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" Un bacio romantico – My blueberry nights " di Wong Kar-Wai (2007)

In occasione dell’uscita del film in Italia ripubblichiamo le recensioni del film di Wong kar Wai, realizzate per il dossier sul Festival di Torino (recensione di Livia Romano) e per il dossier sul Festival di Cannes (a cura di Daniele Clementi).

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TORINO 2007: " My blueberry nights " di Wong Kar-Wai (2007)

Recensione di Livia Romano

Se avete bisogno di una sana dose di affetto, dolcezze e favole..allora questo film potrebbe essere di vostro gradimento! Cosa c’è di più romantico di una storia d’amore nata tra un bancone e torte ai mirtilli??E cosa c’è di ancora più intenso se questa storia è fatta di cuori infranti, delusioni personali e porte chiuse??E  perchè non allontanare i due neo-innamorati(Jeremy-Jude Law- ed Elizabeth-Norah Jones) per poi poter concludere con bacio,che potrebbe competere con Via col vento? Decisamenete troppo per i miei gusti: una fiaba newyorkese,per altro con i rallenti più lunghi e frequenti della storia(se mandassimo il film a 2x durerebbe la metà!!), con una trama del tutto inconsistente (Elizabeth dopo una grossa delusione amorosa,"grazie" alle quale conoscerà Jeremy ,parte venendo a contatto con persone ancora più frustate di lei, dalle quali "impara" !?  e capisce la vita) e molto prevedibile, il tutto condito da una buona dose di precise casualità. Non si può negare che il regista lavori molto su una certa ricercatezza estetica(
inquadrature insolitei continuo movimento,immagini spesso sgranate o non a fuoco), ma , a mio parere, finisce con esasperarla troppo. Una pellicola "ovattata", con tanto di frasetta da "bacio perugina"nel finale….poesia del cinema classico americano pasticciata con uno stile da "video amatoriale", un roadmovie edulcorato fino all’esperazione, una torta ai mirtilli che se scartano tutti ci sarà un motivo!!!!!

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CANNES 2007: " My blueberry nights " di Wong Kar Wai 

Recensione di Daniele Clementi

Wong Kar Wai è oramai un’ autore quasi sacro del cinema di Hong Kong, ricordo ancora quando negli anni 90′ in Italia scoprimmo questo regista brillante ed innovativo con un film mal distribuito e faticoso da reperire come " Hong Kong Express ", ricordo che innamorato di questo nuovo regista ordinai per corrispondenza i suoi primi film, allora introvabili in Italia, come " As tears go by " e " Days of being wild ", ricordo infine la fatica all’epoca di comunicare l’importanza della "new wave" di Hong Kong ad un pubblico colto ma fiducioso solo del cinema classico di Zhang Ymou (" Lanterne rosse "). Quelli come me dovettero aspettare quasi dieci anni per vedere finalmente riconsciuto questo autore importante con un film persino meno emblematico dei precedenti come " In the mood for love ". A quel punto si cominciò a parlare di Wong Kar Wai come di una novità (che sofferenza per chi lo amava già !). Ora, dieci anni dopo la restituzione di Hong Kong alla Cina, tutto questo è cambiato, Wong Kar Wai ha finalmente deciso di lasciare quella Cina che negli ultimi dieci anni lo aveva violentemente castrato per la volta dell’impero della globalizzazione, la terra che non castra con la durezza di un sistem autoritario ma lo fa con la dolcezza della seduzione del benessere. L’ultimo film di Wong Kar Wai è una sorta di adattamento in chiave americana di tutto ciò che aveva già girato negli anni 80′ / 90′ ad Hong Kong il regista. Si sente la mancanza della ricera e dell’innovazione sostituita solo da qualche trasgressione visiva e da un’immagine patinata e modaiola. Wong Kar Wai oggi ripete se stesso di 15 anni fa e fatica ad integrare nella storia quei dettagli visivi e psicologici che hanno fatto grande il suo cinema come se in sostanza l’esperimento di questo film americano non fosse altro che una sorta di versione " Vogue " della gloriosa ed oramai digerita New Wave di Hong Kong. 

