Archivio mensile:Maggio 2010

"Draquila: L'Italia che trema" di Sabina Guzzanti

Locandina del filmRitorna al documentario l'artista Sabina Guzzanti, ma se i suoi lavori precedenti "W Zapatero" e "Le ragioni dell'aragosta" erano tanto interessanti quanto frammentari, quest'ultimo lavoro della brillante comica satirica romana raggiunge il livello dei lavori coraggiosi di Michale Moore e si pone su un piano artistico e culturale completamente nuovo rispetto ai suoi lavori precedenti.
Un film diretto, sano e corretto (sebbene i corrotti del centro destra italiano non possano riconoscerlo senza perdere la faccia). Sabina Guzzanti ci racconta il terremoto dell'Aquila da un punto di vista sincero e risoluto che non si lascia trascinare dalla retorica o dall'insano bisogno di non voler essere diplomatici per paura di turbare qualcuno.  Da Berlusconi a Bertolaso, Sabina Guzzanti mostra la perversione degli uomini di potere, le ipocrisie della politica e la manipolazione della realtà, della costituzione e della pubblica opinione per quello che sono senza dover forzare nulla, ma sbattendo in faccia allo spettatore la brutalità della moderna "Shock Economy" ben sperimentata sui cittadini terremotati.Scopriamo gli intrallazzi della protezione civile, anzi dei suoi manager, le ipocrisie delle leggi perfezionate per abusare del proprio potere e per gestire più danaro pubblico. Scopriamo anche che il 55% dei grandi eventi di amministrazione della nuova protezione civile sono stati rivolti al papa con buona pace dei cittadini italiani che hanno pagato le trasferte del pontefice per l'Italia invece della chiesa vaticana.
Sabina Guzzanti si limita ai fatti ma descrive un Paese schiacciato da una semi-dittatura quasi invisibile con la complicità impotente del PD e la connivenza di una percentuale di italiani morti di fame e bisognosi di essere comprati dal primo imbonitore che passa pur di avere un tetto sulla testa e il frigo pieno.
Un film che lascia l'amaro in bocca e che non lascia grandi speranze, forse perchè come dice un vecchio detto "Chi visse sperando morì…" e non è più tempo di restare fermi davanti alle mostruosità della classe politica italiana.
Daniele Clementi

Cannes 2010: I vincitori

(c) Festival de CannesPalma d'oro

LUNG BOONMEE RALUEK CHAT (Uncle Boonmee Who Can Recall His Past Lives) directed by Apichatpong WEERASETHAKUL

Grand Prix

DES HOMMES ET DES DIEUX (OF GODS AND MEN) directed by Xavier BEAUVOIS

Miglior Regista

Mathieu AMALRIC for TOURNÉE (ON TOUR)

Miglior Sceneggiatura

LEE Chang-dong for POETRY

Miglior Attrice

Juliette BINOCHE in COPIE CONFORME (CERTIFIED COPY) directed by Abbas KIAROSTAMI

Miglior Attore (Ex Equo)

