Cari lettori, da oggi fino a sabato pubblicheremo una bella analisi fatta da una mia cara amica molto competente e stimata nel panorama cinematografico italiano che utilizzerà il “nome di battaglia” di Pippi per questo ed altri lavori che spero presto di pubblicare.
In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).
La democrazia? Lars Von Trier e M. Night Shyamalan, passando per i capelli rossi.
Prima puntata – Dogville e la comunità soppressa. l’abuso di potere
Cos’hanno a che vedere un regista danese, rigoroso, forse folle, ma “lucidamente folle”, autore, nel 1995, di un “manifesto per un nuovo, ascetico modo di fare cinema” ( Dogma 95, per chi ne vuole sapere di più: http://www.dogme95.dk o in lingua italiana: http://www.trax.it/dogma95.htm ); un altro regista, nato in India e naturalizzato in America, laureato in medicina ma di professione regista di (almeno due) film fantastici come metafora della società attuale, ed il nostro caro Tafanus, “persona molesta e petulante, noiosa” per sua stessa auto-definizione, “regista” anch’egli, in qualche modo, ma di una comunità virtuale? Hanno in comune l’interesse per la democrazia, per il concetto stesso di democrazia, attraverso la messa in scena di “comunità”, in cui quella più reale, per fortuna, è quella, pur virtuale, di questo blog. Ma da qui in poi i tre percorsi si separano, sino, in qualche caso, ad opporsi radicalmente, provo ad illustrarvi come, sperando di non trovarvi tutti addormentati quando avrò finito… Ma tanto, in fondo, le storie sono sempre servite, tra l’altro, ad accompagnare i bambini (e non solo) sulla soglia del sonno, anche se a nessun minore augurerei mai che venisse raccontata, prima di andare a dormire, una storia di quelle che scrive Lars Von Trier, potrebbe restare traumatizzato per il resto della sua esistenza, e magari, ad un certo punto, imbracciare un comodo kalshnikov e sparacchiare addosso a chi gli capita a tiro, senza distinzioni di etnia, sesso, età o colore politico. Ma paradossalmente anche questo, in fondo, suona decisamente egualitario…
Partiamo dall’inizio, da una cittadina chiamata Dogville (2002), siamo negli Stati Uniti, tra le Montagne Rocciose agli inizi degli Anni Trenta, ma non vi aspettate una colorata e fiorita cittadina da film americano delle majors, no no, siamo piuttosto nei dintorni di un’essenziale stilizzazione teatrale, le case, i giardini, tutta la città è disegnata a terra con righe bianche, gli attori si muovono e recitano in uno spazio vuoto, con solo qualche oggetto materiale, qualche suppellettile presente sulla scena. Teatro al cinema, quindi, o meglio, amplificazione del teatro attraverso l’occhio del cinema (e qui “Bazin ci cova”). In questa non proprio ridente cittadina, dunque, arriva una giovane donna in fuga, che chiede rifugio ed aiuto, deve nascondersi perchè dei gangster la stanno cercando. La comunità la accoglie, ma lei si dovrà sdebitare lavorando per loro. Passa il tempo, ma già il lavoro prestato diventa, di fatto, una forma di servitù; inoltre, legittimati dall’arrivo in paese prima dei gangster che la cercano, poi della polizia, che affigge un manifesto con la foto di Grace, ricercata, la gente muta progressivamente atteggiamento nei suoi confronti, iniziano le accuse, i pettegolezzi, i tradimenti dietro le spalle, le licenziosità degli uomini, ogni occasione è buona per accusarla, perlopiù gratuitamente, i sorrisi iniziali dei cittadini di Dogville divengono sempre più malevoli ghigni, le maschere ipocrite cadono svelando volti ringhianti. Un tentativo di fuga, con l’aiuto di un camionista diventa occasione per uno stupro indisturbato e si apre, per Grace, la porta dell’inferno