Archivio mensile:dicembre 2007

Biografie a confronto: Marlene Dietrich e Leni Riefenstahl (2)

 BIOGRAFIE A CONFRONTO: MARLENE DIETRICH E LENI RIEFENSTAHL

di Elisa Lubiano

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(2)

L’ascesa di Hitler

Dopo L’Angelo Azzurro, Marlene Dietrich inizia a lavorare in America per la Paramount, girerà Marocco che, nello stesso anno 1930, le varrà la nomination all’Oscar come migliore attrice. Marlene però è decisa a tornare in Germania, la madre l’aspetta ma a Berlino tutto è cambiato. Celebre è la frase della stessa, entrata nel gergo: “Io ho ancora una valigia a Berlino”. Alla Dietrich sta per scadere il passaporto ma lei è intenzionata a prendere la cittadinanza americana. Le ragioni di questo si devono ricercare nel fatto che l’attrice non intende abbandonare Sternberg, ebreo e anti-nazista; inoltre, nel 1932, ricevette una lettera contenente la minaccia di rapire sua figlia Maria e la polizia americana non può fare molto per proteggerla perché è cittadina straniera. Si reca così all’ Ambasciata tedesca per richiedere un nuovo passaporto, avere i documenti in regola e poter richiedere la cittadinanza. Viene accolta dall’ ambasciatore in persona il quale la invita a ritornare a Berlino dove il Führer l’aspetta per farla diventare l’icona del cinema di regime. La Dietrich, cautamente, non rifiuta esplicitamente ma dichiara di non poter accettare in quanto legata da contratto, anche se ciò non era affatto vero.  Questa piccola bugia fu pronunciata per proteggere da eventuali ripercussioni di un suo atteggiamento troppo sfrontato sua madre,  residente a Berlino. La Dietrich non farà alcuna battaglia diretta contro Hitler, neanche durante la guerra anche se il suo atteggiamento fu più che esplicito. La Dietrich ottenne la cittadinanza americana il 6 marzo 1937.

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Nel febbraio del 1932 Leni Riefentahl va a un comizio di Adolf Hitler, è il primo della sua vita, non si era mai interessata di politica. Prende questa decisione incuriosita dai molti manifesti appesi lungo le strade di Berlino. Come molte altre persone presenti, anche Leni Riefenstahl subisce il fascino di quest’uomo. Parla del discorso, che aveva ascoltato allo Sportplast, con molti amici, alcuni dei quali ebrei. Da quel momento inizia a diffidare di alcuni aspetti del nazionalsocialismo. Incuriosita dal personaggio politico decide di scrivergli una lettera dove esprime il desiderio di conoscerlo. Pochi giorni dopo Hitler la contatta per riceverla, fu molto lieto di fare conoscenza con la regista perché ne apprezzava la sua arte e, in quella occasione, promise alla Riefenstahl che il giorno in cui lui sarebbe stato eletto, l’ avrebbe voluta al suo fianco per realizzare i suoi film. Leni a quelle parole risponde che sarebbe stato impossibile perché era decisa a realizzare solo ciò che più le era congeniale, inoltre, aggiunge che non si sarebbe iscritta al suo partito perché non condivideva i pregiudizi razziali.
Dopo questo incontro la Riefenstahl parte per girare un film in Groenlandia. Al suo ritorno in patria incontra nuovamente Hitler, che di lì a poco presta giuramento come Cancelliere nella camera del Reichstag, sotto gli sguardi e gli applausi di migliaia di sostenitori del nazismo (5). La simpatia di Hitler per la Riefenstahl suscita molte invidie: questa donna anziché occuparsi del bucato e dei bambini era la regista prediletta del Führer e, per di più, non era neanche iscritta al partito. Il Führer mantiene la promessa e chiede alla Riefenshal di realizzare un film sul congresso del partito a Norimberga. In un primo momento la Riefenstahl rifiuta la proposta poi, data l’insistenza di Hitler, accetta.

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Questo film viene intitolato “Il Trionfo della Volontà”, titolo scelto da Hitler. Il lungometraggio darà molte noie alla Riefenstahl nel dopoguerra perché è considerato un film di propaganda. Nelle intenzioni della regista invece c’era solo il proposito di realizzare un documentario sulla politica. Al processo è assolta. A questo film seguirà un cortometraggio riguardante la Wehrmacht. Viene poi contattata dal segretario generale del comitato organizzatore dell’undicesima edizione dei giochi olimpici per riprendere l’evento, la Riefenstahl trova la proposta interessante. La Riefenstahl e la sua squadra riescono a girare innovative e splendide immagini, la Riefenstahl non si piega mai ai desideri del Führer di evitare di inquadrare i concorrenti di colore. L’intervento di Hitler fu decisivo in molti casi per via delle invidie delle SA e del Ministero per la Cultura e per la Propaganda (6)  che provocarono alla Riefenstahl non poche noie. Il film esce il 20 aprile del 1938 grazie all’astuzia della regista. Infatti, l’uscita del film viene rimandata dalla primavera all’estate, momento poco indicato per promuovere un film. Il successo fu enorme, e come poteva essere diversamente? Presentato in concorso a Venezia dove vinse il la coppa Mussolini (Leone d’oro dell’epoca) (7) .  Dopo questo successo la Riefenstahl partì per un viaggio negli Stati Uniti. La vacanza è costellata da grandi delusioni, arrivata a Hollywood non è accolta come d’abitudine, è umiliata e cacciata. Tutto ciò appariva incomprensibile alla Riefenstahl fin quando non scoprì cosa era avvenuto in Germania la notte del 9 novembre: il pogrom di novembre (8).