Javier BARDEM in BIUTIFUL directed by Alejandro GONZÁLEZ IÑÁRRITU

Elio GERMANO in LA NOSTRA VITA (OUR LIFE) directed by Daniele LUCHETTI

Premio Speciale della Giuria

UN HOMME QUI CRIE (A screaming man) directed by Mahamat-Saleh HAROUN

Cannes 2010: "Fair game" di Doug Liman

(c) Festival de Cannes

Ormai sono di pubblico dominio le bugie diffuse dall'amministrazione di George W. Bush Jr. per giustificare la guerra in Iraq. Ormai tutti sanno quanto sia stato sporco il gioco della clase politica che presiedeva la casa bianca in quell'oscuro periodo, ma nonostante i tanti documentari e nonostante le molteplici pubblicazioni c'è un tassello della storia che è sempre rimasto leggermente nebuloso. Chi scrive questo articolo ha personalmente conosciuto l'Ambasciatore Joseph Wilson in un incontro tenutosi a Cannes dopo la proiezione di un documentario che provava a fare luce sugli eventi, era l'anno del film "Farenehit 911" di Michael Moore e la croisette pululava di eventi politici contro la guerra in Iraq.
Il diplomatico Joseph Wilson ha iniziato la sua brillante carriera nel Niger, affrontando questioni spesso scomode e di grande delicatezza diplomatica, ha raccolto molti importanti contatti, preziosi ed unici, Joseph Wilson è stato anche l'ultimo politico americano a parlare con Saddam Hussein prima della guerra,parliamo ancora della presidenza Clinton. Joseph Wilson ha una mogle, una donna tanto affascinante quanto intelligente, due figli ed una vita agiata, ma quello che all'epoca sapevano solo i parenti più prossimi era che la consorte dell'ambasciatore Joseph Wilson era un agente segreto della CIA sotto copertura. Valerie Plame servì il suo paese per 18 anni, risolvendo crisi di cui ignoriamo la stessa esistenza, salvando esseri umani e fermando minacce terroristiche, ma commise un piccolo errore: non era convinta dalle prove che attestavano la presenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Quando gli uomini del vice presidente degli Stati Uniti Cheney si presentarono preso gli uffici della CIA con le supposte prove schiaccianti della preparazione da parte dell'Iraq di armi all'uranio, Valerie Plame dimostrò in modo scientifico e professionale la non veridicità di tali prove, poco dopo venne invitata a fornire un curriculum del marito per stabilire se l'ambasciatore Joseph Wilson fosse in grado di recarsi in Niger e stabilire per conto della CIA se fosse realmente avvenuta una transazione comerciale con l'Iraq per l'acquisto di uranio. Joseph Wilson dimostrò in modo concreto ed inequivocabile che era impossibile una cosa del genere e la cosa non piacque all'amministrazione Bush. Poco dopo Valerie Plame riuscì a contattare alcuni fisici in Iraq e ad avere la conferma definitiva che ogni laboratorio o risorsa abile a costruire armi all'uranio era già stata distrutta nel 1990. Poco dopo il Presidente Bush dichiarò guerra all'Iraq con l'accusa di possedere armi di distruzione di massa all'uranio. Joseph Wilson sostenne pubblicamente il contrario, prima nelle università, poi in televisione ed attraverso i blogger del mondo. Alcune settimane dopo l'identità segreta di sua moglie venne resa pubblica violando la costituzione americana ed avviando una campagna di distruzione dell'immagine di Joseph Wilson e della consorte. Per la legge americana la sola persona che può garantire accesso a tali informazioni e renderle pubbliche è il Presidente degli Stati Uniti ma non furono mai rinvenute prove in merito e ogni documento scritto sui 18 anni di lavoro alla CIA della consorte di Joseph Wilson furono considerati persi. Oggi dai libri dei coniugi è nato un film coraggioso ed intenso che mostra minuto per minuto i retroscena dell'amministrazione Bush e della coraggiosa battaglia per la verità di Joseph Wilson e sua moglie Valerie Plame. La confezione è quella tipica del cinema americano, probabilmente ci sono classiche soluzioni romanzate della scuola di hollywood ma lo spessore storico e politico del tema fa perdonare anche allo spettatore più esigente alcuni momenti un pochino retorici.

 

Daniele Clementi

Cannes 2010: "Severn: The voice of our children" di Jean Paul Jaud

(c) Festival de Cannes

Nel 1992 a Rio de Janeiro durante il primo Summit mondiale per la terra, davanti ai grandi leader del mondo la voce di una bambina ad un microfono interruppe le attività diplomatiche: "Mi chiamo Severn e sono qui per parlare a nome di tutte le generazioni che verranno" Per pochi minuti i grandi del mondo rimasero in silenzio ad ascoltare le parole di questa bambina: "Ciò che state facendo mi fa piangere ogni notte". Le televisioni di tutto il modo trasmisero il suo discorso: "Per favore fate in modo che le vostre azioni riflettano le vostre parole". I grandi della terra applaudirono davanti alle telecamere ma non fecero nulla di più.

