Arriva dall'Australia uno degli esordi più intensi e memorabili di questi ultimi anni. David Michôd è già stato paragonato a Martin Scorsese per la coralità e l'intensità psicologica con cui disegna i suoi personaggi ma a guardare bene il lavoro dell'esordiente australiano si possono intravvedere anche gli insegnamenti di Gus Van Sant e del cinema europeo di Michael Haneke. Una crime story secca, pulita, spietata, un film di rapinatori tormentati, poliziotti sporchi e corrotti, poliziotti ingenui ed idealisti, madri possessive e genitori impotenti. David Michôd riunisce in un solo film una ricchissima fauna di personaggi, molto diversi ed articolati fra loro ma ricchi ed intensi, un regno animale appunto che non da spazio o speranza a chi è predestinato dalla natura ad essere vittima e questo a prescindere dalla parte della barricata in cui ci si trovi, a prescindere da una divisa o un passamontagna. Una famiglia di rapinatori cerca di portare avanti la propria vita come se il loro mestiere fosse di ordinaria amministrazione, a supportarel'intera famiglia pur rimanendo in secondo piano cè una madre silenziosa e dominante che fa da collante fra tutti i fratelli e sembra l'unica minimamente capace di contenere il figlio maggiore, leader del gruppo ma anche criminale instabile e imprevedibile. La famiglia è minacciata da una squadra speciale antirapina della polizia che non ha regole o principi etici e che uccide a vista alterando in seguito le prove del crimine, nel mezzo un ragazzo in cerca ancora della sua identità ed in dubbio su quale posizione prendere nei confronti del mestiere di famiglia. Il film è intenso tanto nella scrittura della sceneggiatura quanto nel cast e nella costruzione visiva sviluppata da David Michôd. Un'esordio pulito, cattivo e profondo che ci obbliga a guardare dentro di noi e a superare i confini tradizionali fra giusto e sbagliato per trovare una risposta etica più interiore che pubblica.
Daniele Clementi
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