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NOTE

(5) Hitler venne nominato come il nuovo Reichskanzler il 30 gennaio 1933. Il nuovo governo instaurò la dittatura con una serie di misure in rapida successione: in febbraio restaurò la polizia, mettendo a tacere i comunisti; Il 27 febbraio 1933 il palazzo del Reichstag venne ridotto in cenere, della qual cosa i nazisti si avvantaggiarono con il Decreto dell’incendio del Reichstag. Le successive elezioni del Reichstag, il 5 marzo 1933, portarono il 43,9% dei voti al NSDAP. Il Reichstag piantò gli ultimi chiodi nella bara della Repubblica di Weimar, con l’approvazione della Legge dei pieni poteri (Ermächtigungsgesetz) del 23 marzo 1933, che diede formalmente a Hitler il potere di governare per decreto e di smantellare a tutti gli effetti i resti della costituzione di Weimar. Il 14 luglio il NSDAP venne proclamato partito unico e il 1 dicembre la fusione tra stato e partito divenne legge e fondamento del Reich.
(6) L’11 marzo 1933 venne istituito il Ministero per la Cultura e la Propaganda, che presto divenne un punto nevralgico del nuovo regime. L’incarico fu affidato a Goebbles che innamorato (o forse irritato dal fatto che una donna non fosse ai fornelli) scagliò tutta la sua rabbia per essere stato rifiutato contro la regista.
(7) All’epoca i festival in Europa erano poco diffusi, possiamo ricordare la mostra dell’arte cinematografica di Venezia organizzata dal Volpi la cui prima edizione risale all’agosto del 1932 e il festival di Cannes (1939) che nasce dall’indignazione di un ministro francese verso le scelte del festival di Venezia dettate dal Fascismo e dal Nazismo. In America esiste tutt’oggi l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences (A.M.P.A.S.) è un’organizzazione professionale onoraria, fondata l’11 maggio 1927 in California, per sostenere lo sviluppo dell’industria cinematografica.
(8) Il 7 novembre un giovane ebreo assassinò con un colpo di pistola il segretario dell’ambasciata tedesca a Parigi. Quando la notizia venne resa nota, Hitler si trovava a Monaco per celebrare la marcia Feldherrnhalle del 1923, quando tenne il discorso chiese vendetta per quell’assassinio, incitando la caccia agli ebrei. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 Complessivamente vennero uccise 91 persone, rase al suolo dal fuoco 267 sinagoghe e devastati 7500 negozi. Circa 30 mila ebrei vennero deportati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen. Relativamente al campo di Dachau, nel giro di due settimane vennero internati oltre 13 mila ebrei; quasi tutti furono liberati nei mesi successivi privati dei propri beni ( anche se oltre 700 persero la vita nel campo ). Nessuno tra i vandali, assassini e incendiari venne processato. L’origine della definizione “notte dei cristalli”, più correttamente “Notte dei cristalli dell’Impero” è termine di scherno riferito alle vetrine distrutte, fatto circolare da parte nazionalsocialista e diffuso acriticamente fino ad oggi.

Benazir Bhutto : Il Pakistan brucia ed il governo riconosce "un certo imbarazzo"

I funerali di Benazir Bhutto sono stati velocissimi, ma non sono niente se paragonati alla velocità con cui l’attuale presidente del Pakistan è arrivato alla decisione di gestire le proteste in tutto lo stato con il "pugno di ferro".

In soli 2 giorni ci sono già stati 44 morti e la situazione sembra peggiorare di ora in ora. I dissidenti sono costretti alla calma dalle armi da fuoco mentre strani "commandos" di uomini mascherati cercano i più forti ostenitori di Benazir Bhutto per aggredirli.

Chi sono gli uomini mascherati che si aggirano per il Pakistan ? Sembra la trama di un pessimo film.

Il mullah Omar ha smentito con un comunicato la paternità da parte di Al Qaida dell’omicido mettendo in un certo imbarazzo il governo che sostiene una tesi contraria.

La portavoce personale di Benazir Bhutto, che ha preparato il corpo della donna per la cerimonia funebre ha potuto personalmente riscontrare una chiara ferita da arma da fuoco sulla nuca della donna mettendo in un certo imbarazzo il governo che sostiene che la donna sia morta per l’urto della testa contro il tetto della vettura che la trasportava.

In buona parte del Pakistan vengono aggrediti i seggi e distrutte le schede elettorali con cui si sarebbe dovuto votare fra circa dieci giorni mettendo in un certo imbarazzo il governo che prevedeva di confermare le elezioni previste.

La situazione è molto caotica e l’unica cosa certa è che il governo pakistano si trova "in un certo imbarazzo".

Se la cosa non fosse tragica a causa delle vittime sarebbe perfino ridicola.

Daniele Clementi

 

 

Senza potere (29/12/07)

Sofri + Sofri + Bignardi = Ferrara = Berlusconi ?

di Daniele Clementi

Ritorno ancora sul caso Luttazzi, perchè trovo che sia molto indicativo dei mutamenti che questo paese sta subendo ed ha subito in questi ultimi anni.

Il quotidiano "la Repubblica" ha pubblicato martedì 11 dicembre uno speciale "R2 DIARIO" dedicato alla satira. Il primo pezzo, a mio parere orribile, è stato scritto da Adriano Sofri ed è ,a parer mio, una delle cose più violente ed intolleranti che abbia letto in questi ultimi anni, il secondo è stato scritto da Michele Serra ed è il trionfo dell’indifferenza di un intellettuale nei confronti di una censura, mi spaventa anche Michele Serra perchè sembra più lucido di Sofri ma pur sempre indifferente alla natura dell’evento (ma di lui parlerò in futuro). In questi giorni poi sono intervenuti anche il direttore di "TV SORRISI E CANZONI" con un editoriale piuttosto aggressivo e censorio, ed infine ha parlato in merito anche Daria Bignardi.

Procedo con ordine e faccio anche io un pochino di satira su questi giornalisti ed i loro contenuti.

Adriano Sofri è stato condannato in via definitiva nel gennaio del 1997 a 22 anni di reclusione come mandante dell’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi avvenuto il 17 maggio del 1972 in complicità con Pietrostefani. Ora vi chiederete questo che cosa abbia a che fare, datemi tempo perchè credo che sia sempre utile rinfrescarsi la memoria quando qualche potente prende una posizione contro qualcuno meno potente di lui. Si, io ritengo che Adriano Sofri sia un membro della "casta", sia un potente, uno diverso dagli altri, che conta ed influenza più degli altri la pubblica opinione, certo non è in libertà ma sono pochi i carcerati che possono raggiungere i grandi media ed essere così famosi ed autorevoli da poter scrivere su "Repubblica" e non solo. Quindi sia chiaro Sofri, che per qualcuno è una vittima, è anche un potente, io ho collaborato ad organizzare un cineforum presso il carcere di Chiavari ed ho incontrato persone che pur avendo delle qualità culturali non giungeranno mai ai vertici in cui si trova Sofri, che resta un carcerato privilegiato, autorevole e potente. Scrivo questo perchè non si tratta di sparare sulla croce rossa se si critica Adriano Sofri, ok? Non stiamo parlando di Aung San Suu Kyi ! Ok ?

Adriano Sofri parla di volgarità e ignora la censura, ignora il fatto che Luttazzi aveva ottenuto da contratto assoluta libertà nella forma e nei contenuti e sottolineo "nella forma" !!!!!

Adriano Sofri ignora che lo stille di Luttazzi è sempre stato questo ed ignora che la battuta derivi da Rabelais, infatti la famosa battuta che avrfebbe offeso Ferrara è stata scritta da Rabelais ed è stata inserita volutamente da Luttazzi nel programma come citazione ad un maestro della satira, quasi nessuno lo sapeva o se ne è accorto ma è così, questi giornalisti potenti stanno processando Rabelais senza saperlo e questo cari miei è un grandissimo e divertentissimo esempio di satira ! Geniale ! 