Nel 2009, Severn è una donna che sta per diventare madre ed oggi come allora aspetta che i grandi del mondo facciano qualcosa per salvare il pianeta. Jean Paul Jaud, documentarista appassionato dei film di Akira Kurosawa, dopo una parentesi sportiva per Canal + ha dedicato la sua carriera alla realizzazione di documentari ambientalisti. Severn figlia di un canadese e di un indiano del clan dei corvi e dei lupi vive a contatto costante con l'ambiente traendo dalla pesca i principali benefici per il mantenimento della sua famiglia, la donna è ormai da anni la voce ufficiale di molte tribù indiane nel mondo. Il film di Jean Paul Leaud si interroga su chi e quando risponderà al grido d'aiuto della bambina Severn, oggi donna e madre e di quanto tempo ci sia ancora a disposizione per lasciare ai nostri figli un mondo in grado di prosperare. Per Leaud a rispondere alle lacrime di Severn e dei figli del mondo globalizzato, fino ad ora ci sono stati pochissimi eroi invisibili che lui in omaggio a Kurosawa battezzà come "Severn Samurai". Gli eroi di Severn sono le contadine anziane della campagna giapponese che dopo la pensione hanno sostituito i loro figli e nipoti fuggiti nelle grandi città come coltivatrici biologiche che rifiutano l'uso di pesticidi e di macchinari industriali per la coltivazione, ma ci sono anche i contadini corsi che combattono letteralmente ogni giorno contro i loro politici che cercano sistematicamente di ridurre l'agricoltura in Corsica per incentivare l'importazione dall'estero, emblematica la dichiarazione di uno dei "samurai" corsi di Severn: "Io non soffro per gli uomini ma per la terra, poichè gli uomini hanno preso consapevolmente o meno una decisione, la terra invece sta solo subendo".Jean Paul Jaud racconta senza alcuna limitazione la distruzione della biodiversità nel mondo, ci mostra chi ogni giorno combatte per avere nel suo paese o nella sua provincia le mense scolastiche interamente biologiche e rifornite esclusivamente dai fattori locali, mostra chi, emarginato dalla sua società, compete ogni giorno con i colossi della chimica e rivela senza alcuna paura gli effetti devastanti che i prodotti chimici della Monsanto hanno prodotto sui contadini francesi che ne sono rimasti a contatto. Fra i momenti più inqiuetanti del documentario resta impressa la rivelazione di un contadino che prima pagava i prodotti chimici che lo resero un malato a vita ed ora paga alla stessa multinazionale le medicine per curarsi a vita dagli effetti dei pesticidi e diserbanti che ha inalato lavorando. Ma più di tutto ci si interroga sull'appello di Severn, la bambina che urlò al mondo di fermare la distruzione e che fu applaudita per rimanere inascoltata, secondo le contadine giapponesi tutto ebbe inizio con le due bombe atomiche in Giappone: "Da quel momento (dicono loro) l'uomo non ha più smesso di autodistruggersi". Chi risponderà al grido d'aiuto degi eredi dela terra ? Chi farà il primo passo concreto perchè ci sia un terra nel futuro dell'umanità ? Di una cosa siamo certi, così come Leaud, Severn e tutti i contadini "samurai" del film: i nostri figli un giorno ci accuseranno e nella migliore delle ipotesi dovremo rispondere della nostra omertà.

Daniele Clementi

Cannes 2010: "Think global, act rural" di Coline Serreau

(c) Festival de Cannes

In principio fu la guerra, con essa venne la sperimentazione di armi chimiche e di meccaniche sofisticate che potessero distruggere e devastare, ma le due guerre mondiali non durarono abbastanza per garantire all'industria ed alle multinazionali che stavano nascendo quella serenità e stabilità di cui avevano bisogno. Qualcuno però notò che un'intero ramo chiave della società e della vita di una nazione non usufruiva di quello che offriva l'industria: erano i contadini…