CREDITI

Regia: Wong Kar-Wai.
Sceneggiatura: Wong Kar-Wai e Lawrence Block.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 28 novembre 2007 (FRANCIA)

Interpreti principali –
Jude Law : Jeremy
Norah Jones : Elizabeth
Natalie Portman : Leslie
Rachel Weisz : Sue Lynne
David Strathairn : Arnie 
Produttore: Stéphane Kooshmanian, Jean-Louis Piel, Jacky Pang Yee Wah, Wang Wei e Wong Kar-Wai

Colonna sonora originale: Shigeru Umebayashi e Ry Cooder.

Direttore della fotografia: Darius Khondji.
Montaggio: Non accreditato.
Durata: 111 minuti.
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TORINO 2007: " Celluloid #1 " di Steve Staso (2007)

TORINO FILM FESTIVAL 2007

(c) Torino Film Festival

TORINO 2007: ” Celluloid #1 ” di Steve Staso (2007)

Recensione di Livia Romano

Un film, o meglio un  “metafilm”, che ricalca con sfumature grottesche e spesso ironiche, l’atmosfera underground della Factory con numerosi rimandi oltre che a Andy Warhol, anche al genio di Fassbinder e alla mitica Piper Laurie.
La protagonista di questa opera d’arte concettuale e sperimentale è  Caprice Goeffries( Julie Atlas Muz),tipica starlette hollywoodiana che conduce una vita dissoluta tra alcool, droga, incontri con la stampa e partecipazione a mediocri progetti commerciali. L’attrice diventa una vittima volontaria di Clayton Beaubien (steve ), un cinesta che, dopo il suo primo lungometraggio Delusion #1, vorrebbe riemergere con un’opera basata sulla teoria della “celebrità da rotocalco”.
Prende così forma un  gioco di incastri e grovigli tra generi diversi: si va dal talk show alle scazzottate da B-movies,(troppo trash!!) , dal rullo in bianco e nero a quello a colori, dai balletti dei “Delusion dancer” in  stile “happening” a sketches di pura avanguardia a basso costo.
Un film che ha la pretesa di essere un tributo ai grandi padri del cinema indipendente,svuotandolo dall’interno ed emulandone a pieno la struttura, stravolgendola però con tocchi lynchiani e una colonna sonora che spazia dal punkrock alle ricerche sperimentali.Come afferma il regista “un film sulla celluloide e sulla capacità aggressiva che il cinema possiede..un film che illustra la nostra evidnete dipendenza verso l’odierna cultura della celebrità debole, che ormai fa parte di noi come un chewingum sotto le scarpe”.

UNA PELLICOLA TROPPO PUNK!!

CREDITI

 
Regia: Steve Staso.
Sceneggiatura: Ismael Ramirez, Steve Staso e Keith Bunker.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: inedito girato nel 2007 (USA)
-Interpreti principali –
Kendra Day : Cyndey Readeen
Panama Redd : Raul
Julie Atlas Muz : Caprice Geoffries
Steve Buckley : Clayton Beaubien
Produttore: Steve Staso.
Colonna sonora originale: Gustavo Andrade, Enrique Fernandez e David Lovell
Direttore della fotografia: Ismael Ramirez
Montaggio:
«The Glimmer Twins»
Durata: 78 minuti.

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TORINO 2007: " Biùtifull Cauntri " di Esmeralda Calabria e Abdera d’Ambrosio (2007)

TORINO FILM FESTIVAL 2007

(c) Torino Film Festival

TORINO 2007: ” Biùtifull Cauntri ” di Esmeralda Calabria e Abdera d’Ambrosio (2007)

Recensione di Livia Romano

Campania: Acerra, Qualiano,Giugliano,Villaricca ernao un tempo le zone più fertili della Campania, oggi non sono altro che  la “Chernobyl italiana”.
Allevatori, contadini e famiglie sono costretti a continuare la loro attività, ma soprattutto la loro vita, tra fabbriche e centinaia di discriche abusive, che stanno lentamente uccidendo il bestiame, sterilizzando la terra e deteriorando gli abitanti stessi. “é  una camorra dalle mani pulite, coi guanti bianchi”, “è il settorecentrale della nuova mafia: la ecocamorra”, “Ti fanno la discarica in bocca, ti dicono buongiorno: tu devi morire”: parole arrabbiate, oramai stanche e forse rassegnate, difronte a una realtà totalemnte indifferente alle istituzioni, alla magistratura…(le leggi italiane non prevedono ancora il reato ambientale!!!)
Un documentario che, attraverso numerose testimonianze, cerca di far luce su una questione tabù,interrogandosi sui meccanismi di una attività violenta, un silenzioso massacro, ad opera di una camorra che usa camion e  rifiuti tossici, anzichè le armi.