Sofri parla di buon gusto, raffinatezza e volgarità ma mai si sogna di ragionare sulla censura, sul diritto di parola, sul dettaglio democratico e fondamentale che ogni persona risponde di quello che dice e di quello che fa alla legge e questo basta in democrazia, senza il bisogno di censura o di altre violenze ed è strano perchè Sofri da condannato (e forse da vittima) dovrebbe sapere bene queste cose.

Daria Bignardi tesse alcune lodi per Luttazzi e si dispiace della cancellazione del programma (lei la chiama cancellazione e non censura) ma nello stesso tempo ne capisce le ragioni.

Daria Bignardi dice: " Se qualcuno si prende dei rischi per te, come ha fatto Campo Dall’Orto chiamando Luttazzi a La7, cosa che non avrà fatto piacere a molti di quelli che contano qualcosa in televisione, tu non insulti uno della sua squadra. Puoi sfotterlo, criticarlo, prenderne le distanze, ma insultarlo con immagini volgari e offensive no. "

Anche Daria Bignardi ignora il fatto che Luttazzi aveva ottenuto da contratto assoluta libertà nella forma e nei contenuti e che Campo Dall’Orto sapeva certamente come avrebbe usato Luttazzi questa libertà.  Ignora la citazione di Rabelais ed ignora che fosse una fantasia e non un insulto la sua battuta. Secondo la Bignardi il censore diventa vittima, la censura diventa cancellazione e la satira diventa volgarità, per carità ogni opinione merita rispetto, sarebbe bello però che anche Luttazzi potesse continuare ad esprimere le sue opinioni così come la Bignardi.

Daria Bignardi evoca la responsabilità e l’etica nei confronti del proprio editore e devo ammettere che lei questo senso di responsabilità lo esprime spesso nel suo lavoro. Alcune settimane fa , per esempio, Daria Bignardi ha intervistato Franca Sozzani, direttore editoriale Condè Nast e direttore di Vogue Italia. La signora Sozzani si era appena trovata nell’occhio di un ciclone scatenato dalla Gabbanelli su "Report" e Daria Bignardi parlando di taglie e peso con la Sozzani ha trovato lo spazio per consentire all’editrice una replica senza contraddittorio sulla Gabbanelli.

Io non condivido il concetto del contraddittorio perchè penso che sia puramente ipocrita e quindi non trovo discutibile che la Bignardi ne abbia voluto fare a meno, però non posso non rilevare che la Bignardi non è stata toccata da nessuno per la sua scelta, cosa che non sarebbe passata così a buon mercato se fossero stati nomi come Luttazzi, Santoro o la Gabbanelli a farlo.

Per chi non lo sapesse Franca Sozzani, in quanto direttore editoriale di Condè Nast , è datrice di lavoro di Daria Bignardi che cura una rubrica fissa su "Vanity Fair" (di proprietà Condè Nast ). Se si considera che anche il marito di Daria Bignardi, Luca Sofri (figlio di Adriano Sofri) lavora per "Vanity Fair" si sarebbe anche potuto considerare un teorico conflitto etico, ma pare che l’etica si debba sbattere in faccia solo a Luttazzi. Se poi si considera che la Bignardi ed il marito Sofri lavorano a La7 come Ferrara e se si considera che Sofri padre e figlio lavorano per il Quotidiano "Il Foglio" diretto da Giuliano Ferrara e di proprietà al 38% di Veronica Lario Berlusconi si potrebbe formulare una domanda satirica di questo genere:

Sofri + Sofri + Bignardi = Ferrara = Berlusconi ?

La domanda non vuole una risposta è solo una battuta, nessuno si offenda ! Ho fatto satira senza nemmeno essere volgare, perchè sono le parolacce a disturbare, non i contenuti o le opinioni … vero ?

Omaggio a Raymond Chandler (3)

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CHANDLER E IL CINEMA
a cura di Pippi

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Philip Marlowe e Sam Spade, i due eroi creati rispettivamente da Chandler e Hammett, ebbero una notevole fortuna cinematografica. La rappresentazione del detective al cinema, che si ricava uno spazio come sottogenere all’interno del film noir, riscuote immediatamente un grande successo, e crea un’iconografia-modello cui anche i successivi remake si ispirano. Non è inutile sottolineare che la punta più alta di tutto il noir americano (1945-1950) coincide proprio con l’adattamento cinematografico dei grandi romanzi di Chandler. In questo periodotroviamo ben quattro dei suoi romanzi ridotti per lo schermo: Addio mia amata, II grande sonno, La signora nel lago, Finestra sul vuoto,
Benché Chandler sia stato anche uno sceneggiatore di talento (La flamma del peccato di Billy Wylder e L’altro uomo di Alfred Hitchcock), di fatto ha partecipato ad un solo adattamento tratto dalla sua opera. Egli spiegava così le ragioni della sua "defezione": "Ho lavorato ad una versione cinematografica de La signora nel lago, è l’ul­tima volta che lavoro ad una sceneggiatura tratta da un mio libro. Mi sembra di riesumare le ossa di un cadavere ".
Robert Montgomery ha girato Una donna nel lago intera­mente in prima persona: con la macchina da presa in soggettiva: non si vede mai il detective privato, Philip Marlowe; talvolta si coglie il suo riflesso negli specchi. Questa studiata originalità non ha affatto impressionato Chandler, che sottolinea: "La tecnica soggettiva de Una donna nel lago è un vecchio trucco di Hollywood. Tutti i giovani sceneggiatori e tutti i giovani registi vi si sono cimentati".
L’ombra del passato di Dmytryk offre delle trovate interessanti: un intrigo sufficientemente complicato, illuminazioni ad effetto: ma II grande sonno è il migliore degli adattamenti chandleriani. Scritto da William Faulk­ner e Leight Brackett, è il film più chandleriano sia tra quelli finora citati che tra quelli che verranno. Hawks dipinge in questa pellicola, con una rara precisione ed un flemmatico humour, il quadro spietato della decomposizione di un mondo, al contempo narrando l’incontro della bellezza (Lareen Bacall) con l’intelligenza (Bogart). Con queste parole Raymond Chandler consigliava ad un suo amico la visione delfilm: "Se un giorno vedrete questo film, II grande sonno (almeno la prima parte), vedrete ciò che può fare con una storia di questo genere un regista che possiede il senso dell’atmosfera e un voluto tocco di sadismo segreto. Bogart, sicuramente, è superiore a tutti gli altri "duri" del cinema". A questi film va aggiunto, nello stesso periodo, un buon thriller di George Marshall, La dalia azzurra (1945), del quale Chandler è in parte responsabile: ""In meno di due settimane ho scritto un racconto originale di novanta pagine, La dalia azzurra L ‘ho interamente dettato e non gli ho potuto dare neanche un colpo d’occhio prima di averlo finito… C’e del buono e del meno buono". Si trovano anche delle "scorie” nella filmografia di Chan­dler, alcune involontarie (le prime trasposizioni da Addio mia amata: The Falcon Takes Over di Irving Reis e da Finestra sul vuoto: Time to Kill di Herbert I. Leeds), altre accettate (due sceneggiature: Il grande silenzio per la regia di Irving Pichel, un mediocre melodramma a sfondo medico, e Il fantasma di Lewis Allen, un monotono thriller "domestico").
Negli anni Settanta Paul Bogart, Robert Altman e Dick Richards riprendono in mano i lavori di Chandler. I primi due mettono in scena romanzi mai portati al cinema: L’investigatore Marlowe di Paul Bogart è tratto da Troppo tardi o La sorellina (due titoli italiani dati al romanzo The little sister nelle differenti traduzioni) e II lungo addio di Altman da un omonimo romanzo di Chand­ler. La terza riduzione, quella di Richards, è anche la terza trasposizione per lo schermo di Addio, mia amata, meno interessante della versione di Dmytryk, ma con il grande vantaggio di avere per protagonista, nei panni di Marlowe, Robert Mitchum. E sempre Robert Mitchum è il protagonista dell’ultima (attualmente) riduzione da Chan­dler, Marlowe indaga diMichael Winner, tratto ancora da Il grande sonno, in cui l’ormai pallida ombra del detective chandleriano viene collocata in un’ambientazione londinese (sic!).
Per ironia della sorte, il solo romanzo di Chandler non trasposto sugli schermi a tutt’oggi, è Playback, che era nato come sceneggiatura per un film.