L'agricultura era autonoma e scollegata dalle logiche delle multinazionali e questa era una falla nel sistema che le banche e le grandi imprese stavano costruendo. Allora i fabbricanti di carri armati iniziarono a produrre sulla base di quella tecnologia i trattori ed i produttori di armi chimiche iniziarono a produrre concimi chimici e diserbanti. Quello che la massa non sapeva era che l'industrializzazione dell'agricultura avrebbe ucciso la terra e la sua biodiersità. Coline Serreau divenne famosa in tutto il mondo con un importante documentario femminista nel 1976. Il suo film "Che cosa vogliono le donne" è oggi un documento imprescindibile per la comprensione del movimento femminista. Nel 1996 con il suo documentario "Il grande verde" denunciò con risolutezza e chiarezza il consumismo moderno ed i danni da esso perpetrati sull'ambiente, la sua carriera si è poi arricchita di diversi lavori realizzati su commissione per Amnesty International. Il nuovo film di Coline Serreau è una brillante ricostruzione ed una geniale denuncia di quello che sta succedendo progressivamente nella società contemporanea. Fra i protagonisti di una vera e propria battaglia culturale contro le multinazionali e l'industria vediamo fra i tanti: Pierre Rabhi, fondatolre di "Colibri", Vandana Shiva, Joao Pedro Stedile del Movimento per il lavoratori rurali senza terra del Portogallo, Claude e Lydia Borguignon (fondatori del LAMS), Dominique Guillet (Presidente e fondatore della banca internazionale del seme Kokopelli) e l'agronoma brasiliana Ana Primaves. Scopriamo così che i concimi chimici uccidono la terra e riducono la qualità delle risorse aiutando problemi fisici del terreno, che i trattori meccanici scavano troppo a fondo facendo rafiorare le piante ancora in decomposizione ed induriscono la terra, scopriamo anche che in India 2200 contadini si sono suicidati perchè non potevano pagare le semeti delle multinazionali ed i loro concimi e diserbanti ingerendo i prodotti che ormai erano costretti a compare e che non potevano più permettersi.Il numero di tipologie di frutta e verdura del mondo si è drasticamente ridotto del 90% in meno di dieci anni, significa che prima della "rivoluzione verde" dell'agricultura voluta dall'industria esistevano tipi di alimenti naturali molto variegati e diversi fra loro che oggi sono andati perduti o non posson essere coltivati per divieti di legge. In Europa esistono diversi tipi di semenze che sono considerate illegali dalla Comunità Europea a seguito di svariati accordi commerciali. Un paese ricco di risorse naturali come la Francia utilizza solo al venti per cento le risorse del suo paese per il resto (80% del cibo in vendita) la provenienza è dall'estero. La regista attraverso le parole di denuncia di Vandana Shiva e degli altri protagonisti del film ci fa comprendere che il sistema voluto dall'industria ha ucciso l'agricultura in buona parte del mondo rendendo quasi tutti i paesi del globo dipendenti gli uni dagli altri per il cibo (Cina inclusa che ha smesso di coltivare per comprare), la stima statistica ci rivela che l'autonmia alimentare dei paesi europei senza consegne dall'estero è di tre o quattro giorni poi le risorse finirebbero. Il flm esplora le tecniche dell'agricultura biodinamica, la creazione del compos naturale (gratuito,non cancerogeno e perfettamente assimilabile dalla terra). L'autrice ci mostra risolutamente i danni della monocoltura, dei semi ibridi e dei pesticidi e si esce dalla sala illuminati da una banalità che la grande industria ci ha fatto dimenticare: cosa c'è di meglio della natura per alimentare la natura ? In realtà nel mondo le multinazionali cercano di convincere le masse che solo l'industria e la chimica possono garantire la vita della natura perchè come ci spiega lucidamente Dominique Guillet "Chi controlla i semi, controlla il cibo e chi controlla il cibo, controlla il mondo".

Daniele Clementi

Cannes 2010: Si comincia !