CREDITI

 
Regia: Esmeralda Calabria e Abdera d’Ambrosio.
Sceneggiatura: Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio Giuseppe Ruggiero.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: novembre 2007 (ITALIA, Torino Film Festival)
Produttore: Lionello Cerri.
Colonna sonora originale: Paranza Vibes (Valerio Camporini Faggioni, Guido Zen).
Direttore della fotografia: Alessandro Abate.
Montaggio:
Esmeralda Calabria.
Durata: 73 minuti.

TORINO 2007: " Maciste nella gabbia dei leoni " di di Guido Brignone (1926)

TORINO FILM FESTIVAL 2007

(c) Torino Film Festival

TORINO 2007: ” Maciste nella gabbia dei leoni ” di Guido Brignone (1926)

Recensione di Livia Romano

Questa sera il Torino film festival ha regalato ai suoi spettatori, nonchè cinefili, l’emozione del film muto,epressione troppo spesso associata all’idea di totale assenza di suono e colore…in realtà il cinema “primordiale” aveva quasi sempre un pianoforte da accompagnamento (un pò anche per coprire il ronzio
del proiettore) e straordinarie tecniche di colorazione della pellicola, come la tintura o il viraggio. Al fianco dei  musicisti poteva anche esserci un “imbonitore”-  colui che nella penombra commentava le immagini  per renderle più comprensibili- o un “rumorista”- colui che con i materiali più improbabili otteneva effetti sonori sorprendenti-o…i “MARLENE KUNTZ” se fossero già esistiti ( anche se..un Nanni Moretti come imbonitore non ci sarebbe stato male!!!).
Dicevo..un emozione completa di musica dal vivo (da far venire i brividi, per la precisione e la sensibilità con cui il gruppo ha giocato con le immagini!!) e colori; infatti questa “chicca” è stata resa possibile grazie all’opera di restauro del Museo Nazionale del Cinema e della Cineteca di Bologna, partendo da due copie di nitrato positive colorate, ritrovate presso la Fundaçao Cinemateca Brasileira di San Paolo.
Un tassello di storia del cinema delle origini( quelle italiane, poi devovono tutto a questo personaggio), che solamente con un degno accompagnamento, può ancora essere fruibile anzi, può ancora emozionare..
Il nostro eroe, protagonista di una delle serie più famose e più lunghe del cinema muto italiano, nasce dalle menti di Pastrone e D’Annunzio, con Cabiria: un “gigante buono” ,al quale diede corpo il 36enne Bartolomeo Pagano, scaricatore del porto di Genova. Dal 1914 la saga ebbe inizio: Maciste fu alpino, bersargliere, poliziotto, turista, atleta, innamorato, sonnambulo, imperatore, all’inferno e nella gabbia dei leoni. [mi ricorda un pò la duttilità di un certo personaggio storico che fu, come mostrano numerose foto,
aviatore,trebbiatore, condottiere, sportivo,fascista (ops…)al mare,nelle paludi, dentro la gabbia di un leone(!!!), ..e non è un caso la forte somiglianza tra i due: il culto che viene fatto del loro corpo, della loro personalità e soprattutto della loro virilità]…(e poi come non riconoscere che la “cinematografia è l’arma più forte”).
Con il 1926 (e poi la seconda guerra  mondiale) l’eroe cadde nel dimenticatoio, per poi essere riabilitato da Ennio De Concini nel 1960, con interprete del ruolo un italo.americano Luo Segni.
L’episodio di Maciste nella gabbia dei leoni è quindi l’ultimo della  prima serie  e vede Maciste alle prese, oltre che con i soliti cattivi , anche con i leoni, gli africani e un intero circo,il circo Pommer, di cui cercano di
impossessarsi la cavallerizza Sahara e il perifido Strasser, tramando alle spalle dell’ormai vecchio e malato e direttore.A rimettere ordine  all’anarchia esplosa con le vacanze del signor Pommer, solo Maciste può rimediare…prendendosi anche la sua buona rivincita sulla “leonessa indomabile”, sulle note gravi e incalzanti dei Marlene…

CREDITI

 
Regia: Guido Brignone.
Sceneggiatura: Guido Brignone.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 10 febbraio 1926 (ITALIA)
Interpreti principali –
Bartolomeo Pagano : Maciste
Giuseppe Brignone : Bob, il vecchio clown
Alberto Collo : Giorgio Pommer
Elena Sangro : Sarah, la cavallerizza
Luigi Serventi : Strasser
Produttore: Stefano Pittaluga

Colonna sonora originale: Non accreditato.

