Archivio mensile:settembre 2015

Arriva #FilmGreed, la nuova manifestazione del Dodes’ka-den

good-morning

#‎FILMGREED‬
Realizzato dal Circolo del Cinema Dodes’ka-den e la UICC – Unione Italiana Circoli Cinema con il patrocinio e contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo – Direzione Cinema.

Pieghevole FilmGreed2015PDF

La manifestazione gioca sulle parole considerando la cultura cinematografica un’alimento indispensabile per l’organismo dello spettatore, Provocatoriamente, si sceglie di far nascere ed operare tale iniziativa in un momento in cui l’ideologia neoliberista sembra impoverire ed erodere ogni possibile forma di “alimentazione culturale”, grazie ad una filosofia dell’emergenza di crisi, forte del motto “con la cultura non si mangia”. La manifestazione è composta da una selezione di opere d’autore italiane ed europee inedite o difficili da reperire non solo nei cinema ma anche in home video e via web. La manifestazione contempla anche una sezione di classici del cinema non europeo che nel 2015 e nel 2016 sarà interamente dedicata al maestro giapponese Yasushiro Ozu.

Questa manifestazione è dedicata a PIA SONCINI.

 

“Anomalisa” di Charlie Kaufman e Duke Johnson, Usa 2015 (Venezia 2015)

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Tutto ebbe inizio nel maggio del 2013, quando la Starburn Industries lanciò una campagna web di finanziamento “kickstarter” per un cortometraggio di 40 minuti intitolato “Anomalisa” basato su una piéce teatrale di Charlie Kaufman. Per poter recuperare i fondi necessari al finanziamento del cortometraggio venne realizzato un video in cui la Starburn, attraverso pupazzi animati, sosteneva il finanziamento annunciandolo come l’opportunità di vedere un film di Charlie Kaufman libero dalle restrizioni imposte per ragioni di mercato dalle grandi case di Hollywood. Il cortometraggio trovò piccoli finanziatori indipendenti in rete ma anche l’interesse di imprenditori più grandi al punto da diventare un lungometraggio di animazione, ovvero il film presentato quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia. La piccola, oscena e banale, vita dell’anonimo conferenziere Mike è raccontata attraverso l’uso di pupazzi animati e computer grafica da Charlie Kaufman e Duke Johnson trasformando la banalità del suo tormento esistenziale e della sua solitudine interiore in un piccolo gioiello drammatico. Un film che, per confessione degli stessi autori, poteva essere realizzato in due mesi con attori in carne ed ossa e che ha invece richiesto a causa delle bellissime tecniche di animazione più di due anni di lavorazione. Il risultato finale è una straordinaria spettacolarizzazione dei momenti più ordinari e banali della vita anafettiva di Mike con l’opportunità di utilizzare gli espedienti dell’animazione per rappresentare in modo diretto e visivamente riconoscibile gli invisbili (nella vita reale) tormenti psicologici del protagonista. Tornano un pò tutti i temi ricorrenti del cinema di Kaufman, dall’omologazione dell’individuo in una società sempre più corporativa e disumanizzata fino ai grandi guru conferenzieri che forniscono risposte a tutte le domande della vita senza saperne vivere una propria. Questo non è il primo caso di animazione psicologica nordamericana che trova tra i suoi migliori rappresentanti “Waking Life” di Richard Linklater. I dialoghi sono taglienti e sottili ed in molti casi i giochi di parole e gli stessi lapsus freudiani dei protagonisti obbligano la visione del film in lingua orginale con sottotitoli, il doppiaggio non può che uccidere in questo caso il vero significato del film.

Daniele Clementi

“Remember” di Atom Egoyan, Canada 2015 (Venezia 2015)