(c) Festival de Cannes

Comincia oggi alle ore 19.15 presso il Grand Palais con la prima mondiale del film di Ridley Scott "Robin Hood" il più importante festival del cinema d'europa ed uno dei più grandi nel mondo. Fra le grandi attese per i cinefili: il ritorno allo yakuza movie di Takeshi Kitano, il seguito aggiornato alla crisi economica di "Wall Street" di Oliver Stone e fuori programma l'ingresso in competizione del nuovo film di Ken Loach. L'Italia è rappresentata in concorso da Daniele Lucchetti ed in sezione speciale da Sabina Guzzanti. Sono due i nomi italiani presenti in giuria sotto la presidenza di Tim Burton: l'attrice Giovanna Mezzogiorno ed il Direttore del Museo del Cinema di Torino Alberto Barbera. La regista francese Claire Denis presiede invece la giuria della sezione "Un certain regard" mentre l'attore Gabriel Garcia Berbal presiede la giuria per la "Camera d'Or". Infine l'italiano Marco Bellocchio curerà la tradizionale lezione di cinema di "Cinema Masterclass". Seguiteci sul blog per avere un aggiornamento costante del Festival.

Daniele Clementi

FEFF 2010: "Castaway on the moon" di Lee Hey – Jun

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Il film di esordio di Lee Hey – Jun era una storia inusuale e trasgressiva, il lungometraggio "Like a virgin" era co-diretto da Lee Hae – young e trattava della storia di un ragazzino grasso, basso e tozzo che sogna dopo il diploma di farsi operare per cambiare sesso. Alcuni anni dopo il film di debutto ed in seguito al divorzio artistico con il suo collega Lee Hey – Jun torna dietro alla macchina da presa con un film originalissimo e coraggioso che racconta in maniera profondamente creativa l'isolamento sociale ed il profondo disagio esistenziale prodotto da una società sempre meno a misura d'uomo. Un ritratto crudele della Corea del sud di oggi ricco di idee originali e soluzioni narrative coraggiose. Il film comincia con il tentativo di suicidio poco convincente da parte di un uomo distrutto dalla crisi economica internazionale, invece di affogare, l'uomo viene rigettato dal fiume in una piccola isola nel mezzo della metropoli di Seul. Una piccola isola che ospita i piloni di un lunghissimo ponte, disabitata, priva di cibo ed acqua ma non troppo distante dalla città. Contrariamente a qualsiasi aspettativa l'uomo decide di vivere nell'isola superando giorno dopo giorno le durissime prove da naufrago, con i rifiuti portati dal fiume si costruisce scarpe e vari oggetti del quotidiano, pesca i pesci che avvelena con gli avanzi del detersivo, fa mangiare i pesci avvelenati ai gabbiani garantendosi altro cibo e così via fino a riuscire a coltivare come un orto una piccola parte dell'isola. All'interno di un grattacielo vive una donna, una ragazza che ormai da anni vive chiusa nella sua camera ed esiste solo attraverso moleplici identità fasulle su internet. La donna apre le finestre della sua camera solo due volte l'anno, esattamente quando scatta l'esercitazione di sicurezza nazionale, in quel momento la città è deserta ed è l'unico istante in cui lei apre le finestre per fare fotografie della città senza esseri viventi, ma quando il suo teleobiettivo inquadra uno strano naufrago in una piccola isola nel mezzo del fiume la sua vita cambia, da quel momento la protagonista inseguirà ogni istante dello strano uomo fino ad iniziare uno strano e surreale rapporto epistolare fatto di bottiglie con messaggi da una parola sola e risposte scritte sulla sabbia della spiaggia dell'isola. Il film, vincitore sia del premio del pubblico che del Black Dragon Award a Udine è un racconto delicato, originale e trasgressivo. Un film delizioso degno di una distribuzione in Italia e molto promettente per il futuro professionale di Lee Hey – Jun.

