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" Un cuore in inverno – Un coeur en hiver " di Claude Sautet (1992)

” Un cuore in inverno – Un coeur en hiver ” di Claude Sautet (1992)

Recensione di Marina Pianu

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spesso, come i gatti, i film vanno presi per la coda. un lieto fine, per
essere accettabile e gradevole, dev’essere “guadagnato”. i film francesi
hanno questo di buono: se il fine e’ lieto, non e’ ne’ scontato ne’ grandioso
e talvolta addirittura velato di mestizia, e se e’ tragico, ha sempre un
tocco mestamente lieve. questo romantico film di sautet ha un finale
mestamente inquietante.

dussollier, che abbiamo visto in “melo” (resnais, 1986), e’ come al solito
l’artigiano la cui bravura arriva al punto di non farsi notare. la’
intensamente melodrammatico (come voleva resnais), qui sinteticamente leggero
e discreto. resnais, che piu’ che un regista e’ un sociologo, si diverte a
prendere personaggi di “banali” storie di vita per poi scombinargli le carte
e guardare di rimpiatto l’effetto che fa. anche in “melo” si e’ divertito a
prendere un “normale” triangolo e osservare con la sua distaccata (ma non
gelida) lente d’ingrandimento l’intima tragedia dei personaggi coinvolti.
distacco ma appunto non al punto da non renderci partecipi e, malgrado noi
stessi, confrontati con le nostre stesse contraddizioni sospesi tra la
simpatia per ognuno dei personaggi e l’avversione complice del loro destino
(niente meno di quello che succede nelle classiche tragedie greche).

sautet non e’ altrettanto sadico con i personaggi (lo e’ con noi, ma questo
non conta), e non di meno scandaglia l’animo di tre personaggi in questa
ennesima versione del classico triangolo (in sintesi la trama assomiglia a
mille altre, la differenza la fa lo sguardo, il contesto, la rappresentazione
e il bisturi). l’ambientazione, il contesto musicale collabora al clima e al
tono di freno emotivo, utile per stagliarvi contro l’esplosione della scena
madre. l’ambiente e’ raffinato e rarefatto come la musica di ravel (il trio
che anticipa e dirige il triangolo affettivo, mosso tra le due sonate che
alternano gli abbinamenti strumentali), che stride, volutamente, contro
l’ipocrisia borghese. attenzione: il tema dell’ipocrisia baluggina a piu’
riprese sulle labbra dei personaggi. ma, ci chiediamo, di ipocrisia si tratta
o di contegno? i protagonisti se la contano o se la suonano?

non vi e’ dubbio che il cuore in inverno e’ quello di stephane, gratificato
dalla propria professione, dal rapporto filiale con il vecchio maestro presso
cui trova conforto e confronto. i suoi ritorni in quella casa, resa spesso
caotica dalla presenza di bambini che lui non avra’ mai, sono al tempo stesso
un teatrino e un rifugio. nel suo cinismo trova riparo dalle tempeste
ormonali dei sentimenti: il piacere di un suono perfetto ottenuto con
infinita pazienza e precisione sublima il bisogno mancato di gratificazioni
sentimentali. il suo e’ il mondo di peter pan; al rischio di scossoni,
risponde con la provocazione, con la dissacrazione, con il preteso distacco.
attenzione pero’ a non confondere il sentimento con il sentimentalismo:
stephane e’ perfettamente capace di amare, ma riesce a eliminare dalla sua
vita ogni orpello sentimentale (non a caso e’ lui il solo in grado di
provvedere all’iniezione letale al maestro morente).