FILMOGRAFIA
1942. The Falcon Takes Overdi Irving Reis, tratto da Addiomia amata
1943: Time to killdi Herbert I. Leeds, tratto da Finestra sul vuoto
1945: L’ombra del passato (Murder my Sweet) di Edward Dmytryk, tratto da Addio, mia amata
1946: Il grande sonno (The Big Sleep) di Howard Hawks, tratto da Il grande sonno
1946: Una donna nel lago (The Lady in the Lake) di Robert Montgomery, tratto da La signora nel lago
1947: La moneta insanguinata (The Brasher Doubloon) di John Brahm, tratto da Finestra sul vuoto
1969: L’investigatore Marlowe (Marlowe) di Paul Bogart, tratto da Troppo tardi / La sorellina
1973: Il lungo addio (The Long Goodbye) di Robert Airman, tratto da 77 lungo addio
1975: Marlowe, il poliziotto privato (Farewell, My Lovely) di Dick Richards, tratto da Addio, mia amata
1978: Marlowe indaga (The Big Sleep) di Michael Winner, tratto da // grande sonno
 
SCENEGGIATURE
1944: Il grande silenzio (And Now Tomorrow) di Irving Pichel
1944: La fiamma del peccato (Double Indemnity) di Billy Wylder
1945: Il fantasma (The Unseen) di Lewis Allen
1946: La dalia azzurra (The Blue Dahlia) di George Marshall
1951: L’altro uomo / Delitto per delitto (Strangers on a Train) di Alfred Hitchcock
In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).

Le 10 settimane di Benazir Bhutto

Dieci settimane, dieci settimane per comunicare con la sua gente, dieci settimane per organizzare pochi ed affollatissimi comizi, dieci settimane perchè il mondo capisse che questa donna la notte dell’otto gennaio avrebbe ripreso la guida del Pakistan, dieci settimane che divenute dodici avrebbero reso Benazir Bhutto la donna politicamente più importante di tutto il medio oriente, ma in Pakistan c’era qualcuno che tutto questo non lo voleva, qualcuno che in queste dieci settimane aveva già provato molte volte a colpire.

Benazir Bhutto era figlia del deposto primo ministro Zulfiqar Ali Bhutto e nipote di Sir Shah Nawaz Bhutto, figura chiave del movimento indipendentista pakistano. Si era laureta ad Harvard e specializzata ad Oxford in politica.

Era una donna intelligente, scomoda e potente, una donna difficile da sottomettere che avrebbe spinto molte altre donne a diventare come lei. Era già stata primo ministro del Pakistan dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996.

Pervez Musharraf, attuale Presidente pakistano stava avendo grossi problemi a causa di questa donna ed ora ogni cosa è "risolta", pare che sia colpa di Al Qaida che rivendica l’attentato, ma il popolo pakistano corre lo stesso per le strade ed urla contro Musharraf, tutti sanno però che alla rabbia segue il dolore e poi ci si calma.

Oggi abbiamo una speranza in meno ed un martire in più … che natale di merda !

Daniele Clementi

" Meet John Doe – Arriva John Doe " di Frank Capra (1941)

” Meet John Doe – Arriva John Doe ” di Frank Capra (1941)

Recensione di Marina Pianu

nel vasto repertorio di film per le festivita’ natalizie merita un suo
posticino anche questo “classico” di frank capra, non foss’altro perche’
culmina nella notte di natale (con un piccolo, potente, irriverente,
parallelo con il personaggio la cui nascita si celebra).

“john doe” e’ l’uomo medio, un nome che quasi suona come “mario rossi”, ed e’
un nome che si da’ a chi ha dimenticato il proprio. con un volo di fantasia
potremmo anche chiamarlo “l’uomo qualunque” (il riferimento non e’ casuale).
in questo caso, e’ il parto dell’immaginazione vendicativa di una giornalista
che rischia il posto dopo che la testata per cui lavora viene rilevata da un
magnate dei media (simil-pre-kane). la prima sequenza del film e’ quella di
un operaio che con il martello pneumatico cancella il nome “vecchio” del
giornale, il “bulletin”, coperto dalla targa del nuovo, il “new bulletin”,
scritto in corsivo (piu’ dinamico). spregiudicato dinamismo e’ la nuova
parola d’ordine, e il nuovo redattore capo (james gleason) non si lascia
intimidire dai casi personali dei vecchi dipendenti. l’atmosfera e’ lugubre,
e non ha nulla dell’entusiasmo pionieristico di “citizen kane” o il buon
tanfo di rotativa e sano artigianato di “his girl friday”. l’atmosfera e’
quella di un paese che sta respirando aria di guerra e di totalitarismi.
sulla “santa vocazione” del giornalista incombe l’ala nera del potere
politico-finanziario. suona famigliare?