Direttore della fotografia: Anchise Brizzi e Massimo Terzano.
Montaggio: Non accreditato.
Durata: 90 minuti.
 

TORINO 2007: " My blueberry nights " di Wong Kar-Wai (2007)

TORINO FILM FESTIVAL 2007

(c) Torino Film Festival

TORINO 2007: ” My blueberry nights ” di Wong Kar-Wai (2007)

Recensione di Livia Romano

Se avete bisogno di una sana dose di affetto, dolcezze e favole..allora questo film potrebbe essere di vostro gradimento! Cosa c’è di più romantico di una storia d’amore nata tra un bancone e torte ai mirtilli??E cosa c’è di ancora più intenso se questa storia è fatta di cuori infranti, delusioni personali e porte chiuse??E  perchè non allontanare i due neo-innamorati(Jeremy-Jude Law- ed Elizabeth-Norah Jones) per poi poter concludere con bacio,che potrebbe competere con Via col vento? Decisamenete troppo per i miei gusti: una fiaba newyorkese,per altro con i rallenti più lunghi e frequenti della storia(se mandassimo il film a 2x durerebbe la metà!!), con una trama del tutto inconsistente (Elizabeth dopo una grossa delusione amorosa,”grazie” alle quale conoscerà Jeremy ,parte venendo a contatto con persone ancora più frustate di lei, dalle quali “impara” !?  e capisce la vita) e molto prevedibile, il tutto condito da una buona dose di precise casualità. Non si può negare che il regista lavori molto su una certa ricercatezza estetica(
inquadrature insolitei continuo movimento,immagini spesso sgranate o non a fuoco), ma , a mio parere, finisce con esasperarla troppo. Una pellicola “ovattata”, con tanto di frasetta da “bacio perugina”nel finale….poesia del cinema classico americano pasticciata con uno stile da “video amatoriale”, un roadmovie edulcorato fino all’esperazione, una torta ai mirtilli che se scartano tutti ci sarà un motivo!!!!!

CREDITI

 
Regia: Wong Kar-Wai.
Sceneggiatura: Wong Kar-Wai e Lawrence Block.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 28 novembre 2007 (FRANCIA)
Interpreti principali –
Jude Law : Jeremy
Norah Jones : Elizabeth
Natalie Portman : Leslie
Rachel Weisz : Sue Lynne
David Strathairn : Arnie 
Produttore: Stéphane Kooshmanian, Jean-Louis Piel, Jacky Pang Yee Wah, Wang Wei e Wong Kar-Wai

Colonna sonora originale: Shigeru Umebayashi e Ry Cooder.

Direttore della fotografia: Darius Khondji.
Montaggio: Non accreditato.
Durata: 111 minuti.
 

TORINO 2007: " Irina Palm " di Sam Garbarsky (2007)

TORINO FILM FESTIVAL 2007

(c) Torino Film Festival

TORINO 2007: ” Irina Palm ” di Sam Garbarsky (2007)

Recensione di Livia Romano

Non è facile introdurre un film come Irina Palm, ma comincio con una AVVERTENZA: tutto ciò che comparirà tra virgolette, è necessario interpretarlo con mooooolta malizia!
Tante volte si dice che le madri farebbero qualsiasi cosa per i propri figli. E le nonne?? Maggie per poter continuare a pagare le cure al suo nipotino gravemente malato, si mette alla ricerca di un lavoro, ma essendo già una donna di mezza età, non è facile..fichè, camminado per le strade di Soho, non  legge un annuncio per una “hostess”.. Ma questo altro non è che un eufemismo, come le spiega Miki, per un lavoro “manuale” in un sex club.Maggie accetta e prende così posto in una cabina speciale, in cui l’unico contatto tra “professionista” e “cliente”, è un buco nel muro, attraverso il quale lei provvede a soddisfare le richieste di chi sta al di là della parete. Un lavoro che le permette di rimanere nell’anonimato, di ottenere in poco tempo il denario necessario, ma anche di raggiungere una certa fama grazie al sue “mani lisce e vellutate” e a un adeguato nome d’arte: Irina Palm.
Un film davvero spassoso che affronta argomenti “spinti” o addirittura “scabrosi”,con una grazia e uno stile molto equilibrato, tra divertito imbarazzo e autentica commozione; un film che poteva facilmente cadere nel volgare, ma che invece punta a un bersaglio ben preciso: il perbenismo, la mentalità ristretta e  bigotta di una comunità, e non solo.

