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" Il lungo addio " di Robert Altman

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" Il lungo addio " di Robert Altman <!–

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a cura di Pippi
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"II vero mistero e dove sia finito il gatto" (Robert Altman, Castoro Cinema n°39)
Non perdoneremo Altman per aver dissacrato il nostro investigatore ideale, tramutandolo in un "fesso" e per giunta in un assassino (Marlowe non lo è mai stato, se non per legittima difesa), ma bisogna dargli atto di aver messo in scena la più bella fine di un ideale, individuale, irraggiungibile, con il suicidio di Roger Wade (peraltro anche questo un cambiamento rispetto al romanzo). Ma è pro­prio la dissacrazione dei miti, hollywoodiani e americani in genere, ciò che interessa Altman, e che dà un senso al suo percorso intellettuale e cinematografico. Come accadde per il mito della frontiera ne I compari (Mc Cabe e Mrs Miller), in cui il mitico West è in realtà pieno di fango, reale e metaforico, e il mitico pistolero velato da un aureo alone è in realtà un pavido, circospetto, uomo d’affari incapace e amante insicuro, così il nostro amato Marlowe è uno che non riesce neanche a truffare il suo gatto sulla marca di cibo preferita, non riesce ad accorgersi di che tipo di aiuto Wade ha bisogno, e non capisce che il suo amico lo sta tradendo.
Quello del tradimento dell’amicizia rimane tuttavia il tema centrale sia del libro che del film, anche se Altman giunge a cambiarne il finale, estremizzandolo. Mentre il tradi­mento raccontato da Chandler era per certi versi una costrizione, una fuga non priva di nobiltà, che comunque non poneva in discussione l’innocenza di Terry Len­nox, quello del film è un tradimento totale e disonesto, e 1’unico addio possibile, lungo tutto il tempo necessario alla piena comprensione, è quello decretato da un colpo di pistola.

In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).

Omaggio a Raymond Chandler (3)

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CHANDLER E IL CINEMA
a cura di Pippi