frank (al secolo francesco rosario) capra e’ noto al grande pubblico per film
di sicuro effetto (e di moralita’ sonante) come “it’s a wonderful life” (la
cui rituale reiterazione natalizia e’ stata fortunatamente bloccata da una
questione di copyright), “it happend one night”, “you can’t take it with
you”, “mr. smith goes to washington”, ecc. forse e’ meno noto per la mole di
film di propaganda che realizzo’ durante e subito dopo la seconda guerra
mondiale. professionista della commedia sentimentale, i suoi film traboccano
talvolta di sdolcinata moralita’ populista e demagogica. “meet john doe” non
fa eccezione. dietro la protesta contro un sistema che schiaccia e imprigiona
l’individuo, si cela l’apoteosi dell’americano medio, eroicamente medio,
organicamente sano di principi, leale e ottimista, generoso e patriotico, in
cui si mescolano l’illusione dell’individualismo e del collettivismo. john
doe e’ tutto questo e, nella sua lotta disperata contro i poteri non eletti
(denaro e media), proprio in virtu’ delle summenzionate qualita’, ri-esce
come davide davanti a golia.

poco importa che john doe sia falso: gary cooper (ovvero john willoughby) sa
impersonare le aspirazioni, le paure, la rabbia dell’uomo medio, troppo
ingenuo per intuire la frode senza un “aiutino” da parte di coloro che nella
frode, magari malvolentieri, ci hanno fondato un mestiere.

la versione originale prevedeva un finale tragico, il martirio di john doe che
avrebbe ridestato, come la morte di cristo in croce duemila anni prima, la
coscienza spenta e delusa degli americani. prima di rilasciare il film,
pero’, capra sperimento’ diversi finali con proiezioni in anteprima in
diverse localita’ degli stati uniti. alla fine quella che risulto’ vincente
fu quella che conosciamo. c’era odore di guerra nell’aria, anche se roosevelt
continuava a tentennare (si dice che “il grande dittatore” di chaplin
contribui’ a convincerlo) e nel film vi si fa subliminalmente menzione
durante la scena del congresso dove john doe viene moralmente crucifisso.
affinche’ la sua morte non dovesse risultare troppo deprimente per gli
spettatori, resta sul livello simbolico, per poi resuscitare nel
(prevedibile) trionfo finale.

puo’ dare fastidio l’elogio del sistema americano nel “redento” direttore
capo, che presentendo il pericolo di un regime fascista in patria, mette in
guardia l’eroe contro la manipolazione. da’ particolarmente fastidio a noi,
oggi, che sappiamo com’e’ andata a finire. cosi’ come desta sospetto la
crescita di un movimento populista (molto simile a quello dell’uomo
qualunque, appunto, ma anche ad un’altra, e piu’ recente, rete di “club”)
fondato su valori buoni, si’, ma quanto mai vaghi e adattabili ad una
qualunque situazione. il conservatore capra mette in guardia lo spettatore
contro il rischio di un qualunque movimento che invochi il “nuovo”, e in
particolare un “ordine nuovo” (profetico?). e’ ancora una volta
l’irriducibile fiducia di capra (capra-corn o capraesque?) nell’innata bonta’
dell’uomo qualunque americano a sventare il pericolo, almeno in apparenza. in
apparenza il messaggio e’ che il denaro corrompe ed e’ meglio lasciarlo ai
ricchi, che sono gia’ corrotti, mentre all’uomo medio si confa’ meglio
contare sulla collaborazione del vicino. allo spettatore (medio) resta
irrisolto il dilemma sulla infinitamente sottile linea che divide la
partecipazione attiva dei cittadini dalla diffusa complicita’ tipica di un
regime totalitario.

propaganda o no, e’ un grande film, opera di un grande regista (al di la’
delle scelte politiche), che meriterebbe di essere proiettato in tutti i
circoli e associazioni di quartiere, non foss’altro che per sviluppare una
riflessione sul concetto di democrazia partecipata e sul potere dei media (o
i rapporti dei media col potere).

piccola curiosita’: walter brennan, l’attore che recita la parte del
“colonnello” (l’uomo libero, senza soldi e senza dimora), era un
arci-conservatore, e nella corsa per il governatorato in california negli
anni ’60 appoggio’ ronald reagan, perche’ considerava nixon “troppo
liberale”! 🙂

alcune recensioni d’epoca:
http://xroads.virginia.edu/~MA97/halnon/capra/doerev.html

n.b. il film e’ di pubblico dominio.

“Well, you don’t have to die to keep the John Doe ideal alive. Someone already
died for that once. The first John Doe. And he’s kept that ideal alive for
nearly 2,000 years. It was He who kept it alive in them. And He’ll go on
keeping it alive for ever and always – for every John Doe movement these men
kill, a new one will be born.” [ ann a john per convincerlo a non buttarsi ]

CREDITI

 
Regia: Frank Capra.
Sceneggiatura: Robert Presnell Sr., Richard Connell e Robert Riskin.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 3 maggio 1941 (USA)
-Interpreti principali –
Gary Cooper : John Doe / Long John Willoughby
Barbara Stanwyck : Ann Mitchell
Edward Arnold : D. B. Norton
Walter Brennan : The Colonel
Spring Byington : Mrs. Mitchell
Produttore: Frank Capra.
Colonna sonora originale: Dimitri Tiomkin.
Direttore della fotografia: George Barnes.
Montaggio: Daniel Mandell.
Durata: 122 minuti.

Biografie a confronto: Marlene Dietrich e Leni Riefenstahl (1)

 

 BIOGRAFIE A CONFRONTO: MARLENE DIETRICH E LENI RIEFENSTAHL

di Elisa Lubiano

Il presupposto teorico dal quale nacque la mia idea di scrivere questo testo mirava a presentare la storia della Germania nazista attraverso il pensiero di Marlene Dietrich e Leni Riefenstahl. Il progetto si è rivelato molto ambizioso già dalle prime ricerche bibliografiche e, per questo, ho deciso così di scrivere queste due biografie dando rilevanza agli eventi storici da loro vissuti. Ho tralasciato i film diretti o interpretati dalle due (se non in una parentesi nell’ultima puntata chiamata “Le Opere”), gli amori o le avventure e ho provato a mettere in luce il loro pensiero verso i fatti da loro vissuti. La scelta è ricaduta su questi due personaggi e non su altri per via di un mio interesse e per causa di alcune coincidenze: entrambe sono donne, sono tedesche, nascono e muoiono all’incirca nello stesso periodo a Berlino.
È possibile, anche se non molto diffuso sui manuali di storia, interpretare la gli avvenimenti attraverso il pensiero degli uomini e attraverso i loro scritti. Questo approccio mira a recuperare, anche se in forma semplificata o astratta le esperienze vissute. (Aron, 1989).
Ho scelto di suddividere il testo in quattro grandi periodi: il primo corrisponde alla giovinezza delle due artiste, gli altri invece vengono suddivisi secondo macro tappe che caratterizzano la Germania (e gran parte  dell’Europa) del novecento.
 Ho preferito relegare nelle note i chiarimenti di alcuni avvenimenti storici e ciò mi ha semplificato l’elaborazione scritta. Queste poche pagine non vogliono essere esaurienti.