CREDITI

Regia: Sam Garbarsky.
Sceneggiatura: Philippe Blasband e Martin Herron.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 18 aprile 2007 (BELGIO)
Interpreti principali –
Marianne Faithfull : Maggie-Irina Palm
Miki Manojloviç : Miki
Kevin Bishop : Tom
Siobhán Hewlett : Sarah
Produttore: Sébastien Delloye, Diana Elbaum, Thanassis Karathanos, Karl Baumgartner, Jani Thiltges, Claude Waringo e Christine Alderson.
Colonna sonora originale: Ghinzu.
Direttore della fotografia: Christophe Beaucarne.
Montaggio: Ludo Troch.
Durata: 103 minuti.
 

TORINO 2007: " Charlie Bartlett " di Jon Poll (2007)

TORINO FILM FESTIVAL 2007

(c) Torino Film Festival

TORINO 2007: ” Charlie Bartlett ” di Jon Poll (2007)

Recensione di Livia Romano

“I giovani sono obbligati a fare incazzare i genitori ogni tanto”…dice Charlie Bartlett,un ragazzo molto ricco, con però un padre in carcere e una madre che non vive senza antidepressivi.
Un ragazzo che,dopo essere stato stato espulso da diverse scuole private si ritrova a studiare in una scuola pubblica: all’inizio è detestato da molti, ma ben presto il suo nome sarà sulla bocca di tutti.
Un ragazzo che si trasforma in uno psicanalista “non professionale” per studenti: ascolta,consiglia,spaccia…
Un ragazzo che vive alla giornata, che ogni mattina si sveglia  e si domanda quale sia il suo posto,che dietro alla sua “nevrotica” popolarità nasconde una fragilità adolescenziale, non poi così diversa da quella degli adulti.
Un ragazzo che gioca a fare di tutto un business, che,col suo ingenuo ottimismo, sembra superare ogni problema.
Un ragazzo che….in fondo, è soltanto un ragazzo.
Jon Pol, alle prima armi con la regia, ma esperto montatore(Ti presento i miei?, Austin Powers), realizza con tocchi di maliziosa leggerezza un film divertente, ma dal quale non sono esenti forti problematiche, non solo strettamente giovanili, ma anche sociali: ci regala così un filmetto che, dietro a una buona dose di umorismo, disegna un concreto ritratto di una gioventù che non sa a cosa guardare, in cosa credere e che soprattutto soffre di una patologica incomunicabilità …

CREDITI

Regia: Jon Poll
Sceneggiatura: Gustin Nash
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 1 febbraio 2008, film completato nel 2007 (USA)
Interpreti principali –
Anton Yelchin : Charlie Bartlett
Robert Downey Jr. : Preside Gardner
Hope Davis : Marilyn Bartlett
Kat Dennings : Susan Gardner

Produttore: David Permut, Barron Kidd, Jay Roach, Sidney Kimmel.

Colonna sonora originale: Christophe Beck.
Direttore della fotografia: Paul Sarossy
Montaggio: Alan Baumgarten.
Durata: 96 minuti.
 

TORINO 2007: " Manufacturing dissent " di Debbie Melnyk e Rick Cane (2007)

TORINO FILM FESTIVAL 2007

(c) Torino Film Festival

TORINO 2007: ” Manufacturing dissent ” di Debbie Melnyk e Rick Cane (2007)

