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" Il mio migliore amico " di Patrice Leconte

" Il mio migliore amico " di Patrice Leconte

Recensione di Marina Pianu

– avvertenza –
adoro leconte e sono prevenuta. lo adoro perche’ non finisce mai di stupirmi  in un modo cosi’ poco sorprendente che ancora mi stupisco di sentirmi  stupita. stupidaggini, direte voi, ma non e’ cosi’. i film di leconte hanno (quasi) sempre il sapore di un viaggio al microscopio dentro una delle mille  possibilita’ dell’essere. leconte ha lo sguardo dello scrittore che dal  grigiore sfocato della realta’ quotidiana riesce a cogliere un dettaglio, a  estrarlo e a giocare con gli intrecci che quella peculiare natura gli detta.
e’ il regista delle curiose ipotesi: con l’occhio del sociologo e il cuore  del poeta estrae dal banale inosservato la poesia magica e struggente di un  lanciatore di coltelli in declino, oppure durante il risciacquo tra le dita  di una parrucchiera, o ancora dietro il posacenere nel grigio studio di un  commercialista… piccoli personaggi che, per quel particolare anomalo,  offrono il fianco a insolite immense storie, a volte tracciate con complice  ironia, a volte con solidale malinconia; mai beffardo, raramente pungente,  solo spietato. gioca poco sull’effetto sorpresa o sui colpi di scena; piu’
spesso leconte si concede di sorprenderci subdolamente all’interno del  previsto e prevedibile. e’ per questo "amore" che non troverete sarcasmo o  ironia in questa rece.

– rece –
i titoli d’apertura si scandiscono su uno sfondo multicolore e sfocato  (percezione della realta’ banale) che suggerisce una folla di gente, ma con la messa a fuoco scorriamo su un pavimento a mosaico, una griglia, scale, e finalmente un uomo parla d’affari al telefonino. chiude di botto perche’ "e’ arrivata la persona che deve vedere"… che e’ una bara e noi siamo in una chiesa! (forse qualche volta ci sorprende, no?). da questo momento, fedele alle prime inquadrature e al suo stile, la camera-microscopio mette a fuoco angolature quasi claustrofobiche sui volti che ci interessano sommersi, quasi soffocati dal tutto e che sembrano perdersi nella folla (sfocata anche quella).

la folla del funerale non e’ una folla, appena sette persone vedova compresa. ecco quindi la tesi proposta: la solitudine morale viene dall’incapacita’ umana di stabilire (vedere) validi e duraturi legami affettivi. dal funerale all’asta, françois s’incapriccia per un vaso antico (simbolo di un’amicizia piu’ forte della morte) che acquista rischiando di gettare la sua galleria nel tracollo finanziario. non importa: al vaso e’ destinato il posto centrale nel salotto, cuore della sua vita, mentre ogni relazione importante resta in posizione marginale, perche’ françois e’ del tutto incapace di vivere i rapporti umani se non sulla base della contrattazione e dello scambio materiale. parte di qui l’assurda scommessa che lo spingera’ in un trappoloso cammino verso la scoperta della vera amicizia.

l’amicizia si puo’ comprare? si puo’ imparare, pagando? e’ sufficiente essere simpatici? le buone p.r. procurano amici veri? la solitudine di françois s’incrocia con quella di bruno, tassista convertito in maestro e guida, che in tutto gli e’ opposto: aperto, fiducioso, simpatico, generoso eppure tradito e solo. laddove l’uno non vede chi lo ama (amante), chi aspira ad essere amato (figlia), chi attende di essere chiamato alle tre di notte (socia) per una distorsione ottica, l’altro vive incompreso la sua fame d’amore non abbastanza appagata dalla sollecitudine complice dei genitori.
non sorprende quindi che ognuno trovera’ nell’altro l’amico disposto a infrangere le regole e rischiare di suo per amicizia.

ne’ e’ un caso che sia proprio il "vaso dell’amicizia", quello anticamente riempito con lacrime di cordoglio, a fungere da deus ex machina: vero oggetto del desiderio, il vaso traduce il bisogno non rivelato di amicizia che françois mettera’ a pegno della prova decisiva, ma, frantumandosi sotto il peso della delusione di bruno, miracolosamente e inaspettatamente (sorpresa!) consolida l’elemento mancante, riscattando l’umanita’ positiva di françois, per poi tramutarsi in un piu’ banale e quotidiano tostapane (c.v.d.).

e il dettaglio peculiare dov’e’? in quella bizzarra e insolita mania di bruno per i dettagli (ma va’), che lo marginalizza, lo isola e al tempo stesso funge da esca nella ricerca del perfetto amico. alla fine e’ proprio françois ad abboccare, cogliendo l’occasione unica per riscattarsi in una prevedibile (l’avevo detto), ma non meno efficace scena madre, retta soprattutto dalla maestria dei due attori (immenso, come sembre, auteuil).

va bene, questo non e’ "la ragazza sul ponte" (o "confidenze troppo intime" o…), e se delude e’ solo perche’ leconte ci ha abituato a uscire dalla sala stravolti e sazi. il buon patrice si e’ preso una vacanza, in previsione dello sprint finale (ha avvertito che questo sara’ il terz’ultimo film). la delusione e’ pero’ ben compensata dall’ormai collaudato stile di inquadrature serrate, ritmo pulsante, armonico accompagnamento musicale, e colori privi di sbavature (seppur… sfocati!).

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Titolo Originale: Mon meilleur ami
Regia: Patrice Leconte
Interpreti: Daniel Auteuil, Dany Boon, Pierre Aussedat, Cyril Couton, Henri
Garcin, Julie Gayet, Christian Gazio
Durata: 94′
Nazionalità: Francia 2006
Genere: commedia
Produzione: Fidélité Productions / Wild Bunch
Distribuzione: Lucky Red