i sentimenti possono nascere da un’affinita’, da intensi sguardi, da un
dialogo sintetico e sfrondato da inutili chiacchiere. alla fine la domanda
che molti si pongono e a cui pretendono dare risposta e’: ma stephane si e’
innamorato di camille? o ha solo giocato? per rifiutare le sue avance,
stephane dichiara di non avere alcuna amicizia per maxime, eppure quando,
molto prima, quest’ultimo gli ha confidato la sua nuova storia d’amore, lo
stesso stephane lo rimprovera del suo silenzio. perche’ avrebbe dovuto
confidarsi maxime, se tra loro esiste solo un rapporto di societa’ d’affari?
e dopo aver dichiarato a camille di non amarla, corre subito a trovare il suo
tutore, ma viene fermato da una brutta scenata tra lui e la moglie (gli
inconvenienti brutti dell’amore). infine, e il fatto e’ stato sottolineato
dallo stesso maxime, perche’ nella futura casa di maxime e camille, il nostro
artigiano ha un attimo di scoramento? e perche’ non resiste alla tentazione
di vincere a raquet ball con maxime, quando ci aveva gia’ detto che per lui
era “un piacere lasciarlo vincere”? alla fine, quel “lieto fine” di cui si
diceva poc’anzi, parlando di lachaume (il maestro), dice “credevo fosse
l’unica persona che amavo”. di quante altre persone si e’ accorto nel suo
ritiro? maxime, helene, e, chissa’, camille.

il tema musicale e’ strutturale: due sonate di ravel e il trio. il trio
“capita” nei momenti piu’ significativi, conferendo scheletro alla storia.
non e’ un caso che il violoncellista (il terzo del trio) si sia innamorato di
camille (lei lo tiene a bada temendo pero’ di ferirlo: “e’ uno spreco di
energie”, commenta maxime). dello stesso trio, stephane dira’ allo scettico
maxime: si armonizzano bene. che cos’e’? una proposta di menage a trois? si’,
ma a la mode di stephane.

il finale, dunque: maxime e stephane sono di nuovo in ottimi rapporti; camille
e stephane hanno dissipato le vecchie acrimonie e insieme alla
consapevolezza. sopravvive un certo nonsoche: lei lo bacia, e, mentre l’auto
sfila via, si volta ancora un attimo a guardarlo. resta lui, solo, al suo
tavolino a fissare le immagini che scorrono sul vetro, dall’esterno. ci sara’
un seguito romantico all’intesa ormai consapevole e non spenta tra camille e
stephane? la domanda puo’ restare aperta, ma a noi sembra che tutto restera’
invariato: a camille la dolce illusione, a stephane la sua vita interiore e a
maxime la vita accanto ad una compagna che privilegia la sua arte. un finale
inquietante perche’ non sappiamo piu’ che cosa sia l’amore.

un film intenso e delizioso, perfetto in ogni suo aspetto, dalla sceneggiatura
falsamente lineare, sintetica e impressionistica, dalle inquadrature ampie e
suggestive, dalla perfetta alternanza di scene significative, e
dall’eccellente interpretazione degli attori (ce n’e’ per tutti per rifarsi
gli occhi!). non puo’ mancare un rimando nella memoria all’altro film di
sautet sul triangolo, “cesar et rosalie”, con yves montand, romy schneider e
sami frey.

suggerisco la lettura di questa analisi filosofica del film:
http://www.script-pisa.it/rivista/speciale_script/un_cuore_in_inverno.php

un lungo articolo su sautet (the independent):
http://findarticles.com/p/articles/mi_qn4158/is_20000726/ai_n14336197

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CREDITI

 
Regia: Claude Sautet.
Sceneggiatura: Claude Sautet, Jacques Fieschi e J. Tonnerre.
Uscita ufficiale nel paese d’origine: 2 settembre 1992 (FRANCIA)
-Interpreti principali –
Daniel Auteuil – Stephane
Emmanuelle Beart – Camille
Andre Dussolier – Maxime
Produttore: Claude Sautet.
Colonna sonora originale: Maurice Ravel.
Direttore della fotografia: Yves Angelo.
Montaggio: Jacqueline Thiedot.
Durata: 115 minuti.

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