Recensione di Livia Romano

Il Torino Film Festival è comiciato ieri, presentando come apertura della sessione “Stato delle cose”, il documentario “MANUFACTURING DISSENT” di Debbie Melnyck, produttrice televisiva in Inghilterra, Germania e poi Canada,suo paese natale, e Rick Caine, giornalista da sempre impegnato in televisione e nella stampa americana.
Il documentario nasce dall’idea di fare un film-biografia su Michael Moore, ormai vera icona della sinistra americana e loro “eroe”, ma dopo alcune notizie didascaliche sulla sua vita (nasce a Flint,in Michigan, e sin da giovane collabora per un giornale indipendente..)si comicia a delineare un percorso più
interessante: ma è tutto vero quello che, l’ormai “guru” Moore, ci propone??
I due si mettono alle calcagne di Michael, cercando in ogni modo di intervistarlo, un pò come fece lui  nel suo primo documentario” Roger and me”,che cercò invano(??)di intervistare Roger Smith,presidente della General Motors che dismise una fabbrica a Flint. Un incontro che, almeno nel film/documentario, non avviene, “ma che in realtà c’è stato” assicurano i canadesi Moore fece ben due interviste al presidente…esiste anche un filmato. E ancora…in “Fahrenheit” c’è una scena in cui Bush, a una serata di
beneficienza per raccogliere fondi a favore di un’arcidiocesi cattolica , dice alla “ricca america”: “Voi siete l’èlite…la mia base”.In realtà tutto il discorso di Bush è molto autoironico, ma estrapolato, “manipolato” e affiancato ad altre immagini, è ovvio che assuma un altro effetto.Gli esempi continuano prendendo in esame tutti e tre i suoi documentari, accompagnati da interviste ad amici di Moore e collaboratori.Viene fuori il ritratto di un manipolatore della realtà, una mente macchiavellica che gioca con l’informazione e  che non concede neppure un’intervista ai nostri due registi..ma la domanda che sorge sponatanea
è:” Ma il problema è veramente Michael Moore o forse riguarda tutta l’informazione in generale??O meglio..l’informazione non è forse lo strumento di manipolazione per eccellenza??E allora quali sono i margini in cui si iscrive il documentario(/film), se così si può ancora chiamare??

CREDITI
Regia: Debbie Melnyk e Rick Cane.
Sceneggiatura: Debbie Melnyk e Rick Cane.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 5 ottobre 2007 (INGHILTERRA)

Produttore: Debbie Melnyk e Rick Cane.

Colonna sonora originale: Debbie Melnyk.
Direttore della fotografia: Rick Cane.
Montaggio: Bill Towgood e Robert Ruzic.
Durata: 74 minuti.

 

Per maggiori informazioni su Michael Moore potete consultare l’ampio Dossier realizzato su questo Blog.