Daniele Clementi

FEFF 2010: Erik Matti e l’industria del cinema filippino

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Erik Matti ha iniziato la sua carriera di regista nel 1997 con il seguito del film del suo maestro di cinematografica Peque Gallaga: “Skorpion nights 2”
L’affermazione internazionale arriva nel 2001 con il lungometraggio “Prosti”, un film duro ed essenziale sulla vita delle prostitute filippine, un film che da una parte onora le regole del cinema commerciale e dall’altra ha un pesante sottotesto, non solo rivolto contro la corruzione politica del governo filippino ma anche nei confronti del cinema commerciale del suo stesso paese, Matti non ha mai nascosto infatti che la scelta della protagonista di prostituirsi perché non sapeva come altro vivere è almeno in parte metafora della condizione di chi lavora nel cinema a Manila.

Nel 2004 Erik Matti realizza “Gagam Boy”, un film di supereroi su un ragazzo povero che scopre di avere acquisito i superpoteri di un ragno e decide di non rivolgerli , come i canoni del genere di solito comandano, alla salvezza del mondo intero ma solo a quella della baraccopoli in cui vive. Il ragazzo ragno, come ogni super eroe che si rispetti,  incontrerà in uno scaltro imprenditore edile e corruttore politico la sua nemesi perfetta tramutandolo nel suo nemico giurato: l’uomo scarafaggio. Il film, girato a bassissimo budget, fu anche un modo per fare luce sulla situazione delle Filippine, che Matti non manca mai di ricordare al pubblico come terzo mondo dell’estremo oriente, ed è sicuramente un piccolo smacco dissacrante nei confronti dei paesi da cui provengono i costosissimi film di super eroi agiati e ben pasciuti. Nello stesso anno Matti realizza anche il film del terrore “Pa – Siyam” un film a basso budget molto elaborato sul piano dei personaggi e dedicato al tema della morte della famiglia nella società contemporanea. Il film racconta di una nonnina fantasma che farà piazza pulita dei suoi parenti ipocriti venuti da lontano per spartirsi i soldi ed i beni della defunta durante la veglia funebre. Nel 2005 Matti realizza il film fantasy “Exodus: Tales from the enchanted kingdom” destinato alle famiglie filippine ed assolutamente rivolto al grande pubblico anche se i mezzi a disposizione restano comunque molto umili. In questi ultimi cinque anni Matti ha lasciato l’industria dell’intrattenimento cinematografico per la volta della pubblicità, ha aperto un locale a Manila che fa da ristorante oltre che da cinema ed ha cominciato a lavorare più liberamente su film non destinati all’intrattenimento. Il suo nuovo lungometraggio si intitola “The arrival” ed è la storia di un anonimo impiegato di Manila che ogni notte sogna la stessa casa e la stessa donna, luogo e persona mai conosciute ma intensamente desiderate dal suo inconscio, un giorno troverà dal barbiere una vecchia fotografia che corrisponde proprio alla casa dei suoi sogni e deciderà di lasciare la capitale per la volta della profonda provincia in cerca della donna sognata, sebbene le sue aspettative non si vedranno realizzate come previsto e sognato, l’uomo troverà una nuova situazione sociale, lontana dall’indifferenza e dal caos della grande città, che offrirà al protagonista una vita più a misura d’uomo. Il nuovo film di Matti, delicato e preciso nella resa formale, è forse il suo film più onesto e personale, forse quello più vicino al cuore ed all’animo dell’autore e quindi anche il più incisivo. Matti racconta una storia priva di obblighi commerciali e finalmente libera di sviluppare una traccia narrativa più umana. Il film , per scelta dell’autore non è stato venduto nei circuiti commerciali filippini ed è visibile solo attraverso fondazioni, enti culturali ed associazioni, in tutte le Filippine solo una sala commerciale di Bacolod City ha avuto il permesso di proiettarlo alla condizione di devolvere tutto l’incasso al Negros Museum. Erik Matti dice questo del suo ultimo lavoro: “E’ un dolce fatto in casa e non importa se fa schifo; è fatto con amore”, noi che questo dolce lo abbiamo assaggiato possiamo testimoniare che è molto meglio delle tante tortine sintetiche prodotte dalle grandi multinazionali dell’industria cinematografica e lo riteniamo quantomeno il vincitore morale del Far East Film Festival 2010.
Daniele Clementi

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