressione visiva e da un’immagine patinata e modaiola. Wong Kar Wai oggi ripete se stesso di 15 anni fa e fatica ad integrare nella storia quei dettagli visivi e psicologici che hanno fatto grande il suo cinema come se in sostanza l’esperimento di questo film americano non fosse altro che una sorta di versione " Vogue " della gloriosa ed oramai digerita New Wave di Hong Kong.
CREDITI
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Anticipazioni
" Iron Man " (2008)
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" Le scaphandre et le papillon – Lo scafandro e la farfalla " di Julian Schnabel
Recensione di Daniele Clementi
Ripubblichiamo la recensione del film di Julian Schnabel, realizzata per il dossier sul Festival di Cannes, in occasione dell’uscita del film in Italia.
Terzo lungometraggio della carriera di Julian Schnabel, arista e gallerista della scuola di Andy Wharol, grande intellettuale di New York che si è convertito alla regia cinematografica circa dieci anni fa con il film promettente " Basquiat " seguito dopo molti anni dall’intenso " Prima che sia notte ". Terza biografia di Schnabel che questa volta sceglie una vita straziante ed emozionante, la prova di grande coraggio del direttore del giornale francese " Elle " che sconvolto da una rarissima malatia riuscirà a scrivere uno splendido libro da cui è tratto il film dettando il testo con la sola parte del corpo ancora in grado di comunicare : il suo occhio destro. la prima parte del film è di ottima fattura con alcune sequenze in prima persona davvero da brivido, scade leggermente nella seconda parte dove l’autore sceglie di rivelare il volto del protagonista idea necessaria ma che rovina l’incanto sperimentale della prima parte. Il film commuove senza mai essere ne sdolcinato ne ideologico o canonico rivelando una personalità forte ed un grande carattere linguistico e confermando la scelta di Schnabel di girare film molto raramente e solo se di fronte ad una buona storia assolutamente vincente.
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" The silent flute – Circle of iron – Messaggi da forze sconosciute " di Richard Moore (1979)
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" Anda muchacho, spara ! " di Aldo Florio (1971)
Recensione di Marina Pianu
uno straniero approda in un villaggio di minatori. non si sa chi sia, non si
sa da dove venga; si sa solo che prima di ammazzare "chiacchiera" e che sono
le sue "chiacchiere" a indurre l’interlocutore a estrarre la pistola (e farsi
ammazzare). ha una mira micidiale, anche se preso da dietro, anche se preso
alla sprovvista, e’ sempre lui ad avere la meglio. e poi, chissa’ come mai,
pronuncia sempre un nome che fa allampanare: emiliano. zapata?
gli spaghetti western hanno acquistato prestigio nel corso dei decenni.
all’epoca, quando uscivano, il grande pubblico li viveva come un surrogato
dei "grandi" western americani, qualcosa che passava il convento ma che
distava anni luce dagli originali aborigeni. col tempo abbiamo imparato ad
apprezzarli (forse grazie anche agli omaggi resi dal cinema giapponese). gli
spaghetti western non sono solo sergio leone, che pure e’ stato un grande e
un "caposcuola". sono anche corbucci, damiano damiani, sergio sollima, ecc.
sono principalmente il western classico privato della sua retorica "buoni /
cattivi", reso piu’ scruciante dal cinismo dei cattivi, dall’imperfezione dei
buoni, dal sesso esplicito (per l’epoca) e da una sottile e pervasiva ironia,
non di rado anche con una valenza di critica socio-politica.
"anda muchacho", oltre ad avvalersi dell’avvenenza di fabio testi (raul bova,
ciucciati il calzino), che a molti western ha prestato il fisico, presenta
alcuni spunti interessanti e non di poco rilievo per l’epoca
post-sessantottina: le autorita’ politiche sono asservite agli interessi
economici, predatori e usurpatori (i prepotenti sono gringo, i depredati sono
i minatori locali). chi cerca di aiutare i derelitti e difendere i loro
diritti finisce ai lavori forzati (giustizia di parte). chi ruba in realta’
e’ un raddrizzatore di torti subiti e un riequilibratore delle forze sociali
(anche se la sua motivazione contingente e’ la vendetta per l’amico). infine,
ma non ultimo, le donne non si sottomettono volentieri al ricco e potente e
diventano eroine in prima persona salvando a loro volta il raddrizzatore di
cui sopra (che poi lui sia un gringo pure lui non le dissuade dal volerlo
seguire).
l’eroe ci piace perche’ e’ asciutto (come quasi tutti gli eroi degli spaghetti
western), parla solo l’indispensabile, e le sue azioni appaiono motivate e
giustificate solo man mano che i flashback si schiariscono ai nostri occhi.
la vistosa falsita’ della truculenza (il sangue appena spalmato sui suoi
muscoli) ci consente un distacco sano e ironico che ci fa accettare la
vendetta con un gran sghignazzo. eppure, nonostante le risate, seguiamo le
vicende con viva partecipazione, malgrado noi stessi, e ammiriamo tanto la
pacata saggezza del vecchio quanto l’apparente asessualita’ dell’eroe
(jessica lo segue si’, ma "come un bimbo segue un aquilone").
tenete d’occhio "tele turchino": a tarda notte ce ne sciorina un bel po’…
segnalazione: un sito wiki di spaghetti western a cui potete collaborare:
http://www.spaghetti-western.net/index.php
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Regia: Aldo Florio
Sceneggiatura: Bruno Di Geronimo
Uscita: 16 agosto 1971
Durata: 105′
Paese: Italia / Spagna
Produzione: Copercines, Cooperativa Cinematográfica
Personaggi e interpreti:
Fabio Testi … Roy Greenford
Eduardo Fajardo … Redfield
Massimo Serato … Emiliano
Luciano Pigozzi … Manolo
Daniel Martín … Minatore
Charo López … Jessica
José Calvo … Joselito
Ben Carra … Lawrence