" Kini e Adams " di Idrissa Ouedraogo

" Kini e Adams " di Idrissa Ouedraogo

Recensione di Livia Romano

"they can’t do anything without each other". La loro è una di quelle amicizie che vanno avanti sin dall’infanzia, perchè alimentata dai sogni, uno in particolare: riuscire a rimettere in sesto un’auto, ridotta a un rottame, per partire in cerca di fortuna, in cerca di un’altra vita in città.Il film comincia con una barzelletta, raccontata dal loro "venditore di fiducia", quello che viene dalla città, il quale in cambio di soldi(ovviamente)recupera pezzi per la loro auto: dal parafango ai tergicristalli, dalle portiere al volante più kitsch…pezzo dopo pezzo, il loro sogno prende forma ma non mancano certo gli imprevisti come la cagata sul sedile posteriore di alcuni bambini che, trovata la macchina , lo credono un rottame abbandonato e cominciano a portarsi via anche qualche pezzo.Tuttavia l’imprevisto più grosso sarà la riapertura di un cantiere stradale…entrambi riescono a farsi reclutare per il lavoro, grazie a uno stupido indovinello che loro già conoscono bene: è una scena di estremo realismo, una massa di persone, tutte volenterose di lavorare (alla "Ladri di biciclette") alla quale Ben, il capo del cantiere, pone questo quesito "ci sono un cieco e un sordomuto: il sordomuto ha sete, come fa a chiedere un bicchiere d’acqua?"e tutti fanno il gesto del bere "e il cieco ha bisogno di un paio di forbici…" e tutti mimano il gesto di tagliare, tranne i nostri due protagonisti. Allora Ben li guarda e gli chiede perché non hanno fatto il gesto e loro rispondono che il cieco non vede, ma sa parlare benissimo e dunque può chiedere un paio di forbici. I due vengono presi così finalmente potranno comprare il carburatore, l’ultimo pezzo mancante, il più costoso nonché quello che metterà a repentaglio l’amicizia.Con la riapertura del cantiere si riapre anche un giro di prostituzione e sarà proprio quello che risucchierà Adams, invaghito di Binja, la quale matterà zizzania tra i due. Kini, infatti, grazie a un salvataggio in extremis, del loro capo riesce ad ottenere una promozione: diventa capo di un settore del cantiere, qui rispetto e amicizia non esistono, esiste solo il lavoro; Adams è un dipendente come tutti gli altri.Ma solo così Kini riesce ad ottenere il carburatore, questa volta procuratogli da Ben assieme ad un letto nuovo per sé e Aida, sua moglie. Egli, infatti, a differenza di Adams ha anche una famiglia, Bongi, la sua bimba, per la prima volta riceve un peluche e Ben, forse con qualche mira sulla moglie, regala loro una televisione. Ancora una volta, Ouedraogo, con massima semplicità ci pone davanti a uno dei problemi fondamentali di questa società: il rapporto col progresso tecnologico. Appena la tv prende posto nel salotto, i tre vengono stregati, e in silenzio osservano la scatola magica, con l’entrata di Adams, che comicia a parlare ad alta voce, tutti fanno "SCHHHHHHH….." portando il dito alla bocca. Una delle scene, a mio parere, più significative, soprattutto in un film dove il dialogo è tutto, il media, non può che creare silenzio, paura, solitudine: ognuno è bloccato, ad occhi spalancati davanti a "John the mad" un loro compaesano che andava in giro con lo stereo sempre sulle spalle a ballare reggae e ora in città ha fatto fortuna. Non è neanche un volto nuovo quello trasmesso in tivù, ma visto attraverso quello schermo acquista un valore "etereo". "Inganni, bevi, menti" grida Aida a Kini, che dopo aver ottenuto la promozione è molto cambiato, i soldi lo hanno travolto. Egli dall’alto della sua posizione si sente di poter dire ad Adams che è uno sciocco, che Binja è solo una prostituta e ,come tale, nonn potrà mai amarlo veramente. La macchina è finalmente pronta e i due giocano a testa o croce per decidere chi la terrà quella sera…l’immagine della locandina è l’immagine da cui comincia la degenerazione dell’amicizia, i sospetti di uno verso l’altro si moltiplicano a dismisura, la società capitalistica si è insinuata, scontrandosi con l’ambiziosità di Kini e la testardaggine di Adams. È l’immagine con cui Ouedraogo non chiude il film: Kini e Adams seduti sul loro sogno ormai terminato, immersi in uno di quegli straordinari tramonti africani, il tramonto della loro amicizia, del loro sogno finito, morto perché non esiste più il terreno da cui è nato. È una sorta di "aut- aut", "non c’è Kini senza Adams" ,spiega Ouedraogo.Un cinema dunque, molto semplice ma non per questo banale, fatto di sentimenti e pulsioni, che, come ha sottolineato il regista stesso, sono l’unico aspetto che hanno in comune anche le società più diverse, e proprio attraverso le immagini ci si può conoscere di più.Un cinema che non manca di ritratti quotidiani , non troppo distanti dalla nostra società(ovviamente se collocati in un contesto di gran lunga più superficiale) come Ben, o Tapera, il vecchio ubriacone disperato, che butta in alcol tutti i suoi soldi e finisce col suicidarsi. Idrissa sottolinea che, nonostante Tapera sia un personaggio marginale, egli rappresenta lo Zimbabwe , quell’universo che, girando il film, andava scoprendo, ovvero un paese a essersi reso indipendente per primo, ma molto povero e soprattutto un paese che non ha preso coscienza dell’ opportunità che gli si è affacciata .Tapera, quindi, come tutti i volti che incontriamo nel film, fa parte di quel progetto, se così si può chiamare, del regista di creare un cinema pedagogico ma non per questo moralistico: un cinema che, grazie all’universalità del suo linguaggio, possa portare a processi di presa di coscienza e sensibilizzare noi del "primo mondo", riportandoci in una dimensione ormai rimossa dalla nostra società, dove le coordinate che dettano il sistema sono la ricchezza(x) e l’individualismo(y). Una barzelletta "amara" e titoli di coda scorrono su un’immagine non finita…

" Inland Empire " di David Lynch (1)