1441882049_40b13bc79cd4823da5b87bee4d288c56-1280x628remember_still_h_15Il tedesco Zev vive solo in una casa di riposo, ha perso da meno di una settimana la moglie Ruth di cui non ricorda mai la morte a causa della demenza senile. Ogni mattina Zev cerca sua moglie ed ogni mattina una corpulenta infermiera deve riportarlo alla realtà ricordane la morte. La memoria di Zev ha dei buchi vistosi ma non ha dimenticato tutto, fra le cose che ricorda di più c’è il suo amico Max, un ebreo disabile con problemi respiratori che condivide con Zev i ricordi della deportazione. L’ultima notte della “seduta di shiva” (il rituale ebraico del lutto) Zev riceve da Max una spessa busta contenente una fitta lettera ed una mazzetta di banconote. Dopo aver letto la lettera dell’amico, Zev lascia in segreto la casa di riposo per un lungo viaggio che lo porterà alla caccia di un vecchio tedesco, responsabile di settore di uno dei tre campi principali che formavano il complesso concentrazionario situato nelle vicinanze di Auschwitz durante il nazismo. L’uomo a cui Zev deve dare la caccia è il responsabile della morte della famiglia di Max e di Ruth. Inizia così una commistione variegata e ben calibrata fra il “road movie”, il film di vendetta ed il cinema di introspezione piscologica che lo sceneggiatore esordiente Benjamin August riesce a mantenere sul filo del rasoio fino al colpo di scena finale. Atom Egoyan sfrutta alla perfezione tutte le possibilità offerte dalla storia e dai suoi personaggi di contorno; che hanno lo scopo di raffigurare diverse fasi storiche dell’integrazione dei tedeschi ex nazisti negli Stati Uniti immediatamente dopo la fine della guerra. Seguendo il vecchio cacciatore Zev (che in ebraico significa “lupo”) lo spettatore ha l’opportunità di riflettere sulle contradizioni della democrazia e della libertà nell’America di oggi, per esempio sono molti e molto raffinati gli elementi che riguardano il commercio, la detenzione ed il trasporto delle armi da fuoco dentro e fuori gli Stati Uniti, perfettamente collegati metaforicamente con la facilità con cui l’America integrò in se stessa i mostri del nazismo. La storia si basa sul vero progetto del Centro Simon Wiesenthal “Operation Last Chance” che dal 2002 sostiene le anziane vittime dell’Olocausto nella caccia agli ultimi gerarchi ancora sopravissuti e nascosti sotto false identità. Sostanzialemnte il film è una commistione fra lo studio accurato di un singolo personaggio, (mostrato in tutte le sue sfacettature) ed il thriller psicologico contemporaneo, dove i segreti del passato di Zev vengono rivelati poco a poco costruendo una sostanziale indagine interiore ad alta tensione che inchioda lo spettatore davanti allo schermo. Atom Egoyan con questo film prosegue la sua ricerca sugli effetti residuali della storia nel corso del tempo e di come formiamo la nostra identità in prospettiva ad eventi traumatici. I temi presenti in “Remember” erano già perfettamente sviluppati in un’altro film di Egoyan, dedicato al genocidio degli armeni del 1915, intitolato “Ararat: il monte dell’arca”. La complementarietà, riconosciuta in conferenza stampa dallo stesso Egoyan, fra “Ararat” e “Remember” non è solo riferita alle tematiche ma alla scelta dello stesso attore, Christopher Plummer, protagonista di entrambi i film. Infine una doverosa menzione va al magistrale Martin Landau, che nella lunga carriera professionale ha saputo passare da serie televisive come “Mission impossible” o “Spazio 1999” al cinema impegnato di “Crimini e misfatti” di Woody Allen e che si rivela magnifico e perfetto nel ruolo nascosto ma centrale dell’ebreo Max.

Daniele Clementi

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“Krigen – A war” di Tobias Lindholm, Danimarca 2015 (Venezia 2015)