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Philip Marlowe e Sam Spade, i due eroi creati rispettivamente da Chandler e Hammett, ebbero una notevole fortuna cinematografica. La rappresentazione del detective al cinema, che si ricava uno spazio come sottogenere all’interno del film noir, riscuote immediatamente un grande successo, e crea un’iconografia-modello cui anche i successivi remake si ispirano. Non è inutile sottolineare che la punta più alta di tutto il noir americano (1945-1950) coincide proprio con l’adattamento cinematografico dei grandi romanzi di Chandler. In questo periodotroviamo ben quattro dei suoi romanzi ridotti per lo schermo: Addio mia amata, II grande sonno, La signora nel lago, Finestra sul vuoto,
Benché Chandler sia stato anche uno sceneggiatore di talento (La flamma del peccato di Billy Wylder e L’altro uomo di Alfred Hitchcock), di fatto ha partecipato ad un solo adattamento tratto dalla sua opera. Egli spiegava così le ragioni della sua "defezione": "Ho lavorato ad una versione cinematografica de La signora nel lago, è l’ul­tima volta che lavoro ad una sceneggiatura tratta da un mio libro. Mi sembra di riesumare le ossa di un cadavere ".
Robert Montgomery ha girato Una donna nel lago intera­mente in prima persona: con la macchina da presa in soggettiva: non si vede mai il detective privato, Philip Marlowe; talvolta si coglie il suo riflesso negli specchi. Questa studiata originalità non ha affatto impressionato Chandler, che sottolinea: "La tecnica soggettiva de Una donna nel lago è un vecchio trucco di Hollywood. Tutti i giovani sceneggiatori e tutti i giovani registi vi si sono cimentati".
L’ombra del passato di Dmytryk offre delle trovate interessanti: un intrigo sufficientemente complicato, illuminazioni ad effetto: ma II grande sonno è il migliore degli adattamenti chandleriani. Scritto da William Faulk­ner e Leight Brackett, è il film più chandleriano sia tra quelli finora citati che tra quelli che verranno. Hawks dipinge in questa pellicola, con una rara precisione ed un flemmatico humour, il quadro spietato della decomposizione di un mondo, al contempo narrando l’incontro della bellezza (Lareen Bacall) con l’intelligenza (Bogart). Con queste parole Raymond Chandler consigliava ad un suo amico la visione delfilm: "Se un giorno vedrete questo film, II grande sonno (almeno la prima parte), vedrete ciò che può fare con una storia di questo genere un regista che possiede il senso dell’atmosfera e un voluto tocco di sadismo segreto. Bogart, sicuramente, è superiore a tutti gli altri "duri" del cinema". A questi film va aggiunto, nello stesso periodo, un buon thriller di George Marshall, La dalia azzurra (1945), del quale Chandler è in parte responsabile: ""In meno di due settimane ho scritto un racconto originale di novanta pagine, La dalia azzurra L ‘ho interamente dettato e non gli ho potuto dare neanche un colpo d’occhio prima di averlo finito… C’e del buono e del meno buono". Si trovano anche delle "scorie” nella filmografia di Chan­dler, alcune involontarie (le prime trasposizioni da Addio mia amata: The Falcon Takes Over di Irving Reis e da Finestra sul vuoto: Time to Kill di Herbert I. Leeds), altre accettate (due sceneggiature: Il grande silenzio per la regia di Irving Pichel, un mediocre melodramma a sfondo medico, e Il fantasma di Lewis Allen, un monotono thriller "domestico").
Negli anni Settanta Paul Bogart, Robert Altman e Dick Richards riprendono in mano i lavori di Chandler. I primi due mettono in scena romanzi mai portati al cinema: L’investigatore Marlowe di Paul Bogart è tratto da Troppo tardi o La sorellina (due titoli italiani dati al romanzo The little sister nelle differenti traduzioni) e II lungo addio di Altman da un omonimo romanzo di Chand­ler. La terza riduzione, quella di Richards, è anche la terza trasposizione per lo schermo di Addio, mia amata, meno interessante della versione di Dmytryk, ma con il grande vantaggio di avere per protagonista, nei panni di Marlowe, Robert Mitchum. E sempre Robert Mitchum è il protagonista dell’ultima (attualmente) riduzione da Chan­dler, Marlowe indaga diMichael Winner, tratto ancora da Il grande sonno, in cui l’ormai pallida ombra del detective chandleriano viene collocata in un’ambientazione londinese (sic!).
Per ironia della sorte, il solo romanzo di Chandler non trasposto sugli schermi a tutt’oggi, è Playback, che era nato come sceneggiatura per un film.

FILMOGRAFIA
1942. The Falcon Takes Overdi Irving Reis, tratto da Addiomia amata
1943: Time to killdi Herbert I. Leeds, tratto da Finestra sul vuoto
1945: L’ombra del passato (Murder my Sweet) di Edward Dmytryk, tratto da Addio, mia amata
1946: Il grande sonno (The Big Sleep) di Howard Hawks, tratto da Il grande sonno
1946: Una donna nel lago (The Lady in the Lake) di Robert Montgomery, tratto da La signora nel lago
1947: La moneta insanguinata (The Brasher Doubloon) di John Brahm, tratto da Finestra sul vuoto
1969: L’investigatore Marlowe (Marlowe) di Paul Bogart, tratto da Troppo tardi / La sorellina
1973: Il lungo addio (The Long Goodbye) di Robert Airman, tratto da 77 lungo addio
1975: Marlowe, il poliziotto privato (Farewell, My Lovely) di Dick Richards, tratto da Addio, mia amata
1978: Marlowe indaga (The Big Sleep) di Michael Winner, tratto da // grande sonno
 
SCENEGGIATURE
1944: Il grande silenzio (And Now Tomorrow) di Irving Pichel
1944: La fiamma del peccato (Double Indemnity) di Billy Wylder
1945: Il fantasma (The Unseen) di Lewis Allen
1946: La dalia azzurra (The Blue Dahlia) di George Marshall
1951: L’altro uomo / Delitto per delitto (Strangers on a Train) di Alfred Hitchcock
In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).

