Archivi categoria: sacha baron cohen

" Borat " di Larry Charles

" Borat: Studio culturale sull’ America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan " di Larry Charles

Recensione di Daniele Clementi

Quanto siamo realmente disposti ad accogliere qualcuno diverso da noi ?

Sino a che punto la nostra soglia di tolleranza può sopportare la diversità del nostro prossimo prima di rigettarlo ?

Quanto è cambiata l’ America dopo il World Trade Center ?

Queste sono le domande a cui cerca di rispondere il difficile film sperimentale di cui sto scrivendo. Il film in questione si chiama " Borat: Studio culturale sull’ America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan " e contrariamente a quanto pensano molti spettatori o futuri fruitori del film questa non è una commedia demenziale.

Naturalmente può essere vista anche e semplicemente come una stupida commediola di parolacce, peti e volgarità ridicole, dipende tutto da chi siete voi e da quanto potete vedere o capire realmente un film. La produzione americana ha sempre usato questa tecnica multilivello per la lettura di un film. Molti lungometraggi americani possono essere visti come semplici film di genere oppure come film d’autore, dove l’autore resta nascosto dietro alla parvenza di una storia da pop corn.

Questa tecnica si può riassumere nella battuta di un grande regista americano: "Sono John Ford e faccio film western". Ford usava spesso presentarsi così, lo faceva per evitare le domande , tipicamente europee, che volevano scandagliare le sue strutture tipiche da film di genere per recuperare il tesoro nascosto, il significante politico celato dietro al paravento dello spettacolo. Una volta Ford si arrabbiò violentemente con un critico che voleva intervistarlo per estorcere il giudizio politico dei suoi film, in realtà quel significato si poteva leggere facilmente anche senza una conferma di Ford ma il riconoscimento del regista avrebbe ratificato definitivamente la chiave di lettura, ed avrebbe trasformato Ford da regista di western a regista politico. Ford minacciò il critico di sospendere l’intervista perchè temeva che i produttori di Hollywood, scoperta la vena politica del regista, decidessero di assegnare i loro film a registi apparentemente meno "impegnati". In America ha sempre funzionato in questo modo, fino a quando fai politica fra le righe, nessuno ti condanna e magari tutti ti amano, nel momento in cui la tua politica diventa visibile alla luce del giorno tutto cambia ed il marchio di "regista politico" ti condanna per sempre. In passato capitò a grandi nomi, uno fra tutti : Charlie Chaplin che fu prima amato e poi temuto perchè aveva girato " Il grande dittatore ". Condizione diversa è quella vissuta da Michael Moore, la cui posizione politica è diventata il simbolo di una vera e propria ondata di nuovi documentaristi d’assalto, producendo anche delle abberrazioni come " Super size me " (nobile negli intenti ma pretenzioso ed arrogante nella forma). Ora ci troviamo di fronte ad un nuovo erede di Chaplin, si chiama Sacha Baron Cohen ed è quasi un trasformista. Il suo film resta volutamente sospeso fra la candid camera, la commedia demenziale, la comica classica, la docu-fiction sociale e la cara vecchia satira che da tanto fastidio ai potenti.

Non voglio rovinare il piacere delle gag a chi sta leggendo questa recensione per decidere se vedere o meno il film, quindi mi limiterò a dirvi che ogni singola gag è una delicata e sottile metafora dei nostri costumi, della nostra tolleranza, delle nostre paure e del nostro odio nascosto. La gente che vedrete scappare siamo noi, che temiamo il contatto fisico e la vicinanza del nostro prossimo, l’umorista che cerca di spiegare a Borat come si fa ad essere spiritosi in America non è altro che l’ipocrisia della censura, e non solo di quella censura che taglia e cuce un film ma anche della nostra censura interiore, quella vocina che ci dice che cosa si fa e che cosa non si fa nella vita. Non posso dire altro per ora, rovinerei la visione a chi ancora non è andato in sala, ma non posso evitare di consigliare questa "finta commedia" che nel suo essere tanto vera quanto falsa riesce ad insegnare qualcosa a tutti noi: l’altro esiste e Borat ci costringe ad ammetterlo come un nuovo Chaplin, violento sadico e perverso, specchio perfetto dei nostri "tempi moderni".

Dettagli :

Borat è un kazako in terra straniera, che attraversa gli Stati Uniti per conoscere Pamela Anderson (la protagonista di "Baywatch") con il preciso scopo di prenderla in moglie. Durante il suo viaggio viene filmato per un documentario prodotto dal governo del Kazakistan. La maggioranza delle persone che incontra nel film non sono attori ed hanno subito delle vere e proprie "candid camera".

Il Kazakistan è uno stato transcontinentale (ovvero uno stato che appartiene geograficamente a più continenti) governato da una Repubblica che ha ottenuto l’indipendenza dall’ Unione Sovietica nel 1991.