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Infanzia, giovinezza e primi ingaggi

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Marlene Dietrich e Leni Riefenstahl nascono a pochi mesi di distanza. La prima affermerà più volte di essere nata nel 1904. Entrambe crescono e vengono educate secondo i rigidi canoni borghesi. Se Marlene si adatta molto bene a questo tipo di educazione, non possiamo affermare lo stesso per Leni; la sua giovinezza è, infatti, costellata di continui litigi con il padre. Marlene ama le lingue, la musica e non disdegna le ore di lezione di taglio e cucito mentre Leni trova le lezioni di pianoforte infinitamente noiose sebbene ami la musica, ella preferirebbe praticare la ginnastica o la danza (discipline negatele dal padre) comunque praticare sport. All’epoca non era diffuso praticare attività fisica se non saltuariamente, nonostante ciò ritroviamo in Leni Riefestahl una vera sportiva, pratica: nuoto, tennis e ama passeggiare nella natura.
La Prima Guerra Mondiale è ormai scoppiata, le protagoniste della mia indagine vivono questi anni in modo estremamente diverso. Leni, di questo conflitto, non se ne preoccupa molto e continua a vivere in modo spensierato questi anni, invece per Marlene la situazione muta notevolmente. A scuola trova difficoltà a rapportarsi con i suoi compagni di scuola ma incontra una professoressa francese con la quale presto fa amicizia e conversazione in lingua. Questo incontro le dona grande gioia e inizia a ricercare informazioni sulla Francia e sulla lingua francese. Purtroppo il 3 agosto 1914 la Germania dichiara guerra alla Francia e presto la sua professoressa dovrà far ritorno nel suo Paese. Marlene ne soffre molto, ha perso così il suo unico punto di riferimento all’interno dell’istituto scolastico che non amava. Anche suo padre partirà per il fronte e non farà mai più ritorno. Nella sua auto biografia (Dietrich, 1985) Marlene descrive dettagliatamente le atmosfere di quegli anni di disperazione, rinuncia e attesa.
Entrambe studieranno al collegio, usanza piuttosto comune nelle classi borghesi. La scelta della famiglia di Leni fu dettata dal fatto che la ragazza era troppo vivace e disubbidiente: aveva osato prendere lezioni di danza tenendo all’oscuro il padre, il quale non avrebbe approvato perché considerava le donne dello spettacolo cattivi esempi, donne immorali. La vedova Dietrich si orientò verso questa scelta educativa perché a sua figlia fosse educata secondo i principi della tradizione filosofica tedesca. Al collegio le due giovani donne si appassionano alla letteratura: Marlene impara a memoria Goethe e le leggi di Kant, Leni abbandona le letture di fiabe e leggende e si dedica a letture più impegnative. Marlene ottiene ottimi risultati nello studio del violino, ma anche del pianoforte e del liuto, Leni continua ad esercitarsi nella danza e si dedica alla regia e alla recitazione nel laboratorio teatrale allestito dalla scuola. Entrambe, durante il tempo libero si recano a teatro per assistere, talvolta, anche all’opera.
Finito il liceo, rientrano a casa ed ad accoglierle ci saranno nuove e gradite novità. Leni riesce a scendere a patti con il padre: lei lavorerà nell’azienda di famiglia e il padre le permetterà di iscriversi a una scuola di danza. Marlene, sostenuta dalla madre, si iscriverà all’Accademia di Berlino dove studierà violino per molti anni. Le giornate delle due future star del cinema sono molto faticose ma anche molto appaganti. Le lunghe ore passate ad esercitarsi al violino provocheranno a Marlene una ferita ai legamenti tale che dovrà rinunciare alla carriera di concertista. Nonostante il disaccordo della madre si iscrive alla scuola di recitazione di Max Reinhardt e inizia così una lunga gavetta teatrale. Il 17 maggio 1923 sposa Rudolf Sieber un aiuto regista e un anno dopo nasce sua figlia Maria Elisabeth. Nel 1929 arriva la sua prima interpretazione da protagonista nel film Die Frau nach der man sich sehnt.
Leni partecipa segretamente a diversi provini e spesso è scelta come attrice. Deve però rinunciare ogni volta per non offendere il padre. Presto diviene richiestissima come ballerina, ha ingaggi in tutt’Europa e il padre le concede di vivere e di gestire da sola la sua carriera.  Nel 1924, durante uno spettacolo, si fa male a un ginocchio e deve abbandonare, almeno momentaneamente la danza; proprio per questo motivo Leni si interessa ad alcune proposte arrivate dal mondo del cinema e inizia così una lunga amicizia e un rapporto di collaborazione con il regista Arnold Franck. Con lui girerà alcuni film di montagna. Il principio ispiratore è la cultura Volk, che andrà ad aggravare la sua posizione nel dopoguerra; i principi ispiratori di questa tradizione vengono ripresi dal nazismo per giustificare lo sterminio degli ebrei. Questa lunga collaborazione allontanerà la Riefenstahl dalla danza, sempre più affascinata dal mondo cinematografico, dalla recitazione e dalla regia.
Questo, per la Germania, è il periodo della Grande Depressione. La situazione politica ed economica è instabile. I prezzi salgono a dismisura ma le due ragazze non se ne interessano molto. Marlene scrive a proposito di ciò: ”Io sapevo che i prezzi erano soggetti a impressionanti fluttuazioni, ma come tutte le ragazze e le donne della mia generazione, mi limitavo a constatare la cosa senza preoccuparmene troppo” (Dietrich, 1985).

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Alla fine degli anni venti Josef von Sternberg sta cercando la protagonista della sceneggiatura dell’Angelo Azzurro (Der Blaue Engel, 1930.) Incontra sia la Dietrich che la Riefenstahl. Sceglierà la Dietrich perché è anche una cantante ma vuole Leni al suo fianco durante le riprese. Questo infastidisce molto Marlene che si rifiuta di recitare fino a che la Riefenstahl fosse presente. Alla fine delle riprese Sternberg dovrà partire per Hollywood e portare con sé una delle due attrici. La Dietrich con questa interpretazione viene consacrata al mondo cinematografico e la scelta più ragionevole per Sternberg è quella di portare lei e non la Riefenstahl. Sternberg, comunque, prova grande ammirazione per la Riefenstahl.
Le strade delle due star del cinema sembra si dividano, in realtà nonostante le scelte opposte che prenderanno, le troveremo entrambe esiliate dalla loro Patria alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

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NOTE

1) Il conflitto cominciò il 28 luglio 1914 a seguito dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero Austro-Ungarico, compiuto a Sarajevo (Bosnia) il 28 giugno 1914 da parte del nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip. Si concluse l’11 novembre 1918.