Omaggio a Raymond Chandler (2)

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LA HARD BOILED SCHOOL
a cura di Pippi

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II padre fondatore della Hard boiled school, la "scuola dei duri", ovvero del poliziesco d’azione all’americana, fu Dashiell Hammett, che, come si accennava sopra, portò al limite estremo la narrativa d’azione, facendone un ner-voso susseguirsi di emozionanti avvenimenti, sulle pagine della rivista Black Mask. E’ sulla medesima rivista che inizierà a scrivere Raymond Chandler, ed a lui si deve anche una ricerca teorica sulla narrativa poliziesca, che rappresenta di fatto il "manifesto" dell’hard boiled. Peccato che la verve polemica con cui è condotta la sua teorizzazione lo porti a sostenere le tesi del realismo della scuola d’azione, di contro ad un presunto "idealismo" del poliziesco classico, basato sulla presunta deduzione logica e sul gioco "enigmistico":

 

"C’e un romanzo di Dorothy Sayer in cui un tale viene assassinate mentre è solo in casa di notte per mezzo di un peso sganciato da un meccanismo il cui funzionamento è provocato dall’abitudine della vittima di accendere la radio sempre ad una certa ora, di porsi davanti alla radio sempre in una certa posizione e di chinarsi fino a quel punto preciso. Un paio di centimetri di scarto da una parte o dall’altra, e i lettori resterebbero a bocca asciutta. Questo, volgarmente, si chiama "avere il Padreterno dalla propria parte"; e a un assassino che ha bisogno di tanta collaborazione da parte della Provvidenza, io consiglierei di cambiar mestiere.

C’e poi un libro di Agatha Christie, imperniato su Hercule Poirot, l’ingegnoso belga che parla come una traduzione letterale dal francese eseguita da uno scolaretto delle medie. Qui, dopo aver fatto debitamente funzionare le sue "piccole cellule grigie" il signor Poirot decide che nessuno, su una certa vettura letto, può aver compiuto il delitto da solo, e perciò tutti l’hanno commesso insieme, suddividendo il processo in una serie di operazioni semplici, come il montaggio di uno sbattiuova. Questo e il genere di intreccio che senza dubbio metterà fuori combattimento le intelligenze più poderose. Solo un deficiente potrebbe indovinare come sono andate le cose". (Raymond Chandler La semplice arte del delitto, A. Mondadori editore, 1988, vol. n, pp. 740-741)

 

Mentre, invece:

 

"Hammett ha tolto il delitto dal vaso di cristallo e l’ha gettato nei vicoli: non e indispensabile che vi rimanga per sempre, ma è stata una buona idea portarlo, tanto per cominciare, il più lontano possibile dal Manuale delle buone maniere di Emily Post, e dai suoi precetti sul come una compita debuttante deve mordicchiare un’ala di polio". (Ibid, p. 745)

 

Indubbiamente il cambiamento tra una scuola di poliziesco e l’altra è omologabile ad uno spostamento verso un’ambientazione apparentemente più reale, ma, sia in Hammett che poi in Chandler stesso, ci troviamo di fronte ad opere che fanno da specchio al reale, ma, come in ogni opera d’arte, l’immagine riflessa è distorta, deformata, offuscata dall’occhio che guarda. Di fatto, anche nei termini stessi usati da Chandler, nella stessa accezione di realismo, né Hammett né lui stesso hanno portato il realismo nella letteratura poliziesca, bensì trasposizioni di elementi colti dal quotidiano e filtrati dall’immaginazione.

A nostro avviso, quindi, ciò per cui vale la tesi di Chandler è da intendersi rispetto al "verosimile", o, se si vuole, al "realismo poetico", non al realismo tout court. Come sostiene Austin Freeman, il poliziesco è un romanzo di analisi che, forse unico, riunisce le qualità della mente e dei sentimenti e quindi può essere considerato come la forma più evoluta di letteratura (almeno in termini teorici).