" Inland Empire " di David Lynch

(Non)Recensione di Livia Romano

Quando un comune mortale, si trova catapultato(ovviamente per sua sponteanea volontà) nell’universo(ma potremmo anche dire inferno) lynchiano sa già a priori (almeno questo vale per me) che ne verrà travolto in ogni modo, sa già che per almeno una settimana alcune immagini, alcuni pezzi di quel grande puzzle schizzofrenico gli ritorneranno continuamente alla mente…e cercherà in ogni modo di rintracciare una unitarietà, una organicità che rimetta tutti i pezzi al posto giusto, in un ordine cronologico o logico.Ma sono proprio queste le coordinate che non esistono nei film di Lynch, o meglio che vengono completamente stravolte al punto tale che tutto può essere, come anche no.
In Inland Empire questo suo vorticoso meccanismo è portatato all’estremo: tutto ciò che è non è, e ciò che non è, in realtà è o potrebbe essere. Un magma di scenari, volti, sparizioni, s’accavallano freneticamente, tanto da cancellare quella unica e chiara distinzione che ci viene proposta sin dall’inizio del film: da una parte c’è la vita della nostra protagonista Susan Blue, ricca (a quanto sembra dal salotto in cui ospita la nuova vicina di casa allucinata) e dall’altra Nikky Grace, il personaggio del film che lei interpreta, un film che non è mai stato finito perchè i due protagonisti sono stati assasinati.
Tra queste due "vite", il confine diventa sempre più labile e intricato, a questo gioco del doppio e dell’ambivalenza (molto caro al regista, infatti è ben evidente in Mulholland drive), si andrà presto a mescolare una terza vita quella della protagonista del film del passato, ora spettatrice in lacrime davanti a un televisore dal segnale disturbato, ora ragazza pugnalata con un cacciavite e ancora a quella di nove "muse" un pò amiche, un pò prostitute. Ma facciamo un passo indietro..il film inizia con il dettaglio di un disco che gira su un giradischi (ancora una volta l’amore di Lynch per oggetti meccanici che ci ricorda la sigla di Twin Peaks), ebbene al nostro regista piace confonderci ma anche darci alcuni indizi, alcuni segni di interpunzione, infatti, secondo me, è proprio con la riproposta di questa immagine che il film comincia a degenerare.Tengo a precisare che sin dall’inizio nulle è chiaro, infatti abbiamo due personaggi oscurati in volto (tipo candid camera, per intenderci) che si trovano in un salotto e parlano una lingua straniera. Salotto che tra l’altro la ragazza, forse una prostituta, non riconosce.
Il gioco incessante di richiami e sensazioni di déjà Vu ti accompagnano per tutto il film, un momento facendoti credere d’aver intuito qualcosa, un altro sbalordendoti con colpi di scena, balletti improvvisi, dissolvenze incrociate anomale e sparizioni (proprio alla Meliès). Il tutto condito a inquadrature insolite, sempre inclinate,tagliate o leggermente sfocate:interrotte, come anche tutti i dialoghi. Continue metamorfosi spaziali, fisiche e anche sociali(la nostra protagonista è ora attrice, ora prostituta, ora donna pettinata e benestante,..). Laura Dern si dimena in un labirinto di numeri e scritte che continuamente si richiamano l’un con l’altro, come anche gli squilli del telefono che repentinamente Lynch usa per confonderci o per aiutarci a seconda del percorso da noi intuito.
Certo è che nessun segno, nessun punto è mai certo, tutto è continuamente messo in discussione e nulla può essere detto "realtà".Come una spirale dove tutto gira e viene inghiottito, così è la dialettica delle immagini(caricate qui, in particolare, anche di un certo peso META-cinematografico).Non c’è staticità,
punto fermo, tutto è deframmentato, il tempo stesso, divoratore e gerarca assoluto, non ha più una sua logica, un suo tempo. Lo scandire è dato dai rintocchi della mente e dalle sue continue metamorfosi, dal suo incessante dilatarsi.
E come già ben sapevo da quando mi sono accomodata in poltrona, il finale nè chiude nè apre il film, la chiave risolutiva (sempre che esista) non poteva essere lì…..è per questo che esci dal cinema con quella sensazione di stordimento e insieme d’odio per non aver capito niente (perchè comunque ti manca sempre un tassello, un passaggio) che non può che farti esclamare "Lynch è un mostro, è follia e metodo…è PAN!