2) Nasce con la sconfitta di unificazione nazionale. Trova il suo fondamento nel legame tra popolo e terra. Altro elemento fondamentale è la purezza: tutto ciò che si discostava dal legame originario con la terra era una minaccia da estirpare.

3) La Grande Depressione fu una drammatica recessione economica che sconvolse l’economia mondiale alla fine degli anni venti, con gravi ripercussioni durante i primi anni del decennio successivo. L’inizio è associato alla crisi del New York Stock Exchange (borsa di Wall Street) avvenuta il 24 ottobre del 1929 (giovedì nero), a cui fece seguito il definitivo crollo della borsa valori del 29 ottobre (martedì nero). La depressione si propagò rapidamente a tutti i paesi che avevano stretti rapporti finanziari con gli Stati Uniti, a partire da quelli europei che avevano richiesto l’aiuto economico degli americani dopo la Prima Guerra Mondiale, compresa la Germania, dove il ritiro dei prestiti americani fece saltare il complesso e delicato sistema delle riparazioni di guerra. In Germania il crollo, provocò milioni di disoccupati e fornì la base di consenso per portare il nazismo al potere (1933). Nel complesso, nonostante un accenno di ripresa a partire dal 1933, la crisi non fu completamente superata fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale.

4) Tratto da “Il professor Unrath” scritto da Heinrich Mann, fratello del più famoso Thomas.

Omaggio a Raymond Chandler (2)

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LA HARD BOILED SCHOOL
a cura di Pippi

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II padre fondatore della Hard boiled school, la "scuola dei duri", ovvero del poliziesco d’azione all’americana, fu Dashiell Hammett, che, come si accennava sopra, portò al limite estremo la narrativa d’azione, facendone un ner-voso susseguirsi di emozionanti avvenimenti, sulle pagine della rivista Black Mask. E’ sulla medesima rivista che inizierà a scrivere Raymond Chandler, ed a lui si deve anche una ricerca teorica sulla narrativa poliziesca, che rappresenta di fatto il "manifesto" dell’hard boiled. Peccato che la verve polemica con cui è condotta la sua teorizzazione lo porti a sostenere le tesi del realismo della scuola d’azione, di contro ad un presunto "idealismo" del poliziesco classico, basato sulla presunta deduzione logica e sul gioco "enigmistico":

 

"C’e un romanzo di Dorothy Sayer in cui un tale viene assassinate mentre è solo in casa di notte per mezzo di un peso sganciato da un meccanismo il cui funzionamento è provocato dall’abitudine della vittima di accendere la radio sempre ad una certa ora, di porsi davanti alla radio sempre in una certa posizione e di chinarsi fino a quel punto preciso. Un paio di centimetri di scarto da una parte o dall’altra, e i lettori resterebbero a bocca asciutta. Questo, volgarmente, si chiama "avere il Padreterno dalla propria parte"; e a un assassino che ha bisogno di tanta collaborazione da parte della Provvidenza, io consiglierei di cambiar mestiere.

C’e poi un libro di Agatha Christie, imperniato su Hercule Poirot, l’ingegnoso belga che parla come una traduzione letterale dal francese eseguita da uno scolaretto delle medie. Qui, dopo aver fatto debitamente funzionare le sue "piccole cellule grigie" il signor Poirot decide che nessuno, su una certa vettura letto, può aver compiuto il delitto da solo, e perciò tutti l’hanno commesso insieme, suddividendo il processo in una serie di operazioni semplici, come il montaggio di uno sbattiuova. Questo e il genere di intreccio che senza dubbio metterà fuori combattimento le intelligenze più poderose. Solo un deficiente potrebbe indovinare come sono andate le cose". (Raymond Chandler La semplice arte del delitto, A. Mondadori editore, 1988, vol. n, pp. 740-741)

 

Mentre, invece:

 

"Hammett ha tolto il delitto dal vaso di cristallo e l’ha gettato nei vicoli: non e indispensabile che vi rimanga per sempre, ma è stata una buona idea portarlo, tanto per cominciare, il più lontano possibile dal Manuale delle buone maniere di Emily Post, e dai suoi precetti sul come una compita debuttante deve mordicchiare un’ala di polio". (Ibid, p. 745)

 

Indubbiamente il cambiamento tra una scuola di poliziesco e l’altra è omologabile ad uno spostamento verso un’ambientazione apparentemente più reale, ma, sia in Hammett che poi in Chandler stesso, ci troviamo di fronte ad opere che fanno da specchio al reale, ma, come in ogni opera d’arte, l’immagine riflessa è distorta, deformata, offuscata dall’occhio che guarda. Di fatto, anche nei termini stessi usati da Chandler, nella stessa accezione di realismo, né Hammett né lui stesso hanno portato il realismo nella letteratura poliziesca, bensì trasposizioni di elementi colti dal quotidiano e filtrati dall’immaginazione.

A nostro avviso, quindi, ciò per cui vale la tesi di Chandler è da intendersi rispetto al "verosimile", o, se si vuole, al "realismo poetico", non al realismo tout court. Come sostiene Austin Freeman, il poliziesco è un romanzo di analisi che, forse unico, riunisce le qualità della mente e dei sentimenti e quindi può essere considerato come la forma più evoluta di letteratura (almeno in termini teorici).

Ci sarebbe di che dissentire su svariati punti del suo "decalogo", in primis sulla stessa necessità di regole rispetto ad un’opera, catalogabile o meno in qualche genere prefissato. Fortunatamente, i romanzi chandleriani sono meno filosoficamente limitati delle sue speculazioni teoriche. Il problema di fondo, ci sembra, è che Chandler tenti in qualche modo di giustificare e portare ad esaltazione il capovolgimento effettuato rispetto alla scuola "giallistica" precedente, oltre a cercare di svincolare la stessa letteratura gialla dalla ristretta accezione di "letteratura di intrattenimento". E allora fornisce a se stesso e agli altri, gli strumenti indispensabili per fare sì che l’"oggetto" possa funzionare, ma allo stesso tempo lo limita ponendogli degli angusti confini che egli stesso, per buona sorte nostra e della letteratura, non mette in pratica. Epigono dell’hard boiled school, anche se di ben inferiore talento e, per giunta, di idee reazionarie, è Mickey Spillane, l’ideatore di Mike Hammer, che lo stesso Chandler defini "mediocre autore da fumetti", ma che, di fatto, disprezzato o meno, si colloca come propaggine della scuola d’azione (seppure senza alcun contenuto di denuncia sociale).

Ultima notazione: chi ha letto James Ellroy (Dalia nera, White Jazz, II grande nulla, ecc), forse ha ritrovato un modo di scrivere, di affrontare la realtà della malavita, della corruzione, della sostanziale solitudine dell’indivi-duo e delle sue solitarie scelte, che ci azzardiamo a vedere come erede contemporaneo di Chandler.