Ci sarebbe di che dissentire su svariati punti del suo "decalogo", in primis sulla stessa necessità di regole rispetto ad un’opera, catalogabile o meno in qualche genere prefissato. Fortunatamente, i romanzi chandleriani sono meno filosoficamente limitati delle sue speculazioni teoriche. Il problema di fondo, ci sembra, è che Chandler tenti in qualche modo di giustificare e portare ad esaltazione il capovolgimento effettuato rispetto alla scuola "giallistica" precedente, oltre a cercare di svincolare la stessa letteratura gialla dalla ristretta accezione di "letteratura di intrattenimento". E allora fornisce a se stesso e agli altri, gli strumenti indispensabili per fare sì che l’"oggetto" possa funzionare, ma allo stesso tempo lo limita ponendogli degli angusti confini che egli stesso, per buona sorte nostra e della letteratura, non mette in pratica. Epigono dell’hard boiled school, anche se di ben inferiore talento e, per giunta, di idee reazionarie, è Mickey Spillane, l’ideatore di Mike Hammer, che lo stesso Chandler defini "mediocre autore da fumetti", ma che, di fatto, disprezzato o meno, si colloca come propaggine della scuola d’azione (seppure senza alcun contenuto di denuncia sociale).

Ultima notazione: chi ha letto James Ellroy (Dalia nera, White Jazz, II grande nulla, ecc), forse ha ritrovato un modo di scrivere, di affrontare la realtà della malavita, della corruzione, della sostanziale solitudine dell’indivi-duo e delle sue solitarie scelte, che ci azzardiamo a vedere come erede contemporaneo di Chandler.

In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).

Omaggio a Raymond Chandler (1)