KrigenAfghanistan, il comandante di compagnia Claus Pedersen ed i suoi soldati stazionano in un piccolo presidio nella desolata provincia, intorno a loro solo deserto, campi minati talebani ed un piccolissimo ed umile villaggio. Danimarca, Maria Pedersen vive il suo quotidiano di moglie di un soldato badando ai figli ed alla casa, facendo i conti con gli effetti psicologici che i suoi tre bambini vivono per l’assenza del padre e sopportando in silenzio la paura di veder tornare suo marito in una bara. Durante il giorno, in Afghanistan, i soldati sotto il comando di Claus controllano il perimetro, aiutano gli afghani del villaggio, eliminano in modo chirurgico i talebani solo dopo aver avuto la piena certezza della loro identità come nemico, evitano di nuocere ai bambini che i guerrieri fondamentalisti usano come scudi, cercano di ritornare alla base sani e salvi. Durante la notte i talebani invadono il villaggio, terrorizzano i contadini, nascondono nuove mine ed uccidono chi si è mostrato troppo collaborativo con i soldati danesi. Un giorno, il comandante Claus si trova intrappolato nel villaggio con i suoi uomini, le armi pesanti dell’artiglieria talebana gli impediscono di avere una perfetta visuale sull’ubicazione del nemico, alcuni dei suoi ragazzi sono feriti, uno di loro necessita di cure immediate e Claus decide di non seguire il protocollo formale di controllo prima di ordinare l’attacco aereo sulla casa da cui provvengono presumibilmente gli spari. Claus salva la sua squadra e la vita del suo soldato, ma l’alto comando non è convinto della precisione chirurgica dell’intervento e decide, dopo aver raccolto le testimonianze dei soldati, di fare causa al comandante Claus destinandolo ad unico responsabile del bombardameto aereo. La seconda parte del racconto si sposta in Danimarca, si passa dal ritorno a casa del soldato al processo per crimini di guerra. Il regista e sceneggiatore danese Tobias Lindholm è una delle grandi promesse della National Film School of Denmark, ha scritto diversi episodi della serie televisiva politica di successo “Borgen”, in onda in Italia su LaEffe, ed ha firmato la meravigliosa sceneggiatura del film di Thomas Vinterberg “The hunt – Il sospetto”, uno dei lungometraggi più belli del Festival di Cannes del 2012. Lindholm non è mai stato in guerra, la sua sceneggiatura si basa sulle testimonianze dirette dei soldati danesi, dei rifugiati afghani e dei guerrieri talebani, il film rappresenta la prosecuzione della sua indagine cinematografica sul comportamento umano sotto estrema pressione. Il film di Lindholm però non si limita all’analisi del comportamento umano in condizioni estreme ma alza il tiro dell’impatto psicologico costringendo lo spettatore a confrontarsi con la sua percezione del problema messo in scena, obbligando cioè il pubblico ad interrogarsi sul limite fra la pubblica morale e la vera natura dell’essere umano. Seguendo il processo siamo costretti a domandarci se sia più giusto stare dalla parte di Claus che ha salvato i suoi soldati (raccontati in maniera profondamente umana ed empatica) o se schierarci con la pubblica accusa che mostra al processo le foto di bambini uccisi dal bombardamento ordinato da Claus per fuggire all’agguato. Lindholm non ci da la certezza emotiva che quei bambini siano davvero vittime delle azioni di Claus, consente infatti all’avvocato del protagonista di mettere in discussione l’origine delle foto senza permetterci di avere una visione esterna agli atti del processo, nel film non vediamo morire i bambini ma vediamo poco prima alcuni bambini diversi da quelli delle foto uccisi dai talebani ed abbandonati nelle case, dobbiamo quindi scegliere se credere all’accusa o se credere alla difesa, la nostra sola certezza per tutto il film è che Claus non aveva alcuna sicurezza dell’incolumità dei contadini quando ha ordinato il bombardamento che ha salvato la sua vita e quella dei suoi soldati. Lo spettatore è comunque indotto a stare dalla parte del soldato Claus che non ha agito secondo il protocollo ma ha portato a casa gli occidentali come noi ed è tornato dalla sua famiglia che ci viene descritta in modo molto coinvolgentenelle scene in Danimarca. Siamo costretti ad ammettere, e non è poco in questi film di guerra, che alla fine per quanto ci si possa scandalizzare davanti ai morti del medio oriente il nostro punto di vista più emotivo resta dalla parte dei nostri simili. Una bugia di un soldato salverà Claus riconsegnandolo alla sua famiglia e garantendo il “lieto fine” del racconto mentre le vittime del villaggio afghano sembreranno predestinate alla loro sorte solo per essere nate nel posto sbagliato del mondo. Il film ci obbliga a ragionare sulla nostra visione delle cose ed è perfetto per il momento storico e politico italiano, lo spettatore troverà inevitabili le analogie con il caso dei Marò, con le foto dei clandestini morti (bambini inclusi) diffuse in questi giorni dalla rete. Tutti noi naturalmente ci scandalizziamo ed inorridiamo davanti a quelle mostruosità ma se dovessimo scegliere fra una di quelle tragiche vittime ed uno dei nostri cari cosa faremmo? Il film di Lindholm ci obbliga a guardare dove distogliamo lo sguardo per sentirci più buoni verso le immagini del terzo mondo, per sentirci meno colpevoli dell’orrore ingiusto a cui l’umanità più povera sembra essere condannata per la nostra sopravvivenza o perfino per i nostri meno nobili agi e bisogni.

Daniele Clementi

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