della schiavitù. La fuggiasca viene riconsegnata alla città incattivita, dove viene legata ad una catena, proprio come un cane, per impedirle una nuova fuga, non solo, gli uomini di Dogville abusano di lei, poi viene processata pubblicamente ma non viene ascoltata dai suoi accusatori, sino al tradimento definitivo… il capovillaggio chiama i gangster che gli avevano lasciato un contatto durante la loro “visita” in città ed i gangster arrivano… ma, nessuno si aspetta a Dogville che in realtà chi sta arrivando altri non è che il padre di Grace e che la nostra eroina non verrà certo punita per cose che non ha mai commesso, mentre lo sarà, in una catarsi trionfale e totale per tutte le angherie da lei ingiustamente subite, l’intera comunità, rivelatasi di sfruttatori, ricattatori, egoisti, bugiardi, traditori, violenti, malevoli, meschini, ipocriti. Grace decide che nessuno, indiscriminatamente, merita di sopravvivere in quella “città di cani” (e l’esito del film si scopre, ora, sin dalle premesse, dallo titolo stesso), i cani rabbiosi, in genere, vengono abbattuti, senza grandi scrupoli di coscienza. Non è una vendetta, quella di Grace, ma la cancellazione di una forma inutile di democrazia, di falsa democrazia: questa non ci è piaciuta, vediamo la prossima. Riportiamo a vergine il terreno, estirpiamo queste erbacce velenose, guarda là, c’è ancora una giovane malapianta che spunta… distruggila per favore. Se è per questo non è nemmeno Grace, ma Von Trier, ad aver detto “no, questa non va bene di comunità, strappiamo il foglio e ricominciamo”. Era solo una piccola, tipica comunità americana, “democratica”, di bianchi. Von Trier, senza mai essere andato in America (e mai ci andrà perché non prende aerei né navi) ci sta dicendo: ecco a voi la democrazia americana, ed ecco a voi quello che vale, e quello che si merita. Non è tanto peregrino trasporre nelle nostre italiche, piccole e “democratiche” comunità (che siano esse città, paesini, quartieri, rioni o borgate), questo atteggiamento verso il diverso, l’estraneo, il nuovo, specie se lo “straniero” si trova in condizione di dover chiedere aiuto, rifugio, se ha bisogno di essere protetto, nascosto. E non è peregrino pensare che il vero pericolo è la mano che solo apparentemente ti viene tesa per dare aiuto, che diviene esercizio di un potere corrotto ed ancora peggiore, se possibile, di quella dalla quale eri fuggito. E la nostra Grace dai capelli rossi non è un caso, i rossi di capelli sono sempre stati considerati un po’ strani, un po’ particolari, nella tradizione popolare sono cattivi per natura (il verghiano Rosso Malpelo, resta a sancirlo ad imperitura memoria). Certo, è attraverso il potere, quello dei soldi nel film, quello della macchina da presa fuori dal film, che si ottiene ciò che si vuole, qualunque cosa si voglia, è il deus ex machina a decidere le sorti, giuste o sbagliate che siano, ma lasciamo le ultime parole in merito a Lars Von Trier: ” L’America è buon argomento perché perché una gran parte della Danimarca ha a che fare con gli Stati Uniti, tutti i negozi, ma non solo quelli. Non lo dico perché non mi piace McDonalds, quella è un’altra storia. Noi occidentali siamo tutti sotto l’influenza degli Stati Uniti, una cattiva influenza anche perché Mr Bush è uno stronzo e fa cose completamente idiote. Il 60% del mio cervello è americano, il 60% della mia vita è americana, insomma, sono un americano ma non posso votare, non posso cambiare nulla. L’unica cosa che posso fare è fare film!…. Film pessimistici e sarcastici “. (da http://www.cinemadelsilenzio.it/)
Credo che perdonerò, almeno io, non so voi, Lars Von Trier, per aver messo in scena questo eccidio.
Pippi