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RAYMOND CHANDLER
a cura di Pippi
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Raymond Chandler nasce a Chicago il 23 luglio 1888 da padre americano e madre irlandese. A causa del divorzio tra i genitori, quando aveva otto anni, si trasferisce con la madre a Londra dove viene allevato presso il Duhvich College. E’ a Londra che ha le sue prime esperienze di giornalista scrivendo su The Academy, The Westminster Gazette e The Spectator. All’eta di 24 anni fa ritorno negli Stati Uniti. Chiamato alle armi in occasione della prima guerra mondiale, serve l’esercito nel Royal Flyng Corps, ove ottiene 1’incarico di organizzatore degli svaghi delle truppe. Alla fine della guerra si stabilisce in Califor­nia con la madre. Solo quando quest’ultima muore, Chan­dler decide di sposarsi con Pearl Cecily Hurlburt, più vecchia di lui di sette anni e con due matrimoni alle spalle. La donna assunse, sino alla sua morte, nel 1954, il ruolo di moglie e madre per Chandler, il quale, negli anni dal 1919 al 1932 cambiò spesso occupazione, senza trovarsi a suo agio in nessun ambiente di lavoro. Nel frattempo aveva sviluppato una vera e propria passione per la lettura di romanzi polizieschi, in particolare quelli pubblicati sulla rivista Black Mask, diretta da Joseph T. Shaw, che ne aveva cambiato l’impostazione in maniera radicale rispetto ai suoi predecessori, nonché rispetto alle altre riviste che si occupavano di polizieschi, chiedendo ai suoi scrittori “azione, violenza e continui colpi di scena”. Ed è sulle pagine di questa rivista che Chandler fa la conoscenza di colui che diventerà il suo maestro ed ispiratore, Dashiell Hammett, ex detective privato dell’agenzia Pinkerton che, abbandonata la camera investigativa, si era dedicato alla narrazione (di stile nervoso, con un susseguirsi implacabile e inarrestabile di azione) delle indagini ed avventure che gli erano    capitate nello svolgimento della sua professione, o di quelle che avrebbero potuto capitargli.
II primo racconto di Chandler, Blackmailers Don’t Shoot (I ricattatori non sparano), apparve dunque proprio su Black Mask, nel 1933, ed è facile riconoscervi, più che un’influenza, un vero e proprio debito nei confronti di Hammett. Ma nonostante lo stile sia volutamente calcato dai personaggi hammettiani, il protagonista di Blackmai­lers Don’t Shoot, il detective privato Mallory, già mostra una evidente dissimiglianza rispetto all’oggettivazione dello sguardo con il quale l’ex detective della Pinkerton guardava ai suoi protagonisti. II nostro eroe, primo abbozzo del futuro Marlowe, pur attraversando ed interagendo con il devastato e violento mondo proprio della scuola hard boiled, corrotto fino all’appiattimento insensibile di ogni istanza morale, possiede quell’elemento sentimentale, romantico, che contraddistingue gli scritti di Chandler e lo differenzia nettamente dal suo ispiratore. II successo per Chandler giunse però nel 1939, con la pubblicazione del suo primo romanzo, The Big Sleep (II grande sonno), nel quale fa la sua apparizione il detective privato Philip Marlowe, che rimarrà il protagonista di tutti i successivi romanzi chandleriani. Costruito nel corso dei sei anni che separano questo romanzo dal primo racconto, attraverso una gestazione nei molteplici racconti apparsi su Black Mask (pubblicati in Italia da Feltrinelli. in due volumi dal titolo La semplice arte del delitto), i cui nomi variano da Tony Reseck a Johnny Dalmas, Marlowe, pur manifestandosi attraverso le sue azioni e i suoi comportamenti non riceve dal suo creatore un profilo definito ed esplicitamente descritto nel corso di tutto il romanzo. Scritto, come quasi tutta 1’opera di Chandler, in prima persona, il nostro investigatore si presenta ufficialmente al lettore nel primo paragrafo de II grande sonno:
Erano pressappoco le undici del mattino, mezzo ottobre, sole velato, e una minaccia di pioggia torrenziale sospesa nella limpidezza eccessiva là sulle colline. Portavo un completo blu polvere, con camicia blu scuro, cravatta e fazzolettino assortiti, scarpe nere e calzini di lana neri con un disegno ad orologini blu scuro. Ero corretto, lindo, ben sbarbato e sobrio, e me ne sbattevo che lo si vedesse. Dalla testa ai piedi ero il figurino del privato elegante. Avevo appuntamento con quattro milioni di dollari.
E questo è tutto. Sulla scorta del successo avutodai suoi romanzi, infatti, i lettori-ammiratori scivevano a Chandler per sapere qualcosa di più sul detective Marlowe, sul personaggio. Ecco come Chandler risponde:
“La data di nascita è incerta, credo che a un certo punto dica di avere trentotto anni, ma questo e successo molto tempo fa, e oggi non pare più vecchio di allora. Non è nato in una località del Midwest ma in un posticino della California, Santa Rosa, una cinquantina di miglia a nord di San Francisco… Marlowe non ha mai parlato dei suoi genitori e forse non possiede parenti al mondo. Se necessario si può rimediare. Ha fatto i suoi anni di college… Non so perchè sia venuto nella California del sud, forse perchè tanti lo fanno, anche se non tutti, poi, si fermano. Pare abbia fatto esperienza come investigatore per una compagnia di assicurazioni e poi agli ordini del procuratore distrettuale della contea di Los Angeles… Le circostanze in cui ha perso questo impiego mi sono ben note, ma non posso specificarle. Vi basti sapere che si era dimostrato un po’ troppo efficiente in un’epoca e in un luogo in cui l’efficienza era l’ultima cosa desiderata da quelli che comandavano…” (aprile 1951, da Ray­mond Chandler speaking, in assenza dell’originale, qui citato dall’introduzione a La semplice arte del delitto, a cura di Oreste Del Buono, Feltrinelli, 1989)
E inoltre, più interessante, l’aspetto morale del nostro eroe:
“Se l’essere in rivolta contro una società corrotta vuol dire essere immaturi, allora Philip Marlowe è estremamente immaturo. Se il vedere lo sporco dove c’è significa una mancanza di coscienza sociale, allora Philip Marlowe è terribilmente mancante di coscienza sociale. Certo Marlowe è un fallimento, e lo sa. E’ un fallito perchè non ha soldi. Un uomo senza tare fisiche che non può condurre una vita decorosa è sempre un fallito, fallito anche moralmente… Ma ricordatevi che Marlowe non è una persona reale, è una creatura della fantasia. Si trova, dunque, in una posizione falsa perchè ce l’ho messo io. Nella vita reale un tipo come lui non farebbe il detective più di quanto potrebbe fare il rettore d’università. I nostri investigatori privati nella vita reale sono o ex poliziotti con molta esperienza pratica e il cervello d’una tartaruga o miserabili piccoli mercenari sempre affannati a correre in giro cercando di scoprire la pista di qualcuno…” (ottobre 1951, ibid.)
E proprio in questa appassionata difesa dell'”ideale” rispetto al reale, della creazione fantastica di un personaggio che si scontri implacabilmente, a costo di risultare “immaturo”, “privo di coscienza sociale” e “fallito”, con il degrado amorale di una società profondamente corrotta, risiede il fulcro dell’innamoramento di Chandler nei confronti del suo alter ego, nonché della fascinazione che Chandler/Marlowe esercita su di noi. L’identificazione scrittore/investigatore è qualcosa di facilmente comprovabile, non solo rispetto al modo di vedere la vita che Chandler ovviamente impone all’oggetto della sua crea­zione, non solo rispetto al fatto che, per tutta la vita, Chandler, seppure con altri nomi, ha scritto sempre dello stesso personaggio, un personaggio che cresce e muta pur mantenendo un’omogeneità che solo la accresciuta co­scienza del sé può mantenere, ma anche, più banalmente e semplicemente, perchè Chandler stesso lo dichiara nelle interviste. Ma più della dichiarazione esplicita ha valore probante il fatto che la trasposizione di se stesso nel personaggio tenda a manifestarsi in due direttrici essenziali: la rappresentazione del proprio punto di vista sul mondo, ufficiale, teorizzato e riconosciuto: il personaggio come “portavoce”; e l’idealizzazione, il processo di perfezionamento di se stessi secondo il proprio (conscio ed inconscio) modello: il personaggio come “eroe”. All’estremo, la prima senza la seconda genera il trattato teorico, la seconda senza la prima genera la fiaba. Tra le molteplici sfaccettature che risiedono nel mezzo c’è, più o meno, tutta la letteratura.
Tornando a Chandler, al primo romanzo ne seguirono altri sei: Farewell, My Lovely (Addio mia amata) nel 1940, The High Window (Finestra sul vuoto) nel 1942, The Lady in the Lake (La signora nel lago) nel 1943, The Little Sister (Troppo tardi/La sorellina) nel 1949, The Long Goodbye (II lungo addio) nel 1953, Playback (Ancora una notte) nel 1958. Più uno incompiuto, uscito postumo: The Pencil (La matita), del 1960. In queste opere, progressivamente, l’umorismo che contraddistingue Marlowe diventa sempre più amaro, il detective si fa più triste e disilluso, la possibilità di “cambiare il mondo” fa strada ad una amara acquiescenza e ad un quasi tetro estraniamento, elementi che rispecchiano gli avvenimenti della vita di Chandler ed il suo crescente disagio. Nel 1954 muore 1’adorata moglie di Chandler, ed egli, dapprima rifugiatosi maniacalmente nell’alcool, nel febbraio 1955 tenta il suicidio, in un modo definito dagli amici, quanto meno “maldestro”: i due colpi di pistola che aveva tentato di rivolgere alla sua tempia, erano finiti nel soffitto. Nelle interviste future dichiarerà di non voler tentare di nuovo, quantunque vivesse il tremebondo e mal riuscito tentativo suicida come una ulteriore perdita di dignità. Quattro anni dopo, il 26 marzo del 1959. muore, dopo un pellegrinaggio in varie cliniche private nel tenta­tivo di disintossicarsi. solo apparentemente, da alcool e droga.
In collaborazione con il Circolo del Cinema Uicc Cult Movies (Roma).