Il film di David Oelhoffen, basato sul racconto di Albert Camus “L’Hôte“, ha per noi italiani il sapore delle grandi avventure che scriveva Emilio Salgari o delle splendide storie di Sergio Bonelli o Hugo Pratt, un film che sa unire all’esotismo algerino le regole canoniche del film western per un’esperienza tanto visiva quanto intellettuale. Oelhoffen sceglie per il suo “road movie” a piedi il volto dell’americano Viggo Mortensen, che ha già alle spalle grandi film d’avventura come “Il signore degli anelli”, “Alatriste” e “Appaloosa”, e del figlio d’arte Reda Kateb, già apprezzato nei film “Zero dark thirty” e “Il profeta”, questa coppia regge da sola la tensione di tutto il film. Nel 1954 Daru, insegnante di origine occidentale di una piccola scuola di campagna e un tempo ufficiale, si ritrova suo malgrado obbligato ad eseguire gli ordini della giustizia algerina e scortare attraverso l’Atalante il contadino Mohamed destinato ad un processo che sembra garantire la sua condanna a morte. Il contadino algerino non tenta mai di fuggire, accetta il suo destino così come ha sempre accettato le leggi della sua tribù, ma per Daru questo viaggio in un nordafrica ad un passo da grandi mutazioni è l’inattesa occasione per ritrovare il suo passato e fare i conti con un mondo che cambia, in peggio, malgrado ogni buona intenzione e sacrificio. La loro avventura fra ribelli, soldati, prostitute e interperie costituirà quel legame fra occidente ed oriente che la storia e la politica non sono stati mai in grado di garantire. Una splendida esperienza visiva per un racconto reso in modo esemplare dalla magia del cinema.
Daniele Clementi