In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).

" La caduta degli dei " di Luchino Visconti (1969)

 

" La caduta degli dei " di Luchino Visconti (1969)

Recensione di Marina Pianu

 

impressionante. piaccia o non piaccia, "la caduta degli dei" (gotterdämmerung)
e’ un film che lascia il segno. due ore e mezzo vissute intensamente senza
neppure un pensiero a gettare l’occhio sull’orologio. mitologico, mitico,
metaforico, allegorico, storico, lirico sinfonico e operatico, pittorico,
dinastico, carnale, fiammeggiante, passionale e cinico, decadente e marxista,
perverso moralista e ateo, vigorosamente sensuale: in altre parole, geniale.
enciclopedico (parla della germania, ma per traslato dell’italia; del
nazismo, e del fascismo; delle tragiche dinamiche familiari e della lotta di
classe, di decadenza e corruzione). la storia fatta a strati come una
cipolla: i primi ad andarsene sono gli aristocratici, poi i borghesi, e quel
che resta e’ il male, senza classe, senza credo, senza identita’ altro che
l’assurda e totale sete di potere, realizzata e omologata. il male ereditato
dai nipoti per la debolezza dei vecchi e l’arrivismo cieco della generazione
di mezzo. il tutto scandito dall’ormai noto ritmo wagneriano.

sesso e potere, potere e sesso. sophie usa il sesso per corrompere friedrich,
ed e’ a sua volta sconfitta dalla seduzione di martin (edipo a gogo’). il
sesso anarchico e senza direzione produce danni (v. pedofilia di martin), ma
come l’odio, se ben "ordinato" puo’ andare lontano, puo’ soggiogare una
nazione. e’ sesso sterile, non finalizzato alla prole, un puro mezzo per
dominare; chi soggiace al sentimentalismo prima o poi soccombe (herbert,
sophie, joachim), come chi soggiace al protagonismo, all’avidita’ parziale, o
agli scrupoli moralistici. il nazismo, come ce lo rappresenta visconti, e’
puramente, deliziosamente, atrocemente ateo, amorale, apartitico, indiviso.
non c’e’ spazio per l’individuo, per la personalita’, per gli egoismi
singoli. il nazismo produce il "borg" startrekkiano: le formichine trovano
scopo e vita nell’uno indiviso (l’innominabile e innominato, o meramente
indicato come "cancelliere").

il nazismo e’ anche anti-ideologico, malgrado la retorica di propaganda. anche
il denaro e’ avulso da ideologie, ma il denaro (la produttivita’ industriale)
dev’essere asservita allo "scopo", altrimenti soccombe anch’esso. aschenbach
e’ il vero burattiniere: manipola nell’ombra lasciando le luci della ribalta
agli dei morenti: non solo martin, travestito da marlene, trova il suo spazio
sul palcoscenico (mascherata imposta dalla madre), ma tutta la famiglia
essenbeck, con i suoi cerimoniali, con le sue parate ancien-regime, con i
suoi modi raffinati non e’ che scena. anche il matrimonio finale e’ solo un
rituale finalizzato alla degradazione dei vinti. serve, questo si’, a
gonfiare l’ego caotico di martin, che passeggia nervosamente giocando al
capetto in attesa del suicidio di friedrich e sophie. aschenbach non compare,
non ne ha bisogno: la tragedia che ha diretto e messo in scena puo’ procedere
senza di lui.

diceva un vecchio saggio: se ti alzi alle cinque per fregare qualcuno, c’e’
sempre chi non dorme neppure per fregare te. friedrich e’ disposto ad
uccidere per soddisfare le sue ambizioni (agli occhi di aschenbach e’ solo un
arrivista) ma non per soddisfare quelle altrui, la sua amoralita’ non arriva
fino in fondo ed e’ la sua condanna. nessuna debolezza e’ ammessa: e che
cos’e’ il capriccio di un nome se non una debolezza meschina?

fuoco. il fuoco apre e chiude il film, e riemerge, come una maledizione,
nell’incendio del reichstag (che condanna herbert) e nella distruzione dei
libri "degenerati". e’ il fuoco wagneriano che distrugge il walhalla degli
essenbeck, ma anche quello che consuma le passioni, e da fuoco creativo
diventa lentamente fuoco distruttivo. che resta poi dopo la distruzione degli
dei? l’oro ritorna infine nel reno? ciclico il fuoco, come ciclico il battere
della mano sul tavolo, simbolo del potere (joachim all’inizio, poi friedrich,
infine martin). ciclica la ragnatela intessuta da sophie (simbolicamente
rappresentata dalla scollatura del vestito nero) e quella di olga (uguale
scollatura ma bianca). i simboli nuotano a cadenza non casuale e questa breve
analisi non pretende di essere esaustiva.

un pugno in un occhio e nello stomaco; un’orgia per gli occhi e per le
viscere. una sublime (in senso barocco) seduzione che si offre come
contraltare iperrealista al fascino che indubbiamente nazismo e fascismo
esercitarono tra la fine degli anni ’60 e la prima meta’ degli anni ’70,
passando per bertolucci, cavani e pasolini.

"Every time I listen to Wagner, I am overcome with a desire to invade Poland."
(Woody Allen)
 

CREDITI

 

Regia: Luchino Visconti.
Sceneggiatura: Nicola Badalucco, Enrico Medioli e Luchino Visconti.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 14 ottobre 1969 (ITALIA)
-Interpreti principali –
Dirk Bogarde : Friedrich Bruckmann
Ingrid Thulin : baronessa Sophie von Essenbeck
Helmut Griem : Aschenbach
Helmut Berger : Martin von Essenbeck
Charlotte Rampling : Elisabeth Thallman
Florinda Bolkan : Olga
Reinhard Kolldehoff : barone Konstantin von Essenbeck
Umberto Orsini : Herbert Thallman
Produttore: Alfredo Levy, Ever Haggiag e Pietro Notarianni
Colonna sonora originale: Maurice Jarre.
Direttore della fotografia: Armando Nannuzzi e Pasquale De Santis.
Montaggio: Ruggero Mastroianni.
Durata: 150 minuti.

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Benna alla Biblioteca Civica Berio

Benna sarà presente tra gli ospiti della seconda giornata di incontri dedicata sia ad autori affermati che emergenti.
Il video presentato sarà lo short movie #1 (quello dei crackers, per chi lo ha già  potuto vedere), già vincitore del Golem Videofestival 2006 di Torino.

19 dicembre 2007, ore 16
Biblioteca Civica Berio – Sala Chierici
Via del Seminario 16 – Genova
Ingresso libero

Visita il sito di Benna:    http